Un consiglio a Salvini: prima la piazza.
Con Gianfranco la Grassa avevamo sostenuto, sin dal principio, che questo governo sarebbe caduto dopo le europee. Non poteva durare per l’eterogeneità delle parti che sono state costrette ad intrupparsi per volere di Bannon (ovvero di chi lo ha mandato qui). Ricordo che qualcuno venne a scrivermi di mettermi l’anima in pace ché i gialloverdi sarebbero durati tutto il mandato. Costui è stato servito perché la politica si fa con la testa e non con il tifo. Adesso non importano le responsabilità della crisi, sta di fatto che ha ragione Gianfranco a definire “forze della nebbia” i populisti/sovranisti e “forze del pozzo nero” i demoprogressisti, cadaveri di un’epoca finita che però tarda ad esaurirsi del tutto. Ci vorrebbero ben altre energie per dissipare la foschia e chiudere per sempre le cavità che esalano fumi pestiferi. Tuttavia, meglio un’aria appannata che velenosa. Salvini ha evidentemente ricevuto l’endorsement d’oltreoceano per chiudere questa esperienza perché le trame alle sue spalle si facevano sempre più pericolose, con i grillini che hanno dimostrato di essere il precipitato in senso chimico di una ideologia di sinistra ormai in sovrasaturazione. La partita è però aperta perché il capo dello stato, emanazione delle vecchie consorterie, vorrà scansare le elezioni trovando la quadra di una diversa maggioranza parlamentare con grillini, sinistri, centristi e mezzi destri. La lega, per evitare il pateracchio ed ottenere il ricorso alle urne, dovrà capitalizzare il consenso di cui gode nel Paese con una prova di forza che scoraggi le manovre del Quirinale. Potrebbe trattarsi di uno sciopero generale o di una manifestazione con milioni di persone che blocchi la Capitale e le principali città italiane. Un po’ quello che accade anni fa contro la riforma delle pensioni del I governo Berlusconi, avverso la quale i sindacati portarono in piazza più di un milione di cittadini, in quel frangente aprendo la crisi nella coalizione, qui invece si tratta di risolverla per evitare colpi di mano presidenziali. Il partito di Salvini deve dunque dimostrare che a seguirlo è la parte di popolazione più attiva, ciò evidentemente non risulta dai sondaggi (adesso favorevoli) ma dalla capacità di mobilitazione degli individui in carne ed ossa. In mancanza, anche se Salvini gode dei favori di Trump, perderà la leadership (ci sono tanti Maroni che lo attendono al varco) e il gradimento raggiunto dal suo partito. Di Maio, che già sputa parole di responsabilità perché ci “tiene” al Paese, attesta che i suoi si preparano ad un esecutivo di salvezza pubblica con quelli che fino a ieri erano opposizione. Salvini, ovviamente, ha chiaro quadro della situazione occorrerà vedere se ha anche il coraggio delle circostanze.