QUALCHE SPARSA CONSIDERAZIONE SUL CONFLITTO CHE E’ VITA, di GLG

gianfranco

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Tra un bel po’ di materiale in merito all’argomento che tratterò, sia pure succintamente, ho trascelto due scritti (di fonti diverse) che ritengo utile leggere. In ogni caso, svilupperò le mie considerazioni in merito al rapporto esistente tra nemici anche nel momento dello scontro acuto (e talvolta definitivo) tra i due. Gli articoli riguardano la seconda guerra mondiale e si rifanno soprattutto ai rapporti tra organizzazioni economiche (in particolare grandi imprese) di Usa e Germania in contattopiuttosto stretto fra loro. E’ però chiaro che i rapporti tra nemici, nello scontro decisivo per la vittoria di uno sull’altro, non sono solo quelli economici e riguardano quanto sempre avviene, in ogni epoca della storia umana. In effetti, l’interpretazione più banale di tale fatto è la volontà di uomini e gruppi del settore produttivo diperseguire il proprio profitto, fregandosene altamente degli interessi in gioco per il proprio paese. Allora, tale fenomeno sarebbe caratteristico soprattutto dell’epoca capitalistica e i capitalisti sarebbero individui immorali solo concentrati sui propri guadagni personali.

Anche se fosse così, si tratterebbe comunque di un fatto assai interessante, che smentisce tanta ideologia di certi movimenti anticapitalisti. In effetti verrebbe in evidenza che il vero “internazionalismo” non è quello delle classi dominate (“proletari di tutto il mondo unitevi”) bensì riguarderebbe proprio la classe antagonistica (la “borghesia”) rispetto a quella dominata e sfruttata, la classe operaia, la quale generalmente non ha mai saputo opporsi alla guerra tra paesi capitalistici ed è sempre stata portata in battaglia con l’inconsistente opposizione di piccoli gruppi, facilmente messi a tacere e spazzati via.

In realtà, la situazione è piuttosto differente. Da sempre, in ogni epoca della storia umana, arriva il momento in cui si giunge all’urto aperto e definitivo tra gruppi al potere in certe aree territoriali, dove abitano determinate popolazioni unite in dati sistemi di rapporti sociali di vario tipo e controllate in varia guisada detti gruppi. Tali popolazioni (un insieme sociale divisoverticalmente in strati e orizzontalmente in comparti vari) sono in genere, almeno per quanto riguarda la loro parte attiva nelle dinamiche politiche dei diversi paesi (o aree) d’insediamento, interessate a seguire i gruppi di potere in questione nel momento del loro acuto conflitto; salvo quando arriva la sconfitta di uno di questi, che dissolve spesso l’interesse dei subordinati al perdente e la frequente emersione fra essi di chi tenta di riorganizzarsi piegandosi al vincitore.

I gruppi al potere in dati paesi o aree da essi controllati non possono non arrivare infine allo scontro per affermare la loro supremazia su aree ancora più estese. Non esiste, se non nell’ipocrisia delle epoche in cui vi è un certo equilibrio di forze tra gruppi di potere nelle varie aree, alcuna possibilità di pace e di proficuo rapporto pacifico. In realtà, lo ripeto, la pace è solo un periodo di conflitti più sordi, non affidati allo scontro acuto e spesso armato tra i contendenti (se non in certe aree limitate situate tra di essi) poiché si ammettono ancora margini di mediazione e di possibilità di reciproca convivenza,salvaguardando però i propri principali interessi con ampi margini di soddisfazione per i vari contendenti.

2) Ovviamente nessuno – che non sia un po’ malato di testa – ama lo scontro quando arriva a livelli di violenza tali da implicare morte e distruzioni di vasta entità. Tuttavia, è necessario essere anche razionali e lucidi nella considerazione del conflitto. Esso è vita, senza di esso la vita si affievolirebbe e scomparirebbe. Il conflitto termina solo con la massima entropia, con la fine dello scorrere dell’energia vitale, con l’inerzia e immobilità totale (quella propria dei cadaveri degli animali morti; non subito, ma dopo un tempo relativamente breve cui segue semmai quell’altro “conflitto” che conduce alla totale dissoluzione pure del cadavere e alla sua assimilazione a ciò che lo circonda). Non si può fare a meno del conflitto. E questo non riguarda appunto la sola vita animale, anche se in questa – e massimamente nell’essere umano (che è stato, se non erro, di cinque specie differenti, in cui ha prevalso infine quella sapiens) – assume particolare evidenza per la vita e la sopravvivenza.

Non considero ragionevole e augurabile l’esplodere più violento del conflitto; comprendo che si faccia il possibile per contenerlo, attenuarlo, rinviarlo, cercare di limitare i danni e le distruzioni quando esso diventa inevitabile. Tuttavia, bisogna prendere appunto atto della sua inevitabilità perché ogni forma di vita porta allo scoccare di correnti di energia tra poli opposti. E non ci si può tirare sempre indietro poiché l’unico risultato è la resa alla supremazia di “un altro”. E la resa non elimina il conflitto e nemmeno l’acerbo antagonismo; semplicemente comporta la continua prevalenza della corrente proveniente da una parte e la supina sottomissione dellenergia dell’altra parte a tale corrente preminente. Quindi, diventano spesso irritanti e veramente disgustosi i discorsi sulla pacifica convivenza, sulla presunta fratellanza umana, sulla nostra eguaglianza e altre falsità affermate in piena consapevolezza da chi intende semplicemente spegnere l’energia altrui per continuare nella propria supremazia; soprattutto quando il predominante (e prepotente) avverte che quest’ultima comincia a traballare.      

Non siamo per nulla eguali, una menzogna evidente raccontata proprio da chi vuol prevalere. Siamo diversi come individui, come gruppi sociali in un dato paese, come paesi abitati da popolazioni caratterizzate, almeno per larghi tratti, da una storia comune, da una lingua comune (pur magari diversificata in innumerevoli dialetti), da abitudini, tradizioni, costumi in gran parte simili. E siamo diversi come “razze”, dove razza è puro sinonimo di etnia. Leggiamo il dizionario Devoto-Oli al termine razza: “Serie omogenea di individui (animali o vegetali) contraddistinti da comuni caratteri esteriori ed ereditari” E ancora: “Ogni raggruppamento d’individui costituito in base a caratteri somatici (comuni, costanti, ereditari…….) spec. in quanto può costituire un motivo di profonda DIFFERENZIAZIONE [evidenziazione mia!] sul piano delle relazioni sociali e politiche: il termine è oggi sempre più spesso sostituito con quello più appropriato di etnia”. E allora uno cerca sullo stesso dizionario il termine etnia: “Aggruppamento umano basato sulla comunità di caratteri razziali [razziali, avete capito? Nota mia], culturali linguistici (dal termine greco ethnos, ‘popolo’”.

Di conseguenza, etnia non è “più appropriato” di razza, è esattamente la stessa cosa; la presunta maggiore appropriatezza èsolo legata alla sudditanza del culturame odierno a classi dominanti ormai vetuste e corrose, che si servono di tutte le menzogne che riescano a suscitare emozioni contrastanti e divisive fra i sottoposti. E allora una di tali menzogne è che se si parla di razza si è “razzisti”. No, imbroglioni e vigliacchi, mentitori spudorati e infami. Razzista è chi pensa che le razze (o etnie, la stessa cosa) si dividano in superiori e inferiori. Questo va negato con forza. Per quanto sembra ormai appurato, anche l’uomo “neanderthaliano” (e pure quello delle altre tre specie che non ricordo come si chiamino) non era affatto inferiore a quello sapiens. E’ proprio ciò che deve essere affermato con determinazione. Non però che non esistano popolazioni – tutte con secoli e millenni di propria civilizzazione alle spalle del tutto diverse fra loro; e divise spesso da tradizioni, costumi, cultura (fra cui quella religiosa) profondamente differenti e non integrabili in quattro e quattr’otto come affermano coloro che, ormai nel pieno disfacimento della loro predominanza, vorrebbero sfruttare tali differenze per mettere gli uni contro gli altri i ceti sociali a loro subordinati da ormai troppo tempo.

3) E qui nasce il vero conflitto dei tempi attuali, in specie nel mondo detto “occidentale”; e con particolare riguardo alla nostra area europea, che più ci compete da vicino. Con la subordinazione alla super(pre)potenza statunitense, quest’area è stata dominata per decenni e decenni da gruppi politici ed economici, che trovano il loro interesse nel servire supinamente tale (pre)potenza.; e questi gruppi di asserviti hanno formato altri gruppi diintellettual(oid)i, giornalisti e via dicendo di una vergogna indicibile. Sono questi ad utilizzare tutti gli “anti” a lorodisposizione per squalificare coloro che ormai si ergono a difesa dei ceti subordinati: “antirazzismo”, “antifascismo”, “antifemminismo”, “antiomosessualità”, ecc. ecc.

Purtroppo, c’è anche chi cade nel tranello e infatti assume posizioni contrastanti in modo tale da dare talvolta l’impressione che sia appropriato l’uso dei termini squalificanti. Dobbiamo quindi stare molto attenti a quanto sosteniamo. Non siamo per nulla per la superiorità di una razza o etnia; ma rivendichiamo la diversità tra esse (che fra l’altro implica maggiore ricchezza di contenuti). Non siamo per il ritorno di vecchie e superate ideologie (e non solo il fascismo). Non siamo contro le donne; abbiamo magari un po’ di schifo per le “Asia Argento”, per il mondo di Hollywood, non per le donne. E non siamo contro gli omosessuali; semmai diciamo loro che si sentano infine pari agli altri e non tentino di apparire sempre superiori!      

Questo discorso non finisce quindi qui. Siamo anzi agli inizi. E il conflitto contro quelli che ancora ci si ostina a definire “di sinistra” (comunque la terminologia poco importa al momento) deve intensificarsi e bisogna smantellare i loro vaneggiamenti di inconsistente eguaglianza. Questi “sinistri” sono integralmentereazionari e vogliono mantenere un potere ormai infetto, che rende malata l’intera nostra società. Purtroppo a me sembra che ancora non sia sorto il loro autentico antagonista, quello che li deve annientare se si vuole ancora che esista una civiltà europea (con tante popolazioni però, con tante tradizioni, costumi e lingue differenti; e tuttavia di possibile forte vicinanza reciproca).

Quindi si torna a quanto già detto: il conflitto è vita. Tuttavia lo è quando tra le correnti che scoccano fra loro in contrasto prevale infine quella che fa veramente “circolare il sangue e la linfa” con maggiore energia. La corrente negativa, tendente a spegnere la vita, deve essere infine soppressa. Poi, logicamente, se la vita deve continuare, sprizzeranno nuove scintille e si apriranno ulterioricontrasti. In quest’epoca ci troviamo di fronte quello appena detto (e che ho certo solo accennato schematicamente; la storia è d’altronde lunga). Lo si porti a fondo e si ridia vitalità alla nostra civiltà. Le epoche dei prossimi secoli e millenni, con i loro nuovi e diversi conflitti, non ci competono, nemmeno immaginiamo come potrebbero essere. Non fingiamo d’essere profeti; siamo umani che vivono un’epoca e devono confrontarsi con le correnti che in essa si sprigionano in uno specifico conflitto. E in quest’ultimodevono trovare la via per ridare nuova vitalità ed energia al “tutto”. Poi quest’ultimo si dividerà nuovamente; e così via.