SANZIONI ALLA RUSSIA, CALCI ALL’ITALIA.
E’ notizia di qualche giorno fa che il “blocco occidentale” ha deciso di prorogare, per altri sei mesi, le sanzioni alla Russia, in seguito al protrarsi delle vicende ucraine.
Bruxelles e Washington contestano a Mosca l’annessione della Crimea ed il sostegno ai ribelli indipendentisti del Donbass. Atti che, se paragonati a quanto successo negli anni ’90, nell’area orientale del Continente (dallo smembramento della Yugoslavia, all’inglobamento nella Nato e nell’Unione Europea di paesi già appartenetti alla sfera d’influenza sovietica, fino alla secessione del Kosovo dalla Serbia), non dovrebbero provocare reazioni né scandalizzare alcuno, meno che mai chi ha ricartografato l’Europa a proprio piacimento, approfittando del tracollo russo, nell’ambito dell’implosione dell’Urss.
Tuttavia, pur tralasciando questo inequivocabile dato storico, la prosecuzione del regime sanzionatorio contro il Cremlino non è di nessuna convenienza per l’Europa. A guadagnarci è solo la Casa Bianca, il cui obiettivo di tenere separati in casa russi ed europei è prioritario per mantenere il predominio mondiale.
Le classi dirigenti europee non possono opporsi a questi diktat oltre-oceanici senza suicidarsi politicamente, essendo esse (e le strutture in cui agiscono) diretta emanazione dei dominatori americani dai quali dipende la loro sorte. Per i popoli europei, invece, l’estinzione di questi drappelli servili, è l’unica strada per fare di nuovo ingresso nella Storia.
Ma oltre al danno geopolitico, con l’Europa ridotta a spettatrice di battaglie per l’egemonia, tra contendenti assertivi che non esiteranno a tirarla in mezzo per farsene scudo, vi è quello geoeconomico.
Le relazioni tra Europa e Russia sono gravemente deteriorate, così come i loro affari. Secondo un rapporto del Riac (Russian International Affairs Council), prima delle sanzioni, la Russia era il terzo partner commerciale dell’Ue, alla quale forniva anche 1/3 delle sue necessità energetiche. A sua volta l’Europa era tra i principali partner economici della Russia, alla quale garantiva 1/10 delle importazioni agricole. Nel 2014 le esportazioni dall’UE verso la Russia sono diminuite del 12,1% e dalla Russia verso l’UE del 13,5%, con una riduzione del valore totale degli scambi da 326 miliardi di euro a 285 miliardi di euro. L’impatto delle sanzioni è stato diverso per i singoli membri dell’Unione. Qualcuno ne ha risentito maggiormente. Secondo il rapporto in questione, gli stati membri più danneggiati, in assoluto, dal calo delle esportazioni sono stati: Germania (14 mld di euro); Italia (3,6 mld di euro) e Francia (3 mld di euro). Berlino e Parigi hanno però economie più solide e sopporteranno meglio di Roma queste perdite, anche in termini occupazionali. Quest’ultima, invece, è in una situazione molto più delicata (detto eufemisticamente, perché in realtà è catastrofica) e non dovrebbe accodarsi, così scioccamente, a decisioni imposte dall’alto, senza tener conto dei suoi problemi, con dosi di autolesionismo che stanno superando il livello di guardia. Tanto più che i membri più tetragoni alla permanenza delle sanzioni (i quali soffrono anch’essi il peso delle sanzioni in virtù di antiche interdipendenze con lo scomodo vicino), cioè la Polonia e gli Stati Baltici, ricevono risarcimenti dal centro che all’Italia sono preclusi.
Se i nostri dirigenti non sanno sbattere i pugni per farsi valere e far valere gli interessi nazionali devono essere cacciati. I rapporti della Russia coi i suoi satelliti non ci riguardano, specialmente se per metterci in mezzo perdiamo soldi e posti di lavoro. Chi tenta ancora di ammannire bei discorsi sullo spirito inclusivo europeo, mentre evaporano le nostre speranze di ripresa economica, è un cialtrone da mandare al confino. Il popolo italiano non morirà per l’oligarca ucraino.