QUALCHE OPPORTUNITA’ CON L’ELEZIONE DI TRUMP?

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Con Trump alla Casa Bianca potrebbe riaffacciarsi in Europa quel minimo di “laissez-faire” geoeconomico che caratterizzò la Presidenza Bush jr.
Sotto il texano l’Italia poté sviluppare buone relazioni commerciali, soprattutto nel settore energetico, con la Russia. Lo stesso accadde per altri paesi dell’Ue. La strategia dei repubblicani americani sull’Europa è stata consuetudinariamente meno stringente di quella democratica, anche se parimenti guerrafondaia negli scenari di crisi.
Tuttavia, tra i conservatori d’oltre-atlantico sopravvive l’idea che l’ingerimento nelle questioni europee debba avvenire con più cautele di quelle che (non) usano i cosiddetti progressisti liberali. Ci auguriamo però che Trump ed i poteri alle sue spalle rinuncino a fomentare il caos alle nostre porte (Nord Africa e Stati dell’est) e ci lascino la possibilità di agire autonomamente su alcuni dossier che potrebbero rivelarsi salvifici per una Penisola ridotta malissimo.
In particolare, ci riferiamo al ruolo di hub energetico e di ponte geopolitico con la Russia che Roma potrebbe ancora incarnare. Data la classe politica che ci governa nutro poche speranze sulla sua capacità di saper cogliere quest’ultima chance ma segnalare una simile opportunità è nostro dovere, soprattutto nell’auspicio che gruppi concorrenti e più autonomisti di quelli ora in sella riescano pian piano ad emergere e a scalzare i presenti.
Il comparto energetico veicola interessi geoeconomici e geopolitici determinanti. Chi controlla fonti e tubi ha un vantaggio sui competitori e non si tratta semplicemente di affari. Il ruolo fulcrale delle risorse primarie è risaputo almeno dai tempi di Mattei, eppure l’Italietta odierna sembra averlo dimenticato, con il Premier che profferisce frasi assurde del tipo “non perdo la faccia per due tubi” e gli amministratori delegati delle nostre imprese di punta, come l’Eni (il passaggio da Scaroni a Descalzi è stato ferale), intenti a svendere rami d’azienda e collegate ad alto impatto tecnologico, anziché proteggere e valorizzare i vari asset nazionali.
Il Belpaese dispone di importanti giacimenti di gas e petrolio ma le attività estrattive incontrano troppi ostacoli, burocratici e culturali. Parliamo delle riserve offshore nell’Adriatico e al largo della Sicilia. E’ il momento di superare le resistenze e procedere speditamente per progettare o mettere a regime questi impianti. Lo stesso si deve fare per quelli onshore lucani, i più grandi dell’Ue, sotto o male utilizzati. I politici, anziché usare le paure popolari per raccogliere facili consensi, dovrebbero stimolare una rivoluzione scientifica che porti tutti ad accettare i sacrifici necessari per raggiungere un migliore benessere pubblico. Spaventare la gente con un mare di falsità su gas e petrolio non modifica l’ambiente ma inquina sicuramente le menti, precludendo il progresso economico e tecnologico e peggiorando lo stile di vita. L’Italia non se lo può più permettere perché sta arretrando pericolosamente in fondo alla classifica dei paesi pezzenti del pianeta.
Il nostro Stato deve rimettere in calendario alcuni accordi con la Russia che i democratici americani e la stessa Ue hanno fatto naufragare. E’ il caso del gasdotto South Stream su cui Eni, Gazprom, Edf e Wintershall avevano scommesso per placare la fame energetica europea. Il Consorzio è stato costretto a sciogliersi per motivazioni contrastanti con le logiche di mercato, la cui divinazione vale solo quando, per esempio, si vogliono sponsorizzare gli accordi commerciali con gli Usa, come il TTIP (per ora fermo al palo), che invece non ammettono valutazioni extra-economiche, perché di mezzo ci sono gli interessi nazionali di Washington. Qualche giorno fa lady PESC Mogherini ha dichiarato che: ” i rapporti con gli Stati Uniti sono più profondi di qualsiasi svolta politica, ma anche con la certezza che le scelte politiche dell’Europa non si determinano a Washington”. Lo vedremo a breve il coraggio dell’Europa. Tuttavia, dubito che ci sarà maggiore autodecisionalita’ dei vertici Brussellessi, poiché tutte le idee di sinistra o liberaldemocratiche che aleggiano sul Vecchio Continente, alle quali si ispirano, sono sbagliate e confuse, difettando di un ingrediente indispensabile: la sovranità. Queste pulci faranno presto i conti con la realtà perché un loro colpo di tosse non muterà la situazione in cui ci hanno precipitato, dopo decenni di servilismo filo-americano, come Regione e come Paese.
L’Italia deve recuperare le sue ambizioni, in particolare quella di diventare la petroliera del Mare nostrum e la piattaforma di transito del gas più efficiente e qualificata tra occidente e (medio)oriente. Deve poi trasformare questi aspetti industriali e mercantili in peso politico e pretendere il ruolo che le spetta nell’incipente multipolarismo. Per la sua collocazione geografica, come scrive anche il Foglio, “può ricevere da ogni dove…ipotizziamo uno scenario futuro in cui il gas russo arriva liberamente da nord-est e da sud-est, quello algerino e libico da sud, quello americano da ovest via Spagna, senza dimenticare le riserve nell’Adriatico e l’enorme giacimento scoperto dall’Eni al largo dell’Egitto. Se entra in partita anche l’Iran, con il quale ci sono sempre stati buoni rapporti economici, in particolare negli idrocarburi, l’Italia diventa la terra dell’abbondanza”.

Se l’Ue vuole davvero differenziare le sue fonti di approvvigionamento non può prescindere da questo. Ma, finora, la cosiddetta pluralità dei fornitori, a cui si dice di voler mirare per evitare la dipendenza da uno di essi, si è rivelata un pretesto per bloccare alcuni affari sgraditi agli Stati Uniti.
Occorre tornare allo spirito del grande presidente dell’Eni Mattei, colui che fu messo alla guida dell’Agip nel 1945 per smantellarla e, invece, la rilanciò creando l’Eni che diventerà una concorrente agguerrita delle Sette sorelle anglo-americane. Lo fece intensificando le attività di perforazione in patria, siglando contratti all’estero e scontrandosi con i monopolisti di mercato. Esattamente quanto occorre anche oggi in un clima ugualmente sfavorevole per il nostro Paese. Ma è nelle difficoltà che gli italiani sanno farsi valere. Le forze politiche che provano a rallentare questo processo sono nemiche degli interessi nazionali. I leader di partito che blaterano di riduzione delle attività estrattive o combattono i rigassificatori (ma anche il nucleare), perorando il ricorso a fantomatiche energie alternative, sono dei traditori della patria. Per questo ho sempre guardato con sospetto al Movimento Cinque Stelle che, in questo senso, sembra essere un vero cavallo di troia entrato Parlamento per impedire all’Italia di concentrarsi su tali compiti. Compiti da perseguire con convinzione e spregiudicatezza, perché la fase storica in atto è pregna di tensioni geopolitiche che iniziano a scaricarsi modificando il rango internazionale degli attori in gioco. Se non ci muoviamo con tempismo rischiamo di essere retrocessi tra le comparse dello scacchiere mondiale in riconfigurazione dei suoi rapporti di forza.
Riporta Nico Perrone (il relatore della mia tesi di laurea) nel suo libro “Capitalismo predatore” che “tra le iniziative di Enrico Mattei che irritarono gli amici occidentali ci fu la firma a Teheran nel marzo del 1957 di un accordo che assegnava all’Iran il 75 per cento degli utili sullo sfruttamento di alcuni giacimenti petroliferi, rompendo la regola del massimo del 50 per cento allora in vigore, imposta dai Paesi colonialisti ed ex. Accordi analoghi furono fatti con l’Egitto (1957) e Marocco (1958) mentre tentativi analoghi con la Libia e l’Iraq furono fatti fallire da interventi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. Le novità introdotte da Enrico Mattei non riguardavano solo l’interventismo dell’Eni in questi Paesi, ma anche le forme della cooperazione che rompevano vecchi schemi propri del colonialismo. La cooperazione mirava a valorizzare le risorse dei Paesi produttori mediante una collaborazione alla pari nelle società di sfruttamento petrolifero, rendendoli in tal modo partecipi alla determinazione dei volumi di produzione e dei prezzi. L’Eni anticipava gli investimenti necessari alle ricerche e se queste avessero avuto esito positivo il Paese detentore dei pozzi avrebbe rilevato – al valore nominale – le azioni dell’impresa, fino a ripianare la metà degli investimenti effettuati, diventando in tal modo associato pariteticamente con la società italiana nello sfruttamento dei giacimenti. L’Eni si collocò inoltre alla testa della gestione delle grandi reti di distribuzione di carburante in Europa”. Ecco, dobbiamo recuperare questa capacità di rompere gli schemi (e le alleanze) in cui siamo asfitticamente inseriti mentre il panorama intorno a noi si modifica rapidamente, per l’emergere di antagonisti dello strapotere Usa che cambiano le carte in tavola. L’urgenza, mutatis mutandis, è dunque simile a quella che si trovò di fronte Mattei il quale attraverso i rapporti di affari delle società petrolifere dello Stato italiano con Paesi stranieri riuscì a garantire “l’apertura della nostra politica estera verso orizzonti allora preclusi”. La strada è questa, chi non vuole percorrerla rimanendo seduto ai margini (con l’accovacciamento sotto alleanze politiche e commerciali ormai deleterie ed in rapida decomposizione) o facendo salti sconclusionati (proponendo il ricorso a sedicenti fonti pulite) sta “badogliando”.