Ricordo di Pinelli di GLG
Oggi vorrei ricordare un uomo, la cui morte è particolarmente significativa delle aberrazioni di questa nostra “onorata” società. Il 12 dicembre 1969 vi fu l’attentato stragista a Piazza Fontana a Milano (Banca Nazionale dell’Agricoltura) con 17 morti e poco meno di cento feriti. Fu uno spartiacque rispetto al cosiddetto “autunno caldo”. Fu subito seguita la pista del “terrorismo rosso” (sbagliando in pieno) ed è ben noto che nella notte tra il 15 e il 16 dicembre, durante un interrogatorio da parte del commissario Calabresi, l’anarchico Pinelli cadde dalla finestra del palazzo della Questura. Era stato fermato la sera dell’attentato ed erano quindi trascorse le 48 ore di “fermo”, periodo dopo il quale era illegale trattenerlo mancando una qualsiasi autorizzazione della magistratura. Venne data subito una versione palesemente falsa affermando che era stato lui a gettarsi dopo aver pronunciando qualcosa come “ormai sono stato scoperto”. Fu dimostrato che il povero Pinelli non c’entrava nulla con l’attentato e quindi due vergogne sono a carico degli inquirenti: la falsità ovvia della dichiarazione attribuita all’ingiustamente incolpato per tentare di far credere al suicidio; il non aver mai chiarito la dinamica del fatto, che ha sempre sollecitato più che giustificati sospetti, ancor oggi non fugati dato lo “scorretto” (termine blando) comportamento tenuto dagli incaricati dell’“ordine costituito”. Non credo certo che sia stato buttato giù dagli interroganti, non esageriamo come si fece allora. Tuttavia, la vicenda non è stata chiarita e ci sono comunque responsabilità gravi sia per il fermo prolungato illegale, sia per le modalità possibili dell’interrogatorio.
Il 24 giugno del 1971 fu presentata denuncia dalla vedova Pinelli. Nell’ottobre del 1975, il giudice D’Ambrosio (ricordiamolo: uno degli “eroi” di “mani pulite”) concluse che la morte di Pinelli non era dovuta a suicidio od omicidio, ma a un “malore attivo”, provocato dallo stress degli interrogatori, dalle troppe sigarette fumate a stomaco vuoto e dal freddo che proveniva dalla finestra aperta, che avrebbe provocato nell’anarchico un’alterazione del “centro di equilibrio”, causando la caduta dalla finestra. La magistratura non accolse la richiesta della vedova Pinelli di essere risarcita dal ministero degli Interni per la morte del marito e per le spese processuali. L’unico commento possibile è: di male in peggio. Non parliamo del “malore attivo”, che è una pessima trovata. Restiamo sul fatto che non è stato volontariamente buttato di sotto e che certamente non si è suicidato. In ogni caso, si è trattato di una pesante ingiustizia commessa da chi si sciacqua sempre la bocca con l’improprio termine di “democrazia”, di “garanzie per l’individuo” e tutte le altre balle che ci vengono propinate da mane a sera.
Sulla sua lapide (che non ho mai visto) sta scritta una delle più belle e incisive poesie di Edgar Lee Masters, in “Spoon river”, testo che io ho amato e letto sempre fin dall’adolescenza. E mi piace trascriverla qui:
La macchina del “Clarion” di Spoon River venne distrutta,
e io incatramato e impiumato,
per aver pubblicato questo, il giorno che gli anarchici furono impiccati a Chicago:
<<Io vidi una donna bellissima, con gli occhi bendati
ritta sui gradini di un tempio marmoreo.
Una gran folla le passava dinanzi,
alzando al suo volto il volto implorante.
Nella sinistra impugnava una spada.
Brandiva questa spada,
colpendo ora un bimbo, ora un operaio,
ora una donna che tentava ritrarsi, ora un folle.
Nella destra teneva una bilancia;
nella bilancia venivano gettate monete d’oro
da coloro che schivavano i colpi di spada.
Un uomo in toga nera lesse da un manoscritto:
“non guarda in faccia a nessuno”.
Poi un giovane col berretto rosso
balzò al suo fianco e le strappò la benda.
Ed ecco, le ciglia erano tutte corrose
sulle palpebre marce;
le pupille bruciate da un muco latteo;
la follia di un’anima morente
le era scritta sul volto.
Ma la folla vide perché portava la benda>>.
Si può immaginare una migliore descrizione della giustizia in questa nostra società odierna? Anzi ora più ancora d’allora! Un grande poeta e un meraviglioso testo, che onora un paese fin dall’inizio in contraddizione con quanto formulato nella “Dichiarazione d’indipendenza” del 4 luglio 1776 (scritta da una commissione presieduta dal “grande e onoratissimo” Jefferson), di cui riporto un brano molto significativo:
<<Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità>>.
Questo è stato declamato nel mentre i ceti dirigenti di quel paese compivano (e continueranno per tutto l’800 a compiere) il genocidio dei “nativi d’America” (i cosiddetti “indiani” o, spregiativamente, i “pellerossa”). E nel XX secolo quel paese ha preteso di portare “libertà e democrazia” dappertutto massacrando a tutto regime: dai terribili bombardamenti (anche atomici) sulle popolazioni civili ai sanguinosi colpi di Stato (Indonesia e Cile in primo piano, ma non certo i soli) alle guerre di tipo “indocinese”, ecc. E con la subordinazione della “vile Europa”, di cui ci si deve vergognare di far parte secondo queste avvilenti modalità servili. E terminiamo qui perché nulla può esprimere il disgusto verso i ceti dominanti di quel paese, ancor oggi arroganti e che pretendono di imporre il loro volere all’intero globo. Tutti si dovrebbero levare contro questi ceti, tutti dobbiamo odiarli e sperare nel loro completo annientamento.
Oggi pensiamo a Pinelli, non certo l’unico ad aver perso la vita per la persecuzione cui sono fin troppo spesso fatti oggetto coloro che credono in una diversa organizzazione sociale. Razionalmente sappiamo che non ci si arriverà mai, ma stiamo attenti a non dichiarare inutile l’aspirazione a questa la lotta. E quindi onoriamo tutti gli individui del genere di Pinelli perché ci indicano una strada di cui non si vede la fine. Prosegue sempre con tante curve, salite e discese improvvise. E dobbiamo in essa avviarci comunque, seguendo quelli che ci hanno preceduto e sono stati fatti oggetto di ingiustizie inenarrabili nel percorrerla senza indietreggiamenti.
Onore a costoro. E onore a Giuseppe Pinelli, uno di loro!