DEFLAZIONI A CONFRONTO

bce

 

Nel 1959, l’unico anno del secondo dopoguerra in cui prezzi al consumo diminuirono; erano dello 0,4% con vistosa crescita del Pil in termini reali oltre il 6,5% ed in parallelo il deficit di bilancio fu solo dell’1%. Una riduzione  dei prezzi che dipese da un grande aumento di produttività ed a sua volta dall’aumento del prodotto globale con più profitti più salari e occupazione. In pratica un benessere diffuso erogato a piene mani.

Con una certa sicumera Vittorio Feltri  ha scritto sul  quotidiano Libero (del 7/01/’17) che è stato uno degli anni peggiori del 2^ decennio del dopoguerra perché non avevamo ancora la lavatrice né l’aspirapolvere. La caratteristica appena enunciata faceva riferimento ad una miseria strisciante ancora posseduta dall’Italia nel suo complesso e dove era difficile campare.

Ma Feltri dimentica una cosina non da poco che questo stato di cose era soltanto il preliminare di una situazione che doveva esplodere di li a poco. La deflazione del 1959 era semplicemente la vigilia di un boom economico senza precedente per l’Italia; una riduzione dei prezzi che prelude una esplosione di produttività che insieme ad un consistente aumento di una produzione globale portò ad incrementare salari e profitti.

Un potenziale enorme in un paese periferico quale era l’Italia con le caratteristiche di essere uscito sconfitto da una guerra ma nello stesso tempo la volontà di (ri)emergere da quella catrastofe grazie l’aiuto che seppero portare uomini valenti usciti dal regime fascista (Beneduce, Mattioli, Mattei, Olivetti,….),  imponendosi con la forza delle loro  idee in un impetuoso sviluppo economico ed una conseguente rinascita del paese.

 

Al contrario con il governo Renzi la produttività è in forte contrazione   (–1,5); il 2016 si è chiuso in Italia con una deflazione netta annua dello 0,1% una sconfitta della politica di governo (Renzi) che coniugava la riduzione dei prezzi con il taglio di utili e profitti tutti negativi e nonostante una Bce estremamente espansiva, quando cioè si andava diffondendo l’idea che un minimo di rilancio dell’economia si poteva realizzare.

A trascinare la deflazione sono stati principalmente i consumi e le quotazioni del petrolio. Se si esclude questi (consumi+ petrolio) i prezzi al consumo sono saliti  dello 0,5% (il livello maggiore da due anni e mezzo dal maggio 2014). Un dato che può segnare una crescita dei consumi che in assenza di un incremento dell’occupazione e degli stipendi si traduce in un ulteriore taglio del potere di acquisto delle famiglie. Da una spirale deflazionistica si può scivolare in una stagflazione.

Un pantano cui è impossibile uscire e su cui muoiono speranze e prospettive con una macellazione della domanda interna, cui l’esecutivo di Renzi ha mostrato tutta la sua incapacità nonostante la migliore congiunzione economica degli ultimi decenni: tassi a zero; prezzo dell’energia in saldo; una Bce che con il Qe (Quantitative easing) ha di fatto impedito una esplosione di debito pubblico e che in presenza di una deflazione tende a aumentare.

Ma per dirla con Gianfranco La Grassa: “ Il compito assillante non è la crescita (del Pil appunto) quanto invece lo sviluppo, nel senso del mutamento strutturale del paese secondo la finalità strategica di una superiore capacità competitiva, in grado di conseguire in tempi non lontani ottimi successi sul piano internazionale, inserendosi a pieno titolo nella tendenza al multipolarismo. Quindi, non la spesa per la spesa al fine di aumentare la domanda; bensì una spesa ben qualificata nella direzione della forte spinta (precisamente “pubblica”)  al rafforzamento dei settori d’avanguardia. Sarebbe però necessario spazzare via l’attuale mediocrissimo e servile personale definito (impropriamente) politico. Al potere dovrebbe andare – e senza tanti complimenti e perdite di tempo “democratiche”, cioè sempre alla ricerca di voti d’opinione da chi opinioni ne ha poche e non sa nemmeno organizzare la propria vita privata –  un solido gruppo assai deciso ad incrementare la politica proiettata verso l’estero, la potenza diretta al conflitto per le sfere d’influenza, che fa da battistrada alla competizione di tipo detto economico (perché ci si scorda di quanta politica occorra per vincere nei “mercati”. “

GIANNI DUCHINI 12/01/17