Chi se ne frega dei giornali!
L’editoriale di Belpietro, pubblicato oggi sulla Verità (nome inadatto ad un quotidiano), è una lezione di giornalismo. Belpietro, fuori dai denti, ricorda ai colleghi che sui giornali si scrive soprattutto quello che vogliono gli editori, i quali, se non sono d’accordo, danno il benservito ai propri impiegati. Non da meno è stato Giuliano Ferrara su Il Foglio che le ha suonate alle anime belle e piagnucolanti della categoria, le quali si credono un contropotere pur avendo dei padroni ben paganti sulla testa. Oltre al volere degli editori, sugli articolisti opera l’influenza di chi può comprare le loro opinioni o esercitare pressioni, in varie guise. Poi esistono i condizionamenti indiretti e le “suggestioni”, per cui molti giornalisti si autocensurano, cioè evitano certi argomenti o li trattano con le pinze, per non scontentare qualcuno d’importante o per non rischiare la carriera. Infine, ci sono le proprie convinzioni che, ovviamente, hanno un peso decisivo nella narrazione dei fatti. Insomma, il giornalismo non è il luogo della verità o della libertà, semmai è quello della costruzione dei miti della verità, della libertà (e della democrazia) per volere dei gruppi dominanti. I giornali più importanti, di tiratura nazionale, hanno sempre dei proprietari con i soldi, o dei finanziatori occulti, che investono per vendere un prodotto e per persuadere l’opinione pubblica che la loro versione dei fatti è l’unica valida nell’Universo.
Possiamo anche essere più brutali, come Balzac, e dire che i giornali fabbricano la realtà così come piace a loro, pur basandosi su episodi realmente accaduti:“Il giornalismo, invece di essere un sacerdozio, è divenuto uno strumento per i partiti; da strumento si è fatto commercio; e, come tutti i commerci, è senza fede né legge. Ogni giornale è una bottega ove si vendono al pubblico parole del colore ch’egli richiede. Se esistesse un giornale dei gobbi, esso proverebbe dal mattino alla sera la bellezza, la bontà, la necessità dei gobbi. Un giornale non è più fatto per illuminare, bensì per blandire le opinioni. Così, tutti i giornali saranno, in un dato spazio di tempo, vili, ipocriti, infami, bugiardi, assassini; uccideranno le idee, i sistemi, gli uomini, e perciò stesso saranno fiorenti. Essi avranno i vantaggi di tutti gli esseri ragionevoli: il male sarà fatto senza che alcuno ne sia colpevole…Napoleone ha dato la ragione di questo fenomeno morale o immorale, come più vi piaccia, con una frase sublime che gli hanno dettato i suoi studi sulla Convenzione: i delitti collettivi non impegnano nessuno.” Il vero è semplicemente un momento del falso, diceva Debord, e viceversa. Quando un giornalista afferma che scopo del suo lavoro è raccontare i fatti per quelli che sono sta già mentendo spudoratamente. Perché i fatti non sono nulla se non vengono interpretati. Anzi, spesso i fatti non accadano se non sui giornali, come ci insegna E.L. Masters: “Ogni sindaco prima di me, sin dove arriva la memoria era stato accusato di essere un demagogo sognatore, oppure un ladro o un truffatore tuttavia io presi quel posto con un certa speranza, intendendo rendere tutto più bello, dare alla gente il dovuto, far sì che i grossi delinquenti si mettessero in riga. Come già una volta il Ledger stava tentando di vendere la sua terra per un parco, ma io lo impedii. Poi allontanai a bastonate sul muso lo schifoso maiale dal trogolo. Che accadde? Bene scoppiò un’ondata di criminalità sulle pagine del Ledger! Quanti rapinatori, giocatori d’azzardo, fuorilegge ubriaconi, e luoghi del vizio! La chiesa cominciò a chiacchierare, la corte mi si mise contro. Sporcarono il mio nome e quello della città mi uccisero per averla vinta. E questo è un gioco da banditi, amici miei, che si chiama democrazia!”
La scomparsa della stampa sarebbe una follia, cantava Gaber, ma di fronte a tanta deficienza
non avremo certo la superstizione della democrazia. Chiudiamo tutti i giornali e poi riapriamoli con calma, puzzeranno un po’ meno di ora, finché non tornerà ad accumularsi la stessa merda.