IN DIFESA DI KARL POPPER
Karl Popper, come ebbe a dichiarare lui stesso, fu marxista in gioventù. La sua adesione al marxismo non durò molto, a causa di un episodio che egli raccontò con queste parole: “L’incidente che mi mise contro il comunismo, e che presto mi portò lontano marxismo fu uno degli avvenimenti più importanti della mia vita. Accadde poco prima del mio diciassettesimo compleanno. A Vienna partirono dei colpi durante una dimostrazione di giovani socialisti disarmati, i quali, istigati dai comunisti, cercavano di aiutare a fuggire alcuni comunisti che erano in stato di arresto nell’ufficio centrale di Polizia a Vienna. Alcuni giovani operai socialisti e comunisti rimasero uccisi. Fui inorridito e colpito dalla brutalità della polizia, ma anche da me stesso. Pensavo infatti che come marxista portavo parte della responsabilità della tragedia – almeno in linea di principio. La teoria marxista esige che la lotta di classe venga intensificata, per affrettare l’avvento del socialismo. La tesi marxista è che, benché la rivoluzione possa richiedere alcune vittime, il capitalismo fa ancor più vittime dell’intera rivoluzione socialista. Quella era la teoria marxista – parte del cosiddetto “socialismo scientifico”. E ora io mi chiedevo se un simile calcolo potesse basarsi sulla “scienza”. L’intera esperienza, e specialmente questo interrogativo produsse in me un improvviso mutamento di sentimenti che durò poi tutta la vita. Il comunismo è un credo che promette l’avvento di un mondo migliore. Dice di basarsi sulla conoscenza: conoscenza delle leggi dell’evoluzione storica. Io speravo ancora in un mondo migliore, in un mondo meno violento e più giusto, ma mi domandavo se io conoscessi veramente – se quel che io pensavo che era conoscenza non fosse piuttosto una mera pretesa. Naturalmente avevo letto un po’ di Marx ed Engels – ma l’avevo capito veramente? L’avevo esaminato criticamente, come dovrebbero fare tutti prima di accettare un credo che giustifica i propri mezzi in base a un fine piuttosto remoto?».
I fatti della vita di ciascuno di noi, le cose che accadono nell’esistenza soggettiva possono influenzare le scelte e preferenze individuali. Per questo non entrerò nel merito delle “suggestioni” che hanno indirizzato la vita di Popper. In fin dei conti sono fatti suoi. Tuttavia, non si può trattare il pensatore austriaco alla stregua di un poveraccio, come ha fatto Luciano Canfora allorché ha dichiarato ad un quotidiano: “Popper non se lo fila più nessuno, ha fatto il suo tempo, ha detto sciocchezze ma poi è finito… Quando uno è ignorante è ignorante”.
Premesso che tutti dicono sciocchezze, Canfora incluso, considerato che recentemente costui ci ha rabbuiato l’anima con l’eterno ritorno di un fascismo albergante solo nella sua testa, non è assolutamente vero che la lezione di Popper è da consegnare alla pattumiera delle idee. Per quanto possa non starci simpatico, il viennese ha ancora ragione da vendere quando ci parla del principio di falsificabilità delle teorie scientifiche. Si tratta di un esercizio necessario da svolgere di fronte a qualsiasi scienza, la quale prima o dopo, in tutto o in parte, sarà smentita dall’evoluzione del mondo e dalle nuove scoperte. Noi marxisti dobbiamo essere i primi a farlo (e qualcuno lo ha fatto!) perché abbiamo ridotto il pensiero dello scienziato tedesco ad un vangelo che si può predicare ma non si può criticare. Eppure, anche la scienza di Marx è ormai superata in molte categorie mentre altre ci forniscono ancora le basi della lettura del tempo presente.
Popper, benché considerasse Marx un falso profeta (ma qui si sbagliava, perché il barbuto di Treviri non avrebbe mai voluto passare per un santone) aveva rispetto del suo lavoro:
“Marx fece un onesto tentativo di applicare metodi razionali ai più urgenti problemi della vita sociale. Il valore di questo tentativo non risulta compromesso dal fatto che esso, come cercherò di dimostrare, è in larga misura fallito. La scienza progredisce attra¬ verso tentativi ed errori. Marx tentò e, benché abbia sbagliato nelle sue dottrine fondamentali, non ha tentato invano. Egli ci ha aperto gli occhi e ce li ha resi più acuti in molti modi. Un ritorno alla scienza sociale pre-marxiana è inconcepibile. Tutti gli autori contemporanei hanno un debito nei confronti di Marx. anche se non lo sanno. Ciò è specialmente vero nel caso di coloro (e questo è anche il mio caso) che dissentono dalle sue dottrine; ed io sono pronto a riconoscere che la mia trattazione, per esempio di Platone e di Hegel, reca l’impronta della sua influenza.
Non si può rendere giustizia a Marx senza riconoscere la sua sincerità. La sua apertura di mente, il suo senso dei fatti, il suo disprezzo per la verbosità, e specialmente la verbosità moraleggiante, hanno fatto di lui uno dei più importanti combattenti, a livello mondiale, contro l’ipocrisia e il fariseismo…Essendo dotato di un’intelligenza essenzialmente teorica, egli consacrò immense fatiche alla messa a punto di quelle che riteneva fossero armi scientifiche per la lotta in vista del miglioramento della sorte della stragrande maggioranza degli uomini. La sua sincerità nella ricerca della verità e la sua onestà intellettuale lo distinguono, a mio giudizio, da molti dei suoi seguaci (benché disgraziatamente egli non si sia del tutto sottratto all’influenza corruttrice di un’educazione che maturò nell’atmosfera della dia¬lettica hegeliana, denunciata da Schopenhauer come «distruttiva di ogni intelligenza»). L’interesse di Marx per la scienza sociale e per la filosofia sociale fu fondamentalmente un interesse pratico. Egli yedeva nella conoscenza un mezzo per promuovere il pro¬gresso dell’uomo…
Credo che sia assolutamente corretto sostenere che il marxismo è, fondamentalmente, un metodo. Ma è sbagliato credere che, in quanto metodo, debba essere al riparo da ogni attacco. La verità è, più semplicemente, che chiunque intenda giudicare il marxismo, deve metterlo alla prova e criticarlo in quanto metodo, cioè deve valutarlo in base a criteri metodologici. Deve insomma chiedersi se è un metodo fecondo o sterile, cioè se è o non è capace di favorire il compito della scienza. I criteri in base ai quali dobbiamo giudicare il metodo marxista sono dunque di natura pratica. Definendo il marxismo come la più pura forma di storicismo, ho implicitamente affermato che ritengo il metodo marxista estremamente povero.
Marx stesso sarebbe stato d’accordo con codesto approccio pratico alla critica del suo metodo, perché egli fu uno dei primi filosofi a sviluppare la concezione che venne più tardi chiamata “pragmatismo”. Egli fu portato a questa posizione, a mio giudi-zio, dalla convinzione che una base scientifica era assolutamente indispensabile al politico pratico, espressione che naturalmente significava il politico socialista. La scienza, egli sosteneva, deve fornire risultati pratici. Guardate sempre ai risultati, alle conse¬guenze pratiche di una teoria! Essi ci dicono qualcosa anche della sua struttura scientifica. Una filosofia o una scienza che non dia risultati pratici si limita semplicemente a interpretare il mondo in cui viviamo; ma essa può e deve fare di più: deve cambiare il mondo. «I filosofi – scrisse Marx agli inizi della sua carriera – si sono limitati ad interpretare il mondo in modi diversi; si tratta ora di trasformarlo». Fu forse questo atteggiamento pragmatico che gli fece anticipare l’importante dottrina metodologica dei successivi pragmatisti secondo la quale il più caratteristico compito della scienza non è quello di conseguire la conoscenza dei fatti passati, ma di predire il futuro.
Questa insistenza sulla predizione scientifica, scoperta metodologica in se stessa importante e progressiva, disgraziatamente portò Marx fuori strada. Infatti, il plausibile argomento che la scienza può predire il futuro soltanto se il futuro è predeterminato – se, per così dire, il futuro è presente nel passato, condensato in esso – Io indusse ad adottare la falsa credenza che un metodo rigidamente scientifico dev’essere basato su un rigido determinismo. Le marxiane “leggi inesorabili” di natura e di sviluppo storico mostrano chiaramente l’influenza dell’atmosfera intellettuale condizionata da Laplace e di quella dei materialisti francesi. Ma della credenza che i termini “scientifico” e “deterministico” siano, se non sino¬ nimi, almeno inseparabilmente connessi, si può ora dire che è una delle superstizioni di un’epoca che non è ancora completa¬ mente tramontata…
Non si può quindi dire che il metodo scien¬tifico favorisca l’adozione del determinismo rigido. La scienza può essere rigorosamente scientifica senza questo presupposto. Non si può, naturalmente, biasimare Marx di aver sostenuto il punto di vista opposto, dato che anche i massimi scienziati del suo tempo la pensavano allo stesso modo.
Bisogna tener presente che, a portare Marx fuori strada, non fu tanto la dottrina astratta, teorica del determinismo, quanto piuttosto l’influenza pratica di questa dottrina sulla sua concezione del metodo scientifico, sulla sua concezione dei fini e delle possibilità di una scienza sociale. L’idea astratta di “cause” che “determinano” gli sviluppi sociali è, in quanto tale, assolutamente innocua, nella misura in cui non porta allo storicismo”.
Le riflessioni di Popper su Marx a volte colgono nel segno a volte no. Possono anch’esse essere falsificate ma è indubitabile che un certo “determinismo” di Marx esista (il comunismo necessario e la fine della società divisa in classi) e che molte delle sue previsioni si siano rivelate inesatte (la formazione del General Intellect).
E’ normale che sia accaduto, Marx studiava il suo tempo e quello che aveva sotto gli occhi. Non era un indovino ma dalle “tendenze” che intuiva e vedeva all’opera provava a “ricavare” interpretazioni e risvolti che potevano realizzarsi o meno. Infatti, la sua idea di “avvento” del comunismo era “immanente” al capitalismo ottocentesco e quindi di imminente concretizzazione. Ma oggi è tutta un’altra storia. Marx non poteva prevedere le trasformazioni che hanno modificato il sistema di rapporti sociali in cui siamo invischiati hic et nunc, dunque la sua teoria su questi aspetti evolutivi e predittivi deve essere considerata datata. Non ha superato il test di falsificabilità. Possiamo prendercela con Popper per questo? Assolutamente no, perché Popper ci dà la possibilità di capire dove abbiamo sbagliato, anche se solo col senno di poi. Ciò non toglie la scientificità al pensiero di Marx che anzi sopravvive proprio grazie al necessario superamento dei suoi errori. Se quella di Marx fosse stata una filosofia, come molti ingenui pensano, avremmo potuto mandare Popper a quel paese ma non è questo il caso. Althusser diceva che i filosofi non sbagliano mai e con questo intendeva dire che al cospetto di visioni e di domande universali non ha senso parlare di errori. Con la scienza, invece, è tutta un’altra cosa. La scienza si nutre dei suoi errori e di sempre nuove teorie e “aperture” di sapere.
Popper comprende Marx molto meglio di tanti intellettuali piagnucolosi che oggi si stracciano le vesti per gli uomini in carne, ossa e pie illusioni:
“[Marx]vide: in fenomeni come la guerra, la depressione, la disoccupazione e la fame in periodo di abbondanza, non il risultato di un’astuta cospirazione da parte del “grande capitale” o dei “guerrafondai imperialisti”, ma le inintenzionali conseguenze sociali di azioni, dirette verso risultati diversi, da parte di agenti presi nella rete del sistema sociale. Egli considerava gli attori umani sulla scena della storia, compresi quelli “grandi”, come semplici marionette, irresistibilmente mosse da fili economici – dalle forze storiche sulle quali non hanno alcun controllo. La scena della storia, egli affermò, è inquadrata in un sistema sociale che ci vincola tutti: è inquadrata nel “regno della necessità”. Questa dottrina di Marx è stata abbandonata dalla maggior
parte dei suoi seguaci – forse per ragioni propagandistiche, forse perché non lo hanno compreso – e una teoria “volgar-marxista” della cospirazione ha sostituito in larga misura l’ingegnosa ed estremamente originale, dottrina marxiana. È una triste degradazione intellettuale questa discesa dal livello de Il Capitale a quello de Il Mito del XX secolo”.
Potremmo andare avanti con le buone citazioni Di Popper su Marx ma, a questo punto, credo che ci siamo capiti. Popper non era affatto un ignorante, aveva le sue opinioni più o meno condivisibili ma non può essere liquidato come un fesso da Canfora. A maggior ragione se quest’ultimo ci propala sicure scemenze sul ritorno del fascismo incarnato dai vari Salvini o Meloni.