Il signoraggio è una idiozia
Tutti che parlano del denaro e pochi che capiscono cosa esso sia realmente o rappresenti nelle nostre formazioni sociali moderne . Così rifioriscono teorie precapitalistiche o feudali della moneta che definire pagliacciate è dir poco. Si tratta di paurosi passi indietro anche rispetto alle teorie dei grandi padri dell’economia classica, di certo più utili delle idiozie signoraggistiche. Intorno a simili riti apotropaici si formano gruppetti di complottisti convinti di potersi liberare di tutti i rapporti sociali che il denaro presuppone, denunciando i furti dei coniatori o le regole più o meno rigide del suo stampaggio.
Non basta di certo avere il controllo sulle masse monetarie per risollevare l’economia e la società di un paese
“…quelli che si attengono soltanto alla moneta – vedendo nel denaro una superflua duplicazione – e soprattutto considerano quest’ultima mero segno (contabile o altro), cadono nell’illusione che, manovrandola a piacimento, possono ottenere tutti i risultati voluti; ed infatti continuiamo a constatare, in ogni epoca, i bei risultati di questa presunzione. Tuttavia, i tecnici si dividono accanitamente sulla “manovra”. Alcuni dicono: lasciate che sia il mercato a decidere di quanta moneta c’è bisogno, l’autorità monetaria (perché ormai ce n’è una, anzi più) deve adeguarsi alle regole degli scambi lasciati liberi di estrinsecarsi e svilupparsi come meglio credono. Altri ribattono: così si producono fenomeni di crisi, di tensione, è meglio intervenire e togliere o immettere questo carburante come il guidatore alza o abbassa il piede dall’acceleratore ottenendo, quando la vettura è a posto, il risultato esattamente voluto. Solo che “lorsignori” delle autorità in questione non ottengono affatto i risultati voluti; forse perché la “vettura” non è mai a punto? Poi ci sono i “critici del sistema”, quelli del “comando del capitale”, o peggio ancora i banalissimi scopritori del “signoraggio”: il capitale schiaccia i suoi sudditi tramite lo Stato (o l’autorità monetaria centrale) più o meno come faceva il signore feudale con il diritto di conio o addirittura la tosatura delle monete. Sappiamo bene i risultati che ottenevano i signori feudali con questa bella trovata. Ma i “critici critici” hanno una tale adorazione, e nel contempo terrore, dello Stato – della cui costituzione e funzioni non capiscono assolutamente nulla, salvo ancora una volta ciò che si “vede a occhio nudo”, senza alcuna lente teorica, senza che intervenga la scienza – che credono esso possa opprimere e derubare i suoi “sudditi” come gli pare e piace. (La Grassa).
Occorre, invece, capire “il valore intrinseco del denaro e la distinzione tra questo e le sue varie figure monetarie. Queste ultime sono emesse, e garantite, dal “Principe”; ma il loro valore non dipende dal suo volere e potere, per cui la funzione ( strumentale) da esse svolta non può essere manovrata a piacimento al fine di conseguire gli scopi fissati e perseguiti. Si arriva inoltre ad un’altra conclusione, che lascerà esterrefatti i lettori: esiste un valore intrinseco da cui le varie monete, in quanto rappresentazioni dell’equivalente generale, sono influenzate. Naturalmente, si alzerà un coro di proteste: ormai il segno monetario è completamente staccato da ogni riferimento ad un qualsiasi metallo prezioso, in effetti all’oro. Di conseguenza, anche il tempo di lavoro che si rappresenta in una data quantità di quest’ultimo non avrebbe proprio nessuna rilevanza per i problemi connessi alla moneta. Mi fa piacere constatare il “vero materialismo” degli economisti. Mi si passi un’analogia certo un po’ all’ingrosso ma non inefficace: la massa di un corpo sarebbe materiale, l’energia in cui essa può trasformarsi sarebbe invece un “puro segno”… il conflitto strategico interdominanti è il campo di energie entro il quale si sviluppa il capitalismo e si riproducono i suoi rapporti; esso rappresenta in definitiva anche il valore intrinseco del mezzo monetario. Non appunto nel senso di una quantità, di una sostanza, ma di quel qualcosa di comunque materiale (perché tale è ogni energia) che impedisce il “comando capitalistico”, la “manovra monetaria” a piacimento per conseguire gli scopi fissati e perseguiti… Dunque, questa la conclusione: esiste un valore intrinseco del mezzo monetario; pur se non sono sicuro se sia ancora teoricamente utile distinguere tra denaro e sue figure monetarie. Non mi sembra però questo il problema centrale; l’importante è capire perché i tecnici ed “esperti” del capi- tale siano oggi così spaesati di fronte alla crisi in corso e mutino ogni giorno a 180° pareri e previ- sioni. Gli espedienti adottati – manovre monetarie, fiscali e altre – dimostrano di essere poco più che semplici palliativi; da effettuare comunque, così come si somministrano certe medicine solo per dare sollievo poiché non sono in grado di guarire quella certa malattia, attenuandone però alcuni ef- fetti. Non suggerisco a nessun tecnico di stare con le mani in mano; solo credo che la scienza debba andare un po’oltre… Si potrà obiettare che non sto usando l’espressione “valore intrinseco” (del sedicente segno monetario) nel suo significato usuale e più appropriato. In effetti, non faccio alcun riferimento ad un legame diretto tra un certo numero di unità monetarie e la quantità di metallo (di lavoro in esso incor porato) che esse rappresentano, così come fece Marx; e nemmeno mi riferisco a rapporti altrettanto diretti tra quantità di moneta in circolazione e livello generale dei prezzi come ha fatto la teoria economica ufficiale. Sto pensando ad una relazione di ultima analisi, per nulla affatto immediata e semplice, oscurata invece dal solito livello dell’empiria sensoriale; una relazione che non si esprime direttamente secondo schemi scarni espressi in termini solo quantitativi, sia pure entro i margini minimi e massimi degli stessi. Quello che denomino valore intrinseco è in definitiva il campo di energie creato dal conflitto strategico, all’interno del quale si vanno “coagulando”, “condensando”, determinati corpi: le imprese, ad esempio, nella sfera economica; gli apparati politici e istituzionali, più o meno compatti e costituiti da organizzazioni formali o informali, in quella politica; e via dicendo.” (La Grassa)