La nuova fase strategica dell’era Trump (di A. Terrenzio)
Le parole del neo Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, sono suonate come una vera e propria dichiarazione di guerra alle élite mondialista e all’intero establishment americano.
Secondo le parole del “Tycoon” a terminare e’ l’era del dominio di Wall Street sulla politica ed il ritorno di ques’ultima al servizio del popolo americano.
Ad assistere al nuovo insediamento un Obama sconfitto che lascia dietro di se una delle presidenze peggiori della Storia Usa, divi di Hollywood, giornalisti della CNN, femministe, agitatori prezzolati da Soros.
Ma gli Usa, con l’elezione di Trump, entreranno davvero in una nuova era?
Di certo l’elezione del Tycoon californiano non va letta soltanto come risultato del cortocirtuto economico ingenerato dalla globalizzazione.
Gli oltre 100 milioni di americani, impoveriti dalla Finanza e dalla delocalizzazione degli impianti produttivi, hanno sicuramente svolto un ruolo fondamentale, mostrando quei guasti della mondializzazione economica che hanno finito con lo schiacciare un’intera nazione.
Per quanto riguarda il quadro estero, la “geopolitica del caos” ha portato pochissimi risultati alla Casa Bianca: l’estromissione dal teatro mediorientale, la riapertura di una “guerra fredda” con la Russia, l’espansione dell”Isis, sono solo le sconfitte piu’ evidenti della fallimentare amministrazione Obama.
Per porre rimedio ai disastri creati da tale geopolitica del caos urgeva un cambio strategico nelle sfere alte del Pentagono.
Cio’ che sembra chiaro in questo cambio di amministrazione e’un significativo arretramento dell’elite “internazionalista” facente capo al falco Brezinsky ed il riaffacciarsi di personaggi “evergreen”come Herry Kissinger, alla guida della nuova fase strategica americana.
In particolare, dietro le dichiarazioni di rispetto ed ammirazione per Putin, da parte del neo-presidente repubblicano, ci sarebbe l’intenzione di riconfigurare la geopolitica Usa rompendo l’asse Mosca-Pechino. Sedurre la Russia in tale nuovo quadro servirebbe a colpire l’anello debole dell’area eruasiatica: l’Iran.
Come nota acutamente Roberto Vivaldelli sulla rubrica “Gli occhi della Guerra”, la strategia di Kissinger si differenzierebbe da quella di Brezinski, in una partnership con Mosca ed un allontanamento da Pechino.
In tale ottica vanno lette anche il possibile ritiro delle sanzioni alla Russia ed un eventuale riconoscimento della Crimea.
Come ricordato da G. La Grassa, gli Stati Uniti non rinucerebbero affatto alla loro leadership planetaria ma cambierebbero solo strategia al fine di riformulare la loro politica di potenza.
Nella fase incipiente al mondo multipolare, assiastiamo al configurarsi di “alleanze fluide” ed il cambio strategico di Washington ne e’ l’evidente dimostrazione.
Tuttavia, come accennato da Gianni Petrosillo su questo blog, non e’ escluso che in tale nuova strategia anche gli strumenti di dominio culturale americano subiscano un radicale cambiamento.
Il politicamente corretto, l’universalismo democratico e tutto l’ideologismo dei diritti, potrebbero essere non piu’ utili ai nuovi “hauks” di Washigton decisi ad investire in un ritorno al sovranismo ed al ripristino di valori conservativi.
Lo stesso attacco cosi’ esplicito di “The Donald” alle multinazionali ed ad mondo finanziario, accusati di aver ridotto alla poverta’ la maggioranza dei lavoratori americani, non dovrebbe essere letto diversamente.
Il collasso della societa’ americana, unita ai disastri creati dall’amministrazione dei Democratici, hanno posto questi ultimi in uno stato di minoranza nei piani alti del Pentagono.
Resta da capire come Donald Trump affrontera’ i dossier piu’ caldi della politica estera Usa: Stato Islamico, Russia, Cina.
I rapporti con la Federazione Russa sono ancora avvolti nell’ambiguita’.
Le dichiarazioni del neo Segretario di Stato Rex Tillerson, del Capo del Pentagono James N. Mattis, fino al Capo della Cia Max Pompeo, sono ben lontani dai toni distensivi ed amichevoli usati da Trump nei confronti di Putin e di rimando al ruolo che giochera’ la Nato.
I 5000 uomini inviati nell’Est Europa da Obama, comunque non rappresentano un buon segnale, e bisognera’ capire se la nuova amministrazione del Pres. alleggerira’ concretamente le pressioni su Mosca.
Un’altra questione riguardera’ i rapporti con i populismi di destra europei e se Trump ne rappresentera’ un alleato.
I movimenti sovranisti in tal caso, potrebbero svolgere un ruolo di rottura dell’establishment tecno/finanziario dell’UE, specie se in paesi come la Francia e la Germania,dovessero determinarsi strappi simili a quelli della Brexit. E qui si aprirebbe un altro interrogativo, tutt’altro che di secondo piano: che ruolo avra’ l’Europa alla luce di una ritrovata partenership russo-statunitense?
Se anche nell’ Ue dovessero’ affermarsi forze indentitarie e sovraniste nelle prossime elezioni francesi e tedesche, questa nuova fase multipolare potrebbe entrare nel vivo.
La possibilita’ di ristrutturare i vertici politici dell’Unione potrebbe finalmente ridare all’Europa quel ruolo di “polo” che le manca da troppo tempo, a causa dell’inadeguatezza dei suoi leader.
E’ troppo presto per avventurarsi in previsioni. Di certo c’e’ solo che i rapporti di forza tra gruppi di pressione alla Casa Bianca sono mutati ed i suoi effetti non tarderanno a manifestarsi anche su scala globale.