GLI INTELLUTTUALI SONO PIÙ NUDI DELLA “NUDA VITA”

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Trovo estremamente fastidiosi quegli intellettuali che fanno distinzione tra nuda vita e vita. Sono un po’ come quei filosofi, senza veri pensieri, che ricorrono al concetto di alienazione per le loro elucubrazioni sull’Uomo, costantemente depauperato dalla modernità e dai consumi. Ci vedo ipocrisia e opportunismo in queste posizioni, soprattutto perché chi le propugna ha molto spazio nell’editoria e in televisione e da simili denunce “onto-antropologiche” innocue guadagna più di quel che meriterebbe. Facciamo qualche esempio. Qualche giorno fa Paolo Becchi su Libero scriveva:

“Già Aristotele aveva distinto la vita come “bios” dalla vita come “zoé”. Zoé è la “nuda vita”, il semplice fatto di vivere, la vita mediante la quale siamo in vita; bios, al contrario, è la vita che viviamo, la vita qualificata dal modo con cui la viviamo: è la “condizione di vita”, il “come di una zoé”. La “quarantena” allora non rappresenta altro che questo: la rinuncia, da parte nostra, ad ogni “condizione di vita”, in nome della “nuda vita”. Ma che cos’ è questa “nuda vita”, questa vita spogliata di ogni attributo, una vita che non è nulla, se non vita? Il virus stesso è questa vita, nella sua forma estrema: una vita tanto “nuda” che neppure sappiamo se sia realmente “vivo” o no. Finto vivente, finto mortale, comunque un ospite indesiderato, un intruso”.

Non fatevi impressionare dall’incipit aristotetelico di questo sragionamento. In realtà, da quel che mi consta, per Aristotele la “nuda vita” per l’essere umano non è contemplabile in quanto, per sua stessa “struttura” biologica e specificità “ontologica” egli è animale politico. Forse solo l’Uomo colpito da patologia, col cervello lesionato, incapace di pensiero o ridotto allo stato vegetativo può “sperimentare” la nuda vita. Agli intellettuali piace esagerare quando devono sostenere le loro tesi logicamente traballanti. Infatti, si può ben dire che certi individui, pur liberi di scorrazzare nella polis, senza le restrizioni statali seguite a pandemia, restano ugualmente “nudi” di fronte al senso (o ai sensi) della vita. Non per niente diceva Leonardo di alcuni tra questi: “Sono solo dei tubi digerenti, come dei gabinetti pieni di sterco”. Insomma, prima del virus non andava meglio. E il grande Genio italiano non stava di sicuro parlando di gente costretta a restare in casa ma di suoi liberi contemporanei. Il dramma è che questi soggetti escono dalle loro “tane” e ci appestano l’esistenza con banalità e grossolanità insopportabili, che però restano inferiori a quelle ammannite da studiosi troppo pigri per insegnarci qualcosa.

Lo stesso concetto di Becchi viene oggi ribadito da Marcello Veneziani su La Verità:
“…l’effetto crudo di questa lunga quarantena e dei presagi funesti che avvelenano la libera uscita, è la riduzione dell’uomo, del cittadino, del pensante e del credente, a puro animale. Il contagio, la quarantena, il terrorismo mediatico-governativo ci hanno ridotto alla sfera della nuda vita. Nient’altro siamo in questo momento, e qualcuno inneggia al fatto che il virus ci ha resi tutti uguali. Uguali perché ridotti alla sfera animale dei bisogni. Uguali come animali, privi di parola e di visione, di fede e di pensiero, di creatività e ricreazione”.

Ergo, se apriamo le gabbie questi sapiens memorfosati in piante si tramuteranno d’emblée nel contrario di quanto afferma Veneziani e quindi in esseri dotati di parola, visione, fede, pensiero, creatività? Povero illuso. Dalle stie usciremo presto, almeno spero, ma sempre polli in batteria resteremo. Abbiamo come menti illustri dei galletti e non delle aquile, che cosa dobbiamo aspettarci dal resto dell’aia? Però potremmo provare qualcosa di diverso, tutti fuori e dentro gli intellettuali, a casa a studiare anziché in televisione o altrove a blaterare le sempiterne scemenze.