Guardare alla guerra con gli occhi di Clausewitz.
Non si approcciano le guerre col cervello del cronista. Se si intende farlo per mestiere ci si deve limitare a raccontare quel che si vede, senza correre ad attribuire agli uni o agli altri responsabilità genocidiarie sulle quali nemmeno gli storici, dopo anni di ricerche, riescono a emettere un verdetto definitivo. Anzi, su quasi tutti gli “olocausti” del passato continuano a esistere e resistere narrazioni contrapposte. Si pensi ai turchi e agli armeni, ai turchi e ai curdi, agli americani e agli asiatici fino agli stessi russi e ucraini. E via uccidendo.
La stampa che invece ha già condannato, nel conflitto in corso, I russi per le presunte esecuzioni sommarie sta solo parteggiando per un fronte, anche a costo di centuplicare banali menzogne. Infatti, anche quando ci sono minime prove delle violenze gratuite commesse dalle bande delinquenziali di Kiev, queste o vengono attribuite ai russi, o minimizzate o ignorate oppure persino giustificate ricorrendo ad una ipocrisia gramelliniana. Gramellinare da oggi potrebbe significare ignorare le colpe di un assassino in cambio di una dichiarazione umanitaria. Lo ha fatto in diretta tv tanto da meritarsi il neologismo.
Il ragionamento vale per i giornalisti, i quali non dicono che possono accompagnare la guerra solo quando viene loro consentito e non contraddicono le versione di chi li tutela (altrimenti farebbero la stessa fine del nemico), ma anche per i presunti scrittori i quali si arruolano, dalle loro torri d’avorio, completamente a digiuno di nozioni politiche o esperienze dirette alla Lussu. Il giochetto di alcuni di questi che fanno parallelismi tra novax e prorussi è ancora più sciocco. Casomai riduce loro a negazionisti della Storia e della scienza politica, le quali hanno proprie leggi che essi non comprendono sprovvisti dei rudimenti coglierle. Sono finiti i tempi dei grandi letterati, quelli in cui Balzac esaltava Napoleone (ma il nostro Manzoni non era da meno) senza che ci si preoccupasse dei mezzi messi in campo dalla Grandezza per manifestarsi in quanto tale.
C’è anche da dire che la malafede delle penne è superiore alla loro poca maestria e scaltrezza. Lo sanno in molti, come affermava Bloch lo storico, che arrivata la guerra, bugie a iosa.
La nostra epoca pur essendo molto diversa non è diversa da ieri essendo epoca di esseri umani, sempre astuti e al contempo infami. Basta leggere quanto disse Clausewitz e che riporto sotto.
“Le informazioni che si ottengono in guerra sono in gran parte contraddittorie, in maggior parte ancora menzognere, e quasi tutte incerte. Quello che si può esigere da un ufficiale in questa materia è un certo discernimento, il quale non può risultare che dalla conoscenza degli uomini e delle cose, e dal raziocinio. La legge di probabilità gli “può servire di guida. Questa difficoltà è già importante quando si tratta dei progetti preventivi fatti negli uffici, ancora al difuori della sfera propriamente detta della guerra; ma è ben maggiore nel tumulto stesso della guerra, ove una informazione segue l’altra: allora è già una fortuna quando due informazioni contraddittorie possono controbilanciarsi abbastanza per attirare, da se stesse, la critica. Molto più grave è la cosa per colui che non ha esperienza, quando il caso non gli rende tale servizio e invece le notizie successive si sostengono, si confermano, s’ingrandiscono, aggiungono a ogni istante nuovi colori al quadro, finché la necessità lo costringe a strappargli in fretta una risoluzione che è presto riconosciuta una sciocchezza, mentre tutte le notizie ricevute risultano menzognere, esagerate ed erronee. In due parole, la maggior parte delle informazioni è falsa e la pavidità degli uomini è una nuova causa di menzogna e di inesattezza. Generalmente, ciascuno è disposto a credere più il male che il bene, ciascuno è tentato a esagerare un poco il male: e i pericoli fittizi che vengono segnalati, in tal modo, pur dissolvendosi in se stessi come le onde del mare, si affacciano, al pari delle onde, senza una causa “visibile. Saldo nella fiducia della sua più solida conoscenza interiore, il capo deve stare imperterrito come la roccia battuta dai flutti. Questo compito non è facile; colui che non ha ricevuto dalla natura un felice carattere o che l’esperienza della guerra non ha esercitato e temprato nel raziocinio farà bene a tener per regola di fare, occorrendo, violenza al livello medio della propria concezione, attenendosi al campo delle speranze piuttosto che a quello delle apprensioni; solo così egli potrà conservare il vero equilibrio.
La difficoltà di vedere giusto, che costituisce uno dei maggiori attriti in guerra, fa sì che le cose si presentino in modo molto differente da come si erano immaginate. L’impressione sui sensi è più potente di quella che elabora il calcolo interno, e ciò va “tanto lungi che non esiste probabilmente impresa militare di qualche importanza in cui il capo non abbia avuto, all’inizio, nuovi dubbi da vincere. E perciò gli uomini ordinari, che obbediscono a suggerimenti esterni, divengono quasi sempre irresoluti al momento decisivo: si figurano di aver trovato le circostanze differenti dalle previsioni, e ciò tanto più in quanto si sono appoggiati su impressioni di estranei.
Ma anche chi ha concepito i progetti da solo e vede poi con i propri occhi, arriva facilmente a dubitare delle proprie convinzioni anteriori. Una ferma fiducia in se stesso deve armarlo contro la pressione delle circostanze contingenti; le sue previsioni daranno buona prova all’atto della soluzione, quando le tele di proscenio che il destino introduce nel dramma della guerra saranno scomparse con le loro pitture minacciose e l’orizzonte si sarà aperto. È questo uno dei grandi crepacci che esistono fra il progetto e l’esecuzione.”
Passi di
Della guerra
Karl von Clausewitz