Basta nascondersi dietro la Scienza
Sono assolutamente per la scienza e per il suo metodo ma i nostri scienziati mi lasciano molti dubbi. Non bisogna nascondere che in tema di coronavirus sono passati dalla minimizzazione all’allarmismo, alla velocità della luce. Ciò non mi porterà mai dalla parte dei cialtroni dell’antiscienza che negano utilità dei vaccini et similia ma vorrei dire ai nostri esperti di rifuggire i media e ritornare a lavorare nei laboratori, dove danno il meglio di loro stessi. La vanità è una brutta bestia e tira cattivi scherzi, anche se si è uomini di sapere. Quando l’infettivologo Massimo Galli dell’Università di Milano-Ospedale Sacco e Giovanni Rezza dell’Istituto superiore di Sanità, spiegavano che la distanza da mantenere è di 1,82 metri, qualcuno ha fatto notare quanto segue: “1,82 m sono 6 piedi, misura di lunghezza anglosassone. Praticamente una misura a spanna, come i 2 metri da noi: quanto è meglio stare distanti? Mah… se stai a 6 piedi più o meno va bene! (pronunciato con accento inglese). E 6 piedi sono, calcolatrice alla mano, 1,8288 metri. E se la fonte originale della notizia è anglosassone, ecco che 1,82 m diventa la distanza che rappresenta la certezza “quasi matematica”… se poi la fonte primaria di quel 1,82 metri [male arrotondati] sono i due infettivologi citati dal Corriere della Sera, allora siamo veramente messi male! (Stefano Marcellini).
Non è che per garantirsi il presenzialismo detti dotti hanno detto troppo?
Con Gianfranco La Grassa abbiamo recentemente commentato, in un video, un interessante brano di Ortega y Gasset che riporto qui per iscritto:
“La barbarie dello «specialismo»
La tecnica contemporanea nasce dall’accoppiamento del capitalismo con la scienza sperimentale. Non tutta la tecnica è scientifica. Chi fabbricò nell’età preistorica l’ascia di selce, mancava di senso scientifico e tuttavia creò una tecnica. La Cina giunse a un alto grado di tecnicismo senza sospettare minimamente l’esistenza della fisica. Soltanto la tecnica moderna europea ha una radice scientifica, e da questa radice le deriva il suo carattere specifico, la possibilità di un progresso illimitato. Le altre tecniche – mesopotamica, nilota, greca, romana, orientale, – si dispiegano fino a un punto di sviluppo che non possono sorpassare, e, appena lo raggiungono, cominciano a retrocedere in una misera involuzione . Questa prodigiosa tecnica occidentale ha reso possibile la meravigliosa prolificità della casta europea… Ebbene, dunque: risulta che l’attuale uomo di scienza è il proto tipo dell’uomo-massa. E non per caso né per difetto personale di ciascun uomo di scienza, ma perché la scienza stessa -radice della civiltà – lo tramuta automaticamente nell’uomo-massa: cioè, fa di lui un primitivo, un barbaro moderno. La cosa è arcinota: innumerevoli volte s’è fatta constatare; ma, solamente articolata nell’organismo di questo saggio, acquista la pienezza del suo significato e l’evidenza della sua gravità . La scienza sperimentale s’inizia alla fine del secolo sedicesimo (Galileo), giunge a costituirsi alla fine del diciassettesimo (Newton) (16) e comincia a svilupparsi a metà del diciottesimo. Lo sviluppo di qualcosa è un fenomeno diverso della sua costituzione, ed è sottomesso a condizioni differenti. Così, la costituzione della fisica, denominazione collettiva della scienza sperimentale, obbligò ad uno sforzo di unificazione. Tale fu l’opera di Newton e di altre menti del suo tempo. Ma lo sviluppo della fisica produsse una tattica di carattere opposto a quella dell’unificazione. Per progredire, alla scienza occorreva che gli uomini di scienza si specializzassero: gli uomini di scienza, non essa stessa. La scienza non è mai specialista: altrimenti cesserebbe “ipso facto” d’essere vera. E nemmeno la scienza empirica, presa nella sua totalità, è vera, se la si separa dalla matematica, dalla logica, dalla filosofia. Però il lavoro in essa dev’essere – assolutamente – specializzato .
Sarebbe di grande interesse e di maggiore utilità di quanto non possa sembrare a prima vista, fare una storia delle scienze fisiche e biologiche, mostrando il progresso della crescente specializzazione nella fatica degli investigatori. Essa farebbe vedere come, da una generazione all’altra, l’uomo di scienza s’è andato limitando, rinchiudendo, in un campo d’occupazione intellettuale sempre più ristretto. Però non è questo l’importante che questa storia ci insegnerebbe, ma, anzi, il contrario: come, cioè, in ogni generazione, lo scienziato, per dover sempre ridurre il suo ambito di ricerca, vada progressivamente perdendo contatto con le altre parti della scienza, vale a dire con una interpretazione totale dell’Universo, che è l’unica a meritare i titoli di scienza, cultura, civiltà europea . La specializzazione comincia, precisamente, in un tempo in cui uomo civile è chiamato «enciclopedico». Il secolo diciannovesimo inizia il suo destino sotto la direzione di creature che vivono in una atmosfera enciclopedica, anche se la loro produzione riveste già un carattere di specializzazione. Nella generazione successiva, l’equazione si è “spostata, e la specialità comincia a scalzare nell’intimo di ciascun uomo di scienza la cultura integrale. Quando nel 1890 una terza generazione assume la guida intellettuale dell’Europa, ci imbattiamo con un tipo di scienziato senza esempio nella storia. E’ un uomo che, di tutto ciò che occorre sapere per essere un personaggio intelligente, conosce soltanto una scienza determinata, e anche di questa scienza conosce bene soltanto una piccola parte di cui egli è investigatore attivo. Arriva a proclamare come una virtù questa sua carenza d’informazione per quanto rimane fuori dall’angusto paesaggio che coltiva particolarmente, e chiama dilettantismo [in italiano nel testo] la curiosità per l’insieme del sapere . E tuttavia, recluso nella ristrettezza del suo campo visivo, riesce effettivamente a scoprire nuovi fatti e a far progredire la scienza, che egli conosce appena, e con essa l’enciclopedia del pensiero, che coscienziosamente ignora. Come è stato ed è possibile una cosa simile?
E’ necessario ribadire la stravaganza di questo fatto innegabile: la scienza sperimentale ha progredito in buona parte mercè il lavoro di uomini assolutamente mediocri e anche meno che mediocri, vale a dire che la scienza moderna, radice e simbolo della civiltà contemporanea, accoglie dentro di sé l’uomo intellettuale «medio» e gli permette d’operare con successo. La ragione di ciò consiste in un fatto che è, contemporaneamente, il maggior vantaggio e il più grave pericolo della scienza nuova e di tutta la civiltà che quella dirige e rappresenta: la meccanizzazione. Una buona parte delle cose che bisogna fare in fisica e in biologia è lavoro meccanico del pensiero che può essere eseguito, più o meno, da chiunque. Per effetto di innumerevoli ricerche è possibile suddividere la scienza in piccoli settori, rinchiudersi in uno di essi e disinteressarsi degli altri. La stabilità e l’esattezza dei metodi permettono questa provvisoria e pratica disarticolazione del sapere. Si lavora con uno di questi metodi come una macchina, e nemmeno è obbligatorio, per ottenere buoni risultati, possedere idee rigorose sul significato e fondamento del metodo. Così, la maggior parte degli scienziati danno impulso al progresso generale della scienza, chiusi nella piccola cella del loro laboratorio, come l’ape nel suo favo. Ma tutto ciò finisce col produrre una casta d’uomini oltremodo strani. Il ricercatore che ha scoperto un nuovo fenomeno della natura “deve per forza sentire un’impressione di dominio e di sicurezza nella sua persona. Con una certa apparente giustizia si considererà come «un uomo che sa». E, in realtà, in lui esiste un frammento di qualcosa, che, insieme ad altri frammenti che non esistono in lui, costituisce veramente il sapere. Questa è la situazione intima dello specialista, che nei primi anni di questo secolo è giunto alla sua più frenetica esagerazione. Lo specialista «conosce» assai bene il suo minimo angolo d’universo; ma ignora radicalmente tutto il resto. Ecco qui un preciso esemplare di questo strano uomo nuovo che ho cercato di definire, mediante l’uno o l’altro dei suoi aspetti. Ho detto anche che è una configurazione umana senza pari in tutta la storia. Lo specialista ci serve per individuare con energica concretezza la specie e perché ci fa vedere tutto il radicalismo della “sua novità. Perché prima gli uomini potevano dividersi, semplicemente, in sapienti e ignoranti in più o meno sapienti e più o meno ignoranti. E, invece, lo specialista non può essere compreso sotto nessuna di queste due categorie. Non è un sapiente, perché ignora formalmente quanto non entra nella sua specializzazione; ma neppure è un ignorante perché è «un uomo di scienza» e conosce benissimo la sua particella d’Universo. Dovremo concludere che è un sapiente-ignorante, cosa oltremodo grave, poiché significa che è un tipo il quale si comporterà, in tutte questioni che ignora, non già come un ignorante, bensì con tutta la petulanza di chi nei suoi problemi speciali è un sapiente .
E, in realtà, questo è il comportamento dello specialista. In politica, in arte, negli usi sociali, nelle altre scienze, prenderà posizioni da primitivo, da ignorantissimo; ma le assumerà con energia e sufficienza senza ammettere – e questa è la cosa paradossale – «specialisti» di queste questioni. Nello specializzarlo, la civiltà lo ha reso ermetico e soddisfatto dentro la sua limitazione; però questa stessa sensazione interiore di dominio e di valore lo porterà a voler prevalere al di fuori della sua specialità. Dal che deriva che anche in questo caso, che rappresenta un “maximum” d’uomo qualificato – la specializzazione – e, pertanto, l’opposto dell’uomo-massa, il risultato è che si comporterà senza qualità e come uomo-massa in quasi tutte le sfere della vita . La constatazione non è vaga. Chiunque può osservare la stupidità con cui pensano, giudicano, e agiscano oggi in politica, arte, religione e nei problemi generali della vita e del mondo gli «uomini di scienza», che, per esempio, verso il 1750. Ed il peggio è che con questi furetti della caccia scientifica neanche si può dire assicurato il progresso della scienza. Perché questa ha bisogno, di tanto in tanto, come organica regolazione del suo stesso sviluppo, di un lavoro di ricostruzione, e, come ho detto, questo richiede uno sforzo di unificazione ogni volta più difficile, che ricolleghi regioni più vaste del sapere totale. Newton poté creare il suo sistema fisico senza conoscere molta filosofia, però Einstein ha dovuto saturarsi di Kant e di Mach (17) per poter attingere la sua acuta sintesi. Kant e Mach – e con questi due uomini soltanto si simboleggia la massa enorme di pensieri filosofici e psicologici che hanno influito sulla formazione di Einstein – hanno servito a “liberargli” la mente e a lasciargli la via libera verso la sua innovazione. Però Einstein non è sufficiente. La fisica entra ora nella crisi più profonda della sua storia, e soltanto potrà salvarla una nuova enciclopedia più sistematica di quella anteriore .
La specializzazione, dunque, che ha reso possibile il progresso della scienza sperimentale durante un secolo, si approssima ad una tappa in cui non potrà avanzare per se stessa, se una generazione migliore non si incarica di costruirle un nuovo paradigma più poderoso . Però, se lo specialista ignora la fisiologia interna della scienza che coltiva, molto più profondamente ignora le condizioni storiche della sua continuità, cioè, come la società e il cuore dell’uomo debbano essere organizzati perché possano continuare ad esserci ricerche scientifiche. La flessione di vocazione scientifica che si osserva in questi anni – a cui abbiamo già alluso – è un sintomo preoccupante per chiunque abbia una idea chiara dell’essenza di una civiltà, l’idea che suole mancare al tipico «uomo di scienza», vertice della nostra civiltà attuale. E, inoltre, egli crede che la civiltà è “tutta qui”, semplicemente, come la crosta terrestre e la selva primigenia”.(La ribellione delle masse)
Leggo molti testi di divulgazione scientifica ma per quanti ne possa compulsare resterò sempre un dilettante in simili materie. Quindi non mi arrischio a duellare verbalmente di ciò che appena percepisco. Tuttavia, non sopporto proprio quando gli scienziati mi propinano le loro banalità in politica, con quella prosopopea di cui appunto parla Ortega y Gasset nel pezzo soprastante. Costoro effettivamente si comportano nelle cose in cui non sono affatto competenti, non già come ignoranti, bensì con tutta la petulanza di chi in certi problemi speciali “è un sapiente”. Faccio un esempio pratico. Mi abbevero spesso ai testi di Carlo Rovelli, che è un fisico di primo livello. Cerco di capire quello che posso dai suoi libri divulgativi scritti per noi poveri mortali. Lo ringrazio perché mi fa intendere molte cose ma, ovviamente, questo non farà mai di me un suo pari sugli argomenti da lui trattati. Quando però leggo quel che Rovelli scrive su temi culturali, filosofici o politici, mi cascano le braccia. Multiculturalismo, pace universale, fine dei conflitti, populismo e sovranismo come male assoluti ecc. ecc. Banalità sesquipedali che difficilmente verrebbero in testa persino ad un bambino delle scuole medie. Rovelli che è un genio nella sua materia quando scrive di altro non ha nulla da insegnare a nessuno. Anche le sue discettazioni filosofiche lasciano molto a desiderare. Einstein non era da meno, politicamente era una frana se non peggio. Se vi capita di leggere quello che pensava di certi eventi del XX secolo resterete di stucco. Lo scopritore della relatività generale non andava oltre i luoghi comuni su quello che accadeva sotto il suo naso. Riporto ancora un brano di Ortega y Gasset sulla guerra che vale molte volte di più dei desideri di qualche scienziato pacifista o troppo ottimista sui destini dell’umanità: “Il pacifista vede nella guerra un danno, un crimine o una perversione. Però dimentica che prima di ciò, e al di sopra di ciò, la guerra è un enorme sforzo che gli uomini compiono per risolvere certi conflitti. La guerra non è un istinto, bensì un’invenzione. Gli animali la ignorano ed è pura intuizione umana, come la scienza o l’amministrazione. Essa portò ad una tra le maggiori scoperte, base di ogni civiltà: la scoperta della disciplina. Tutte le altre forme di disciplina procedono da quella primigenia, la quale fu la disciplina militare. Il pacifismo è perduto e si trasforma in inetta ipocrisia se non tiene presente che la guerra è una geniale e formidabile tecnica di vita e per la vita…“La guerra, ripetiamo, era un mezzo che avevano inventato gli uomini per regolare certi conflitti. La rinuncia alla guerra non sopprime questi conflitti. Al contrario, li lascia più intatti e meno risolti che mai. L’assenza di passioni, la volontà pacifica di tutti gli uomini risulterebbero completamente inefficaci, perché i conflitti reclamerebbero soluzione, e, “fino a quando non si inventasse un altro mezzo”, la guerra riapparirebbe inesorabilmente in codesto pianeta immaginario abitato soltanto da pacifisti.” (La ribellione delle masse).
Gli scienziati hanno spiegato molte cose su questa pandemia ma anche loro non hanno certezza piena della situazione trovandosi davanti ad un fatto nuovo. Noi chiediamo umilmente che trovino una soluzione a questo pandemonio, nelle Università e non in Televisione. Adesso è giusto che le decisioni ”sociali” vengano prese senza il loro consenso e la loro copertura delle Istituzioni, in cui, invero, abitano omuncoli incapaci di amministrare un condominio, figuriamoci un Paese intero. Ma non si può fare diversamente, se non moriremo di complicazioni virali avremo almeno la possibilità di prenderli a calci nel sedere.