LE FACCE DEL POTERE

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E’ morto Totò Riina, lo chiamavano il Capo dei capi. Probabilmente, definirlo tale è troppo ma fu sicuramente uno dei leader della criminalità organizzata siciliana, con le sue ramificazioni nazionali e internazionali. I giudici lo hanno incriminato per quasi tutto, stragi, omicidi, traffici ed altre attività illecite con cui generalmente si sopravvive nel mondo della illegalità. E’ stato accusato dai pentiti di essere dietro ogni trama della mafia, dalla sua ascesa, negli anni ’70, fino alla sua caduta, nel gennaio 1993 (anno in cui viene arrestato). Lo si ritiene responsabile anche degli attentati dinamitardi successivi, tentati o riusciti, (a Firenze, Milano e Roma) finalizzati ad intimidire i magistrati che lo avrebbero giudicato o inviare messaggi in più alto loco politico. Non ci interessa, in questa sede, fare la storia criminale di questo individuo che non ha mai rivelato nulla ai togati e che ha sempre respinto le accuse di altri malavitosi, passati dall’altra parte della barricata. Nella sua tetragonicità, non scalfita nemmeno dal carcere duro, c’è già l’Uomo. Il potere, nella sua espressione più alta, si manifesta proprio attraverso questi personaggi che ne incarnano adeguatamente ruoli e finalità. Uno come Riina avrebbe potuto guidare un Paese per capacità strategica e attitudine al comando. Del resto, come afferma La Grassa, la criminalità organizzata è l’altra faccia della legalità “organizzata”. Potere e contropotere (o contropoteri) sono sempre Potere che si declina nelle sue varianti e variabili. O anche a diversi livelli, perché ci sono poteri che possono sussistere solo negli interstizi della società. La mafia, per esempio, non potrebbe mai lanciare l’assalto allo Stato, come afferma qualche sciocco. Per esistere necessita di un quadro legale che la qualifichi come antilegalità, limitata ad alcuni settori o estensioni (marginalità) territoriali. Lo Stato (i suoi apparati) “appaltano” questi spazi che gruppi criminali si conquistano confliggendo tra loro. La linfa del potere è, infatti, il conflitto per primeggiare ma ci sono anche conflitti che si esauriscono in una mera pressione, verso un Potere superiore che non è scalabile per la sua natura storica (egemonia della coercizione), al fine ottenere un certo riconoscimento o magari fette di torta più grandi nell’esercizio di determinate attività. La lotta tra legalità e antilegalità si riproduce costantemente perché hanno bisogno una dell’altra per esistere. Senza la prima non ci sarebbe la seconda e viceversa. Ma c’è un aspetto ancor più interessante da sottolineare. Gli uomini di potere sono agiti dal potere, pur sentendosene attori indipendenti. Scrive al proposito Carl Schmitt: “Il potere è una grandezza oggettiva ed autonoma rispetto a qualsivoglia individuo umano, che, di volta in volta, lo detenga nelle proprie mani…La realtà del potere passa sopra la realtà dell’uomo. Io non dico che il potere dell’uomo su un altro è buono. Non dico neanche che è cattivo. Dico però che è neutro. E mi vergognerei come essere pensante di dire che è positivo, se sono io ad averlo e negativo se a possederlo è il mio nemico. Mi limito ad affermare soltanto che il potere è per tutti, anche per il potente, una realtà a sé stante e lo trascina nella propria dialettica. Il potere è più forte di ogni volontà di potere, più forte di ogni bontà umana e fortunatamente anche di ogni malvagità umana”. Qui, ovviamente, non si tratta di scagionare gli individui dai loro atti ma un soggetto che occupa un determinato ruolo (di potere) si troverà invischiato nella sua logica. Un presidente darà, dunque, l’ordine di sganciare la bomba atomica, un mafioso quello di fare una strage. Oppure, un Capo di governo varerà un provvedimento per concedere le cure gratuite ai non abbienti ed un capo cosca distribuirà stipendi alle famiglie dei carcerati. Di cattiverie e di buone azioni è lastricata la strada del potere e dei suoi strumenti-umani.
Detto ciò, molto grossolanamente, lo ammetto, mi disturba leggere sui giornali che a Riina debba essere negata persino la dignità umana. Sallusti che scrive “uno di meno” o “non riposi in pace” al boss è un abietto. Fu lui, qualche tempo fa, ad invocare l’omicidio di Kim Jong Un. Ciò vuol dire che, se egli avesse potuto, avrebbe dato l’ordine di ammazzare un uomo per preservare un ordine da lui ritenuto superiore. Non è questa la cosa spregevole che si rimprovera a Riina, di uccidere per mantenere il controllo? Feltri, invece, scrive oggi che un analfabeta come Riina, con la 5° elementare, non poteva essere un vero capintesta. Per esercitare il potere, o per comprenderlo intimamente, ci vuole la laurea? E che dire di quegli imprenditori che hanno il fiuto degli affari senza aver mai studiato marketing? Questi giornalisti sono davvero ridicoli. Loro sì che senza capire nulla del mondo che li circonda pretendono di dare lezioni a tutti su tutto lo scibile umano e disumano.