Piccolo è poco, anche se italiano
Le leggi economiche sono implacabili, anche se ideologicamente non ci aggradano. Dunque, non possono essere ignorate, pena l’edificazione di una illusione sterile, pur se qualcuno è convinto di poterle aggirare con la buona battaglia, che, peraltro, non sempre è tale anche se creduta fondamentale. Per esempio, la più basilare tra queste leggi, quella della domanda e dell’offerta che regola lo scambio. Didatticamente, questa prescrizione, che ha ovviamente tante altre implicazioni, si riassume così: “in un libero mercato, la quantità richiesta di un bene, è inversamente proporzionale al prezzo del bene stesso: più alto è il prezzo, minore sarà la quantità richiesta. D’altra parte, l’offerta si comporta in maniera esattamente contraria: ad un aumento del prezzo, l’offerta aumenta e viceversa. L’incontro di acquirenti e venditori porta così al formarsi di un prezzo di equilibrio per cui la quantità domandata è uguale alla quantità offerta”. Scritta in questi termini essa sembra riferirsi ad un mondo perfetto in cui l’equilibrio si dà sempre e comunque, ad ogni compravendita. Chiaramente questo mondo perfetto non esiste ma volendo trattare le cose in maniera scientifica occorre considerare i fenomeni “puri”, le “astrazioni concrete” che nella realtà si manifestano come “fatti in media”. Detto ciò, questa legge economica opera effettivamente nel mondo delle merci (compresa quella merce “speciale” chiamata la forza-lavoro) corrispondente alla nostra formazione economico-sociale, ai rapporti sociali che l’innervano. Prima del capitalismo questa legge non aveva il senso odierno, perché non esisteva un mercato di merci capitalistiche e, come scrive Marx, essa aveva una valenza per lo più marginale solo all’incrocio delle varie comunità che si scambiavano l’eccedente (i prodotti non avevano la forma di merci generalizzata), ricorrendo al baratto o alla sporadica intermediazione del denaro, non però quale rappresentante del valore, mezzo di accumulazione (diversa ancora è la tesaurizzazione), mezzo di circolazione, ecc. ecc. Il denaro valeva, tutt’al più, per i suoi materiali e il suo peso o anche prestigio.
Tornando a noi, dicevamo che queste leggi economiche sono impietose e servono a poco quelle campagne suggestive, romantiche e, pertanto, inutili che invitano ad acquistare prodotti italiani dal negoziante sotto casa se è possibile acquistare prodotti speculari a prezzi più competitivi. Queste azioni tendono a gratificare chi le propone, a nobilitare il piccolo gesto solidaristico, magari a solidificare l’amicizia di quartiere tra abitanti e commercianti ma non sono un indirizzo serio di politica-economica o una proposta politica tout court. Ribadisco, potrei capire il beau geste ma non mi fido nemmeno tanto dell’azione morale perché quei politici che straparlano di comprare italiano, preferendo il riso nostrano a quello cambogiano, a livello macroeconomico manifestano un servilismo pauroso che contempla la rinuncia ai grandi progetti industriali per non disturbare i loro padroni internazionali.
Infatti, anziché perorare il piccolo è bello o la bontà del formaggio locale, bisognerebbe sostenere quei rami tecnologici e innovativi che creano nuovi mercati anziché subire l’affollamento concorrenziale, a basso impatto tecnico, di quelli maturi, se non superati. Qui ormai vi sono pochi margini di manovra. Lanciarsi invece in settori potenzialmente vergini consente non di aggirare le leggi economiche ma di piegarle a proprio favore, di accrescere quel carburante economico utile all’implementazione della potenza politica, ad aprire un ciclo virtuoso che alimenta la ricchezza economica e la forza politica nel contesto internazionale. Se le energie psichiche e sociali vengono incanalate su obiettivi minimi come quelli locali, mantenendo posizioni subordinate sulle questioni centrali della fase storica, continueremo a trovarci a battagliare con le potenze minori per la sussistenza invece che con i grandi per il Futuro. Un partito politico non si può occupare di quisquiglie, si lascino simili campagne minimalistiche all’associazionismo e si pensi alle cose che veramente contano. Ma non ci contate troppo su costoro, i grandi orizzonti sono fuori dalla loro visione minuta. Piccolo è il loro avvenire.