Contro la democrazia

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Sentiamo dire da intellettuali di paglia, con parole altamente infiammabili, che la lotta al presunto ultimo stadio di degenerazione finanziaria del capitalismo è indispensabile per ripristinare la democrazia. Se questo è lo scopo della nostra battaglia siamo letteralmente fuori strada. E’ sbagliato il bersaglio (la finanza predona), ed è errata la meta (la democrazia da ristabilire). Si tratta, invece, di essere apertamente e prioritariamente antidemocratici perché la democrazia non è il “regno” del demos (la circoscrizione, non il popolo come comunemente creduto) alla greca ma è una proiezione “spirituale” di una forza “materiale”, coincidente con i rapporti ” a supremazia” di cui si sostanzia il mondo occidentale a guida statunitense. Pertanto, democrazia (inteso come prodotto specifico della nostra epoca) è eguale a egemonia del modello culturale americano. Non c’è scampo da questa appartenenza, nemmeno se romanticamente si sognano i greci. Torniamo, dunque, in noi e, peculiarmente, ai nostri riferimenti di sempre tralasciando gli allievi indipendenti di Marx che sono più indipendenti dal rigore scientifico che marxisti. Il Moro scriveva esplicitamente: “Le idee della classe dominante [o di una Potenza preminente] sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè, la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale… Se ora nel considerare il corso della storia si svincolano le idee della classe dominante dalla classe dominante e si rendono autonome, se ci si limita a dire che in un’epoca hanno dominato queste o quelle idee, senza preoccuparsi delle condizioni della produzione e dei produttori di queste idee, e se quindi si ignorano gli individui e le situazioni del mondo che stanno alla base di queste idee, allora si potrà dire per esempio che al tempo in cui dominava l’aristocrazia dominavano i concetti di onore, di fedeltà, ecc., e che durante il dominio della borghesia dominavano i concetti di libertà, di uguaglianza, ecc. Queste sono, in complesso, le immaginazioni della stessa classe dominante. Questa concezione della storia che è comune a tutti gli storici, particolarmente a partire dal diciottesimo secolo, deve urtare necessariamente contro il fenomeno che dominano idee sempre più astratte, cioè idee che assumono sempre più la forma dell’universalità. Infatti ogni classe che prenda il posto di un’altra che ha dominato prima è costretta, non fosse che per raggiungere il suo scopo, a rappresentare il suo interesse come interesse comune di tutti i membri della società, ossia, per esprimerci in forma idealistica, a dare alle proprie idee la forma dell’universalità, a rappresentarle come le sole razionali e universalmente valide.” Appunto, sostituiamo la parole “classe” con “superpotenza” ed il discorso non cambia molto, anzi diventa più cogente.
Ecco spiegato perché dobbiamo definirci e comportarci antidemocraticamente, essendo la democrazia una falsa ideologia universalistica che rappresenta il concreto interesse, non di tutti, ma di una nazione o area egemone. La democrazia e la sua sorella libertà sono figurazioni “razionali e universalmente valide” di interessi specifici che si traducono in una maggior subordinazione di chi si piega a detto sistema, soprattutto nella presente epoca di incipiente scoordinamento geopolitico. Scrive anche La Grassa: “la democrazia è quel regime dei dominanti, nel quale il popolo (la stragrande maggioranza dei dominati) viene chiamato ogni tot anni ad eleggere i rappresentanti (nella sfera politica) di coloro che lo opprimono e sfruttano. Lo stesso Lenin considerava la Repubblica democratica “borghese” (poiché a quell’epoca esisteva ancora, per quanto fosse ormai arrivato al suo “ultimo stadio”, il capitalismo borghese) il migliore involucro formale della reale “dittatura” della borghesia: dittatura di classe con un significato diverso da quello in uso presso tutti quelli che sono soltanto studiosi, formalisti, di politologia e diritto, autentici ideologi dei dominanti, trattati quali specialisti, anzi “scienziati” (figuriamoci!)”.
Considerato lo stato di subordinazione dagli Usa dei suoi satelliti europei e longue durée democratica che da un pezzo plasma simili società non sarà assolutamente possibile divincolarsi dal dominio della potenza d’oltreatlantico attraverso i riti elettorali. Sono i suoi cerimoniali. Quest’ultimi riproducono massonerie parlamentari che non vanno mai contro gli Usa. A volte si travestono di sovranismo, come recentemente accaduto, ma esclusivamente perché questa è la nuova parola d’ordine del trumpismo, da intendersi quale mutamento strategico principiato in America dopo le difficoltà dell’ultimo quindicennio che hanno decretato la fine del monocentrismo a stelle e strice.
E’ necessario, invece, un fattivo decisionismo da parte di autentiche élite nazionali, in grado di coinvolgere la popolazione con forme di partecipazione diversa dalle votazioni, al fine di rompere la gabbia d’acciaio dell’atlantismo. Piuttosto, in passato, sono state proprio le dittature ad aver trovato metodologie di trascinamento delle masse nell’arena politica, molto più attive e dinamiche della passiva liturgia delle urne, laddove occorreva liberarsi da condizionamenti esterni ormai troppo pesanti. Nel frangente in corso, con l’avvio del multipolarismo, si ripresentano necessità speculari. Quando è la libertà ad opprimere i popoli, i popoli hanno il dovere di opprimere la libertà.