La guerra e le false notizie – PARTE SECONDA Di O. M. Schena
(il diritto umanitario secondo il P.d.R. Mattarella)
https://www.quirinale.it/elementi/112443
Nel suo intervento all’Università la Sapienza del 16/5/2024, in occasione dell’XI edizione della Giornata del Laureato, il P.d.R. Mattarella ha detto tra l’altro: “Venendo ho visto un cartello che sostanzialmente mi chiedeva cosa penso di quanto avviene a Gaza”.
Nel nostro modesto pezzo su C.&S. “La guerra e le false notizie” del 6/5/24, avevamo osservato come il P.d.R. avesse liquidato sbrigativamente, con una sola parola, (“irrisolto”) il conflitto Israele-Palestina che dura dal 1948.
Parlando alla Sapienza dell’esigenza di rispettare il diritto umanitario che deve valere per ogni persona e in ogni direzione, il Presidente ha poi aggiunto alcune considerazioni:
(il diritto umanitario) “Vale per i ragazzi e le ragazze uccise e stuprate mentre ascoltavano musica in un rave, il 7 ottobre dell’anno passato in Israele”. “Vale pensando anche ai bambini sgozzati quel giorno”. Abbiamo contato in tutto sette “vale”nell’intervento presidenziale. E se la vista non ci inganna, non abbiamo trovato alcun “vale” per labrutta vicenda di Chef Rubio, per il quale “vale” forse una sospensione della Costituzione. Ma quant’è brutta una Costituzione a singhiozzo!
Quello che più rattrista e sgomenta è il ripescaggio presidenziale della storia o storiella dei bambini decapitati e delle donne stuprate. Sembrerebbe, dunque, almeno a voler dar credito al truculento resoconto rilasciato dal P.d.R., senza peraltro che il Presidente sia mai stato attraversato in tutti questi mesi passati neppure dall’ombra di un dubbio esenza un’incertezza, quasi che il Presidente possa anche sapere se queste ragazze siano state prima uccise e poi stuprate (se si segue l’ordine delle parole nel messaggio presidenziale) o prima stupratee poi uccise. Sarà, invece, difficile sapere se questa sarà una storiella vera o una storiella falsa. Storie di guerra, si dirà, ovvero di ordinaria macelleria, scene atroci, scene che Facebook, grazie ai suoi algoritmi, sposterebbe giù in basso o cancellerebbe del tutto. Sembra quasi che il P.d.R. abbia personalmente assistito alle scene di stupro, agli sgozzamenti dei bambini…. ma com’è mai possibile che il Presidente abbia partecipato (anche solo da spettatore) a quel rave di cui parla? In questo caso avrebbe dovuto sentire forte il prioritario dovere di passare subito la sua testimonianza alla Corte Penale Internazionale (per quel poco che essa “vale”) o, quantomeno, alla Bbc, al New York Times, alla Cnn, che nessuna notizia avevano riportato in merito ai fatti del 7 ottobre.
È possibile che nello staff del P.d.R. non ci sia nessuno in grado di fornire al Presidente informazioni attendibili?
Si dice che la verità sia la prima vittima della guerra. Se le fonti usate dal P.d.R. sono giornali come “La Verità” e “il Giornale”, forse, almeno per lo scrivente, ci sarebbe parecchio di cui preoccuparsi:
La giornalista de Il Foglio e podcaster Cecilia Sala, presente sul posto, così scrive sui fatti del 7 ottobre: “La storia è probabilmente falsa“.
Con grande fatica riusciamo a renderci conto, pur tra mille dubbi, che il P.d.R. non potrebbe mai aver reso quelle sue dichiarazione in una normale giornata di normale lavoro.
«si potrebbe anche sostenere che trattasi d’una: “Voce dal sen fuggita”. (Metastasio)
Viene il forte sospetto che i cittadini italiani nelle stanze del Potere sono considerati dei minus habens.
Intanto una domanda ci ronza nella testa con insistenza: perché mai il P.d.R. Mattarella tratta i cittadini italiani come dei “minus habens”, indegni d’ogni verità sia pur essa terribile? Cittadini cui raccontare “la favola bella che ieri ci illuse, che oggi ci illude: e le tue chiome auliscono/come le chiare ginestre,/o creatura terrestre/che hai nome/ Ermione. La favola della Costituzione più bella del mondo, la favola della democrazia. I cittadini italiani sono tutti quanti dei minus habens?
E chi mai sarebbe Ermione? Sarebbe forse il comunismo, che se pur mai realizzato in nessun Paese del nostro pianeta e ridotta la sua idea ad una vera innocua religione terrena, continua ad aleggiare e a volteggiare come uno spettro che non trova pace. Piove nel pineto … piove sull’Italia piove dovunque!
Sull’imbroglio della “democrazia” passo ora la parola al Prof. Gianfranco La Grassa.
(Gianfranco La Grassa “Un nuovo percorso teorico” ed. Solfanelli 2023 p. 140-141) La “democrazia”, ha tutta l’aria d’essere quell’imbroglio e quella presa in giro che ha toccato nell’epoca attuale vertici mai prima raggiunti; e c’è da ridere per la sua comicità fin quando poi non arriva la tragedia. Come già detto più volte, la farsa democratica assomiglia alla “réclame” (la pubblicità insomma) dei prodotti che le fanno le grandi imprese in concorrenza mercantile fra loro. Ciò che per le imprese sono gli acquisti dei loro prodotti e dunque l’incrementarsi dei ricavi (da cui nasce il profitto), per i vari movimenti (partiti) che competono per la direzione della società sono i voti nelle urne. Si dirà: bene i partiti presentano i loro progetti per la direzione e chiedono ai votanti (“acquirenti”) di scegliere quelli che preferiscono. I progetti, intanto, sono appunto come i prodotti: ben pochi acquirenti conoscono veramente la loro qualità e come sono fabbricati, con quali effettive “materie prime”, ecc. Non è possibile sapere con precisione quali saranno gli effettivi risultati dei progetti nel futuro – spesso cinque anni per quanto riguarda le “democratiche” elezioni – pur se fosse possibile rispettare le promesse. In genere non si sa bene quali effetti avranno certi ingredienti dei prodotti sulla salute dei consumatori; e dunque gli effetti dei progetti dei movimenti in competizione sull’effettivo sviluppo di quella società. I progetti non sono inoltre quasi mai quelli effettivamente mostrati agli elettori così come la fabbricazione dei prodotti e l’uso delle materie prime utilizzate non sono conosciuti dalla stragrande maggioranza dei compratori.
Infine i vari partecipanti al conflitto elettorale (così come gli imprenditori in concorrenza) debbono nascondere molto delle “mosse strategiche” che intendono effettuare per prevalere sugli avversari. Tali mosse, come già sostenuto, sono l’effettiva caratterizzazione della Politica. Gli sciocchi continuano a sostenere che questa mediazione, è accordo. La mediazione si fa nei momenti di incertezza e non di sicurezza delle proprie forze da impiegare nel conflitto. Il fine ultimo è sempre la prevalenza, il vincere il confronto e, come minimo, dimostrarsi superiore agli avversari; quando si può – e quando il conflitto ormai insanabile lo esige – si sottomette l’avversario e persino lo si elimina. Ma nella “democrazia” questo non si fa perché la situazione esistente in quella data società non lo richiede; è sufficiente prevalere nella direzione per il maggior tempo possibile, ma senza arrivare ad eliminare l’avversario che potrebbe ben reagire e far fuori te. Non c’è bisogno di violenza, basta l’inganno mediatico per convincere “compratori” (gli elettori) ad acquistare il tuo “prodotto” e a darti le carte vincenti in mano; poi si vedrà che accade di qui al prossimo turno. Anche qui sembra sia sufficiente quanto appena esposto.
(Gianfranco La Grassa “Un nuovo percorso teorico” ed. Solfanelli 2023):
(da p. 146 ap. 147) Di conseguenza il pensiero marxiano è a tutt’oggi “mille miglia” avanti alle banalità di quello liberale che fa dell’individuo una sorta di entità sacrale, puramente fittizia. E le cosiddette “democrazie” sono il peggiore e più grave inganno di questa pericolosa ideologia ancora in voga nell’“Occidente” (e che influenza anche altre aree, facendole decadere progressivamente). Almeno i cosiddetti poteri dittatoriali, imponendo “centralmente” la loro veduta (e gli interessi di dati gruppi dominanti), sono più sinceri e coerenti; salvo quando sono creazioni, in paesi sottoposti a dominazione altrui, di altri paesi preminenti dove vige magari la falsa e ormai sfatta e degradata “democrazia”. Questa sbraita che ogni individuo è “principe” di se stesso, è un individuo libero da ogni determinazione altrui, è il solito e ben noto “Robinson” che prende le sue decisioni nell’“isoletta” dov’è naufragato, libero dall’impaccio di altri individui. Peccato che normalmente se uno non è il naufrago di un affondamento di naviglio, vive assieme a grandi quantità di altri individui. Peccato che quel naufrago (del romanzo di Defoe) si porta dietro strumenti e costumi di quando viveva nella società inglese. Peccato che vive decisamente meglio, e tira un bel sospiro di sollievo, quando trova l’indigeno “Venerdì” che gli fa da servo. (…) E quando non si sa più come reprimere un certo scontento della gente, che comincia a lamentarsi del complessivo indirizzo dei dominanti, gli organi di informazione di questi ultimi, che pagano laidi e infami giornalisti, cominciano con la solfa: “certo la tua libertà non deve limitare la mia”. Cioè, la libertà di ognuno dei milioni di individui che vivono in società non deve danneggiare la libertà degli altri (milioni). E allora tutti i “liberi” individui devono seguire “La Legge”, che è quella imposta dai gruppi dominanti; certo in competizione tra loro come i grandi complessi oligopolistici nel mercato. Fin quando non metteremo da parte, e non certo con “buone maniere”, questi infami mentitori e imbroglioni, continueremo a degradare.
https://www.youtube.com/watch?v=gZ5I3kema6I
Convinti, comunque, a torto o a ragione, di fare cosa gradita a tutti o quasi, incolliamo di seguito una piccola storia su Marc Bloch rubata ad Alessandro Barbero. Lo scrivente sa bene che Il Presidente Mattarella non ama Marc Bloch e che, probabilmente, non vorrà mai leggere nulla, neppure una sola pagina di Ilan Pappé. Ma noi abbiamo fatto il nostro dovere.
Marc Bloch, tra passato e presente
Nato in una famiglia di origine ebraica nel 1886, a Lione, e a sua volta figlio di uno storico dell’antichità, Gustave Bloch, Marc Bloch visse in una Franca – la Francia della terza Repubblica – attraversata da forti divisioni, invisibili tensioni e insanabili contrasti.
Essere ebrei, o essere etichettati come ebrei anche laddove non si praticasse il culto ebraico (com’era il caso di Bloch), significava esporsi a una stigma irrazionale più forte della verità.
In un paese lacerato dal cosiddetto affare Dreyfus – rivelatore di impulsi della società civile francese – e per di più sobillato dalla destra nazionalista, essere ebrei poteva significare, in sostanza, convivere con un pregiudizio inscalfibile.
Eppure Marc Bloch, di tutto questo, cercò di non lamentarsi mai, deciso a dimostrare il suo valore e a condurre la vita che aveva sempre sognato; tra le carte d’archivio, documenti da analizzare e montagne di libri da leggere.
In gioventù fu un ottimo studente, riuscendo anche ad entrare all’École Normale Supérie alla Sorbona. Richiamato poi dalla leva militare a vestire i panni del soldato, visse per intero la Prima guerra mondiale.
La Grande Guerra: uno degli eventi più segnanti del Novecento che, per il numero impressionante di vittime (tra militari e civili, oltre 15 milioni), destò un enorme impressione nei contemporanei e determinò una ridefinizione complessiva degli equilibri internazionali.
Fu una carneficina che nessuno, in Europa, osò dimenticare.
E che segnò profondamente Marc Bloch, il quale, peraltro, terminò il conflitto col grado di capitano nei servizi d’informazione, ricevette la decorazione con la Legion d’onore per meriti militari, ed ottenne un grande riconoscimento: la Croce di guerra.
Dopo la guerra sposò Simonne Vidal – dalla quale ebbe sei figli – poi avviò la carriera accademica. Nel 1927 ottenne la cattedra di Storia Medievale all’Università di Strasburgo. E lì cominciò la sua avventura nel passato.
Bloch indagò con successo la storia sociale e culturale del Medioevo, concentrandosi sulla mentalità degli uomini, sul consenso al potere, sulla differenza tra fatti e interpretazioni e sui meccanismi che innescano, accelerano, rallentano o bloccano i processi storici.
Il suo contributo fu essenziale per archiviare le vecchie metodologie, per rinnovare il racconto storico e gli strumenti d’indagine della professione.
A una storia tutta incentrata sulle grandi battaglie militari e sulle manovre politiche – la storia per singoli avvenimenti, événementielle – Marc Bloch contrappose l’attenzione per gli aspetti sociali, culturali ed economici.
Fu uno dei primi – e forse il migliore – a cambiare concretamente la disciplina.
Insegnò che la storia non consiste soltanto nella cronaca delle gesta di grandi eroi o di importanti personaggi, ma nella ricostruzione, minuziosa e certosina, dei processi di lungo periodo. Tutto ciò iniziò anche grazie alla fondazione nel 1929, insieme al collega e amico Lucien Febvre, della rivista Annales (Annales d’histoire économique et sociale).
A lasciare un ritratto di Marc Bloch prezioso perché intimo, fu proprio Febvre, il quale lo definì un “compagno di cammino”.
Le Febvre scrisse che in Bloch aveva sempre prevalso l’interesse per la mentalità, la cultura e le passioni dell’uomo; che la libertà – nel senso più ampio possibile – era sempre stata un orizzonte imprescindibile del suo lavoro e che, proprio per questo, non era possibile scindere in lui “l’attività del cittadino da quella dello studioso”.
Osservò Febvre:
Marc Bloch non fu un grande storico per aver letto molti libri, collezionato molti documenti, compilato molte schedine. Ancor meno per aver legato il suo pensiero e la sua prassi di storico a una filosofia […] Bloch fu un grande storico perché recò sempre nel suo lavoro il senso e la sollecitudine della vita: di quella vita di cui ogni vero storico non si stanca di “conoscere il gusto”.
Marc Bloch, dopo molti tentativi falliti, riuscì ad entrare alla Sorbona con una cattedra in Storia economica, coronando il sogno di tornare da professore laddove aveva studiato da ragazzo. Poi, però, venne la guerra, venne la catastrofe.
L’ombra dei fascismi – e del nazismo in particolare – a minacciare la Francia, l’Europa, il mondo.
https://twitter.com/nexta_tv/status/1711763121382019564
È così successo che questo particolare si sia diffuso con particolare veemenza nei canali della destra islamofoba online e dai sostenitori più radicalizzati di Israele in tutto il mondo. Mentre portali prestigiosi dell’informazione come Bbc, New York Times e Cnn non riportavano alcuna notizia sui bambini decapitati, in Italia la storia è stata immediatamente utilizzata da giornalisti e da politici per criminalizzare qualsiasi forma di solidarietà con la causa palestinese, anche la più moderata.
https://twitter.com/OrenZiv_/status/1712038436910055925
“Storia probabilmente falsa”
Tra le prime fonti a parlare di bambini decapitati, in una intervista a Cbs, c’era stato anche Yossi Landau, responsabile delle operazioni nel Sud di Israele della ong israeliana Zaka, che da una quindicina d’anni si occupa di rimuovere i corpi martoriati dopo gli attentati terroristici nell’area.
Giovedì 12 ottobre, in una conferenza stampa, Landau ha però ritrattato la sua prima versione. Rispondendo a una domanda precisa ha detto di non aver visto con i propri occhi bambini decapitati. Lo ha riportato la giornalista de Il Foglio e podcaster Cecilia Sala, presente sul posto. “La storia è probabilmente falsa“, scrive Sala.
https://www.wired.it/article/hamas-bambini-decapitati-kibbutz-israele-storia/
11/10/2023
La storia dei bambini decapitati da Hamas non è stata confermata
Non ci sono prove per corroborare i resoconti circa alcuni bambini decapitati e alcune donne fatte ostaggio stuprate da Hamas.
Le atrocità compiute Hamas nell’attacco a sorpresa a Israele sabato 7 ottobre sono cristalline, documentabili e rivendicate ampiamente dal gruppo palestinese. Secondo i volontari di vari servizi di emergenza israeliani, almeno 18 kibbutz al confine con la Striscia di Gaza sono stati attaccati durante il fine settimana. In totale, in base a ciò che si sa al momento, i miliziani di Hamas hanno ucciso più di un migliaio tra civili e militari, prendendo in ostaggio più di 150 persone.
Al momento, tuttavia, le autorità israeliane hanno detto di non poter confermare due storie che sono circolate molto su Twitter, che hanno ottenuto particolare risalto sulla stampa italiana: quella su 40 bambini decapitati dal gruppo radicale nei kibbutz assaliti per ore e i casi di stupro di diverse donne durante gli attacchi.