Caos mediorientale di GLG
Osservando la nuova crisi nel Medioriente, facciamo alcune semplici osservazioni (su una situazione per nulla semplice). I curdi – ben legati agli Usa, di ieri (Obama) come d’oggi (Trump) malgrado gli acuti dissidi tra i due gruppi di vertice statunitensi – hanno combattuto l’Isis, pur sempre finanziato (più di nascosto e tramite Qatar, Arabia Saudita che ha poi fatto finta di rompere con quest’ultimo proprio su tale questione) dagli Stati Uniti; stavolta direi soprattutto quelli di Obama mentre sembra che Trump sia contrario, anche perché ormai il tempo di quell’organizzazione “radicale” e fomentatrice di terrorismo è decaduto nella sostanza (magari ne inventeranno qualcuno di nuovo). Nello stesso tempo i curdi sono stati a fianco delle truppe che hanno cercato di abbattere Assad, tenuto in piedi dai russi. Nel combattimento contro l’Isis i curdi erano a fianco degli iracheni, poi sono stati attaccati da questi ultimi nelle zone che occupavano in Irak. Adesso sembra che ci siano contatti tra curdi e i siriani di Assad. In effetti mentre le truppe siriane si scatenano alla periferia di Damasco contro residui dell’islamismo radicale, al nord si oppongono all’offensiva turca contro i curdi Nel contempo la Turchia – anch’essa fornitrice un tempo di armi all’Isis – adesso ha rapporti apparentemente non di contrasto con i russi mentre attacca appunto con particolare decisione i curdi, con cui ha un ben lungo contenzioso per ragioni territoriali e altro. I russi hanno appoggiato senza esitazioni e giravolte Assad (difendendo le proprie posizioni nella zona), non hanno assunto posizioni nei confronti della questione turco-curda, ma hanno avuto contrasti con tutti quelli (compresi appunto, fino a poco tempo fa, i curdi) che, appoggiati dagli Usa, hanno cercato di spazzare via il regime siriano legittimo (cioè quello che per decenni ha guidato il paese). Ci sono state frizioni tra Russia e Turchia, per il momento calmatesi; mentre Russia e Iran (che appoggia pur esso Assad in Siria e, naturalmente, gli hezbollah in Libano) hanno sempre sostanzialmente mantenuto buoni rapporti. Iran e Turchia sono chiaramente subpotenze regionali in contrasto per la supremazia in quell’area, ma ultimamente hanno attenuato i contrasti con la mediazione della Russia. Mentre gli Usa di Obama avevano ad un certo punto tentato di dividere gli islamisti, con un’attenuazione dei contrasti con lo sciita Iran (trattato sul nucleare) e creando così attrito con la sunnita Turchia (che li ha accusati di aver favorito il tentativo di colpo di Stato contro Erdogan) e anche con Israele (sempre in forte attrito con gli iraniani), adesso i vertici trumpiani hanno assunto violenta contrapposizione all’Iran, ricreando un asse forte con gli israeliani, che hanno acuito in questi giorni la tensione con tale paese e per nulla favorevoli ad Assad; anche se sembrano mantenersi rapporti non eccessivamente tesi tra Israele e Russia. La Turchia non sembra per il momento riavvicinarsi troppo agli Stati Uniti della nuova strategia, preferisce regolare i conti con i curdi e sta sul chi va là, senza sbilanciarsi troppo, con Russia (e Siria) e perfino con l’Iran (ma sarà cosa temporanea); e in fondo anche con Israele, che tuttavia considera come concorrente per l’influenza nell’area in questione.
Ho cercato – e chiaramente a malapena e con difficoltà, dato il guazzabuglio esistente – di dare un’idea della situazione creata chiaramente dal multipolarismo in crescita (pur non ancora decisa come dovrebbe), che ricorda, lo ripeterò sempre, quanto si verificò negli ultimi decenni dell’800, con l’Inghilterra ancora prima potenza mondiale ma in declino (in quel momento lento, poi si accelerò), con crescita degli Usa (dopo che il nord spazzò via i cotonieri del sud) e della Germania, nata nel 1871 proprio alla fine della guerra che mise definitivamente fine alle velleità francesi. Ho sentito in TV 2-3 giorni fa un “grande” economista (di cui non m’interessa nemmeno ricordare il nome) affermare, con fare solenne e molto pensoso, che ormai la crisi, iniziata nel 2008, è sostanzialmente alle spalle. Ci si si scorda che la “grande stagnazione” di fine ‘800 aveva paesi che crescevano ancora fino al 2-3%, ma con ritmi nettamente inferiori a quelli del trentennio precedente. Ed eravamo in piena seconda rivoluzione industriale: elettricità, chimica (in specie in Germania) e, un po’ più tardi, il motore a scoppio che diede vita a quel settore successivamente facente parte del cosiddetto metalmeccanico (creatore della gran parte dei mezzi bellici usati nelle guerre novecentesche), in cui si sviluppò l’organizzazione lavorativa passata alla storia come taylorismo-fordismo, che alcuni “teorici” e “storici” (anche molti “marxisti”) considerarono – ed è storia più recente – la causa principale della vittoria degli Usa nella seconda guerra mondiale. Magari una volta parleremo di queste tesi sempre semplicistiche, del tipo delle ultime ossessionate dall’onnipotenza della finanza, confondendo tra l’altro quella che era correttamente considerata (ad es. un secolo fa da Hilferding e Lenin) l’intreccio (“simbiosi” per Lenin) tra banca e industria con il semplice capitale in forma liquida o facilmente così trasformabile. Tornando a quella più lontana crisi, ricordiamo che pure allora l’intenso sviluppo tecnologico creò gravi difficoltà nell’occupazione della forza-lavoro e rese obsolete molte capacità lavorative, già fortemente investite a anche azzerate dalla prima rivoluzione industriale (1760-1830/40) con distruzione dei saperi ancora artigianali in vigore nella manifattura, pur già capitalistica. Le crisi economiche – quelle tipiche del modo di produzione capitalistico, così differenti dalle carestie delle precedenti forme di società – sono sempre, con varie modalità, sintomo ed effetto dell’“eterna” lotta, acuta o meno acuta, per le sfere d’influenza. E’ meglio ricordarsi queste poche e scarne, ma fondamentali, notizie storiche. Altrimenti continueremo a non capire l’inevitabilità dell’acuirsi dei conflitti estremamente confusi e con continui mutamenti di alleanze, conseguenza tipica del lento affermarsi di altre potenze che rendono impossibile una relativa regolazione del sistema globale da parte di una potenza predominante. Non ci sarà più nulla di regolato fino al prossimo (non ancora vicinissimo) scontro decisivo per una nuova supremazia.