Marco Rizzo e la caduta tendenziale del saggio di profitto
Marco Rizzo mi sta simpatico, tuttavia non ho potuto non strabuzzare gli occhi quando ho letto la sua intervista a Libero in cui affermava: “si sta verificando quella che Marx chiamava la caduta tendenziale del saggio di profitto…la progressiva espropriazione di molti capitalisti da parte di pochi”. A parte la sbrigativa sovrapposizione tra due categorie marxiane che producono esiti diversi – in quanto la prima “legge” attiene alla cosiddetta composizione organica del capitale (il rapporto tra capitale costante, investito in mezzi di produzione, e il capitale variabile, investito nel pagamento dei salari), mentre la seconda, a fenomeni più esterni al processo produttivo, accesi dalla competizione intracapitalistica che determina la concentrazione prima e la centralizzazione poi dei capitali, i quali finiscono sempre più in mano a pochi individui che rigettano la gran massa dei propri simili tra i ceti inferiori – ci riesce difficile vedere nella realtà odierna queste previsioni del pensatore tedesco che appunto sono errate. Bisogna però dire che Marx non si impuntava su questi risvolti economicistici, non trattava il Capitale come cosa ma come rapporto sociale e non si arrovellava troppo sul tentativo di arrivare all’esatta misurazione del pluslavoro/plusvalore “estorto” alla classe operaia o alla dimostrazione della “trasformazione” (dei valori in prezzi di produzione). In realtà per il Nostro, anche la teoria del valore assumeva importanza cruciale laddove forniva una spiegazione della “struttura e dinamica dei rapporti sociali di produzione capitalistici”. Questo è lo spirito con cui Marx si cimenta nella sua elaborazione, tutt’altro che meramente economicistica. Marx riconosce alla sfera economica nel capitalismo una certa supremazia (legata all’efficacia dei sistemi di estrazione del pluslavoro/plusvalore), ma va appuntato che gli interessano in primo luogo i rapporti sociali (il capitale non è cosa ma rapporto sociale) di detta sfera. Le operazioni cervellotiche dei suoi epigoni, alcuni dei quali, anche nostri contemporanei, avrebbero risolto il dilemma dei dilemmi, quello della esatta coincidenza tra valori e prezzi di produzione, avrebbero fatto sobbalzare Marx dal suo scrittoio. Fu lui stesso ad affermare che tale riscontro sarebbe stato impossibile in circostanze reali e non puramente teoriche. Se vogliamo dirla tutta, tra realtà e legisimilità (astratta) c’è uno scarto e l’autore del Capitale lo ribadisce a più riprese, sia quando parla della “trasformazione” ma anche quando affronta le leggi interne della produzione capitalistica mediante l’azione di domanda e offerta. In questo passaggio viene in evidenza la modalità scientifica marxiana allorché precisa:
“Spiegare le vere leggi interne della produzione capitalistica mediante l’azione e reazione di domanda ed offerta è chiaramente impossibile (a prescindere da un’analisi più profonda, che qui tralasciamo, di queste due forze motrici sociali), perché tali leggi appaiono realizzate nella loro purezza solo allorché domanda ed offerta cessano di operare, cioè coincidono. In realtà, domanda ed offerta non coincidono mai o, se ciò avviene, è solo per caso; dunque, dal punto di vista scientifico, la loro coincidenza va posta = 0, deve ritenersi non accaduta. Eppure, nell’economia politica si suppone che esse coincidano. Perché? Da un lato, per poter studiare i fenomeni nella loro forma normale, corrispondente al loro concetto, dunque fuori dell’apparenza generata dal movimento di domanda ed offerta; dall’altro, per individuare la tendenza effettiva del loro movimento e, in qualche modo, fissarla (sottolineature mie). Le diseguaglianze sono infatti di natura antagonistica e, dato che seguono costantemente l’una all’altra, finiscono per compensarsi appunto in virtù delle loro opposte direzioni, del loro antagonismo. Se perciò domanda e offerta non coincidono in nessun caso singolo dato, le loro diseguaglianze si susseguono — e il risultato della deviazione in un senso è di provocarne un’altra in senso inverso — in modo che, considerando l’insieme di un periodo più o meno lungo, offerta e domanda costantemente si pareggiano, ma solo come media del movimento trascorso e solo come moto costante del loro antagonismo. Così i prezzi di mercato divergenti dai valori di mercato si livellano, ove se ne consideri il numero medio, sui valori di mercato, perché gli scarti in più e in meno da questi ultimi si elidono a vicenda. E, per il capitale, questo numero medio ha un’importanza non puramente teorica ma pratica, in quanto il suo investimento è calcolato in base alle oscillazioni e compensazioni su un arco di tempo più o meno preciso. Dunque, da un lato il rapporto fra domanda ed offerta spiega soltanto le deviazioni dei prezzi di mercato dai valori di mercato, dall’altro spiega la tendenza ad annullare tali deviazioni, cioè gli effetti del rapporto fra domanda ed offerta (Karl Marx, Il Capitale, sez.IV, Cap.X, Utet).”
Marx è un Galileo della scienza sociale, sostiene La Grassa, perché intuisce che “per esporre le leggi dell’economia politica nella loro purezza, si astrae dalle frizioni, allo stesso modo che, nella meccanica pura, si astrae da frizioni determinate che, in ogni caso singolo della sua applicazione, devono essere superate”. Sono questioni che sono state trattate da La Grassa nell’ultimo libro, Da Marx in poi, in corso di pubblicazione per Mimesis.
So che Gianfranco la Grassa ha inviato a Rizzo il suo saggio “Crisi economiche e mutamenti geopolitici”, è arrivato il momento che il leader comunista si aggiorni un po’ leggendolo. Ovviamente è solo un consiglio però essendo lui persona intelligente ne trarrebbe giovamento e sicuramente migliorerebbe anche le sue scelte politiche in una fase di profonda trasformazione degli assetti mondiali. Il capitalismo non si sta suicidando anche perché è già diversissimo dal sistema studiato da Marx più di 150 anni fa. Rizzo può dare certamente un grande contributo ai soggetti sociali che intende difendere ma soltanto in una nuova prospettiva che non ricorra a letture superate da un bel pezzo, ormai del tutto inservibili.