Schegge di guerra
“La luce sotto cui io vidi la guerra, fu la seguente. Tutti i popoli combattenti l’uno contro l’altro, avevano ragione. A ciascuno la ragione, proprio la ragione, forniva inesauribili ragioni, a sostegno dei principi da cui partivano, principi opposti e contrastanti, ma ognuno provveduto d’un uguale sovrana e incontrollabile legittimità (principio di nazionalità, confini geografici, necessità di difesa militare, compagine statale storica, diritto di espansione e d’egemonia d’una forma di civiltà superiore). A ciascuno di noi, popoli in guerra, la ragione avrebbe continuato per tutta l’eternità a fornir ragioni per la nostra tesi. Cioè le ragioni sono in incolmabile contrasto, e la persuasione (ossia la confluenza di essa ad unità) non è possibile; cioè ancora, la ragione totale è in sé scissa né può trovare in sé il criterio e la decisione per superare la sua propria scissione, ed è quindi per decidere costretta a ricorrere a
un fatto extra-razionale, come la guerra”.
Queste affermazioni di Giuseppe Rensi, filosofo, sottovalutato e quasi dimenticato, nato nel 1871 e morto nel 1941, sono una ventata di aria fresca in momenti storici come i nostri in cui abbondano i “grandi” cervelli scantinato dove non filtra nemmeno un raggio di luce. Rensi, socialista rivoluzionario, costretto all’esilio dallo Stato liberale, amico di Mussolini e ideologo del primo fascismo, sottoscrisse, da spirito libero, il manifesto degli intellettuali antifascisti di Croce, fu dunque perseguitato e arrestato, infine “confinato” in un ufficio della biblioteca dell’Università di Genova di cui era stato apprezzato docente di Filosofia. Sempre contro il potere, come ogni scettico e realista che si rispetti, era di una vitalità intellettuale non comune ai nostri giorni. Di Lenin, per esempio, scrisse che fu “un uomo del Rinascimento in piena epoca moderna”. Non aveva timore, da pensatore senza insegne precostituite e catenacci ideologici, di cogliere la grandezza lì dove si palesava e di giudicare le azioni degli uomini per quelle che erano. Non si accontentava si scegliersi una parte ma valutava con occhio critico ogni ragione perché tutti hanno sempre una propria ragione alla quale fare riferimento in assenza di una ragione assoluta e definitiva alla quale aggrapparsi. Perciò riteneva inevitabile questo conflitto tra ragioni il cui sbocco ultimo era anche la guerra. Essere consapevoli di ciò rappresenta un principio necessario se si vuole evitare di mostrificare il nemico, contrariamente a quanto si sta facendo ora ma forse si è sempre fatto anche in passato. L’Occidente in decadenza però si comporta peggio di tanti perché rivendica una superiorità morale che non ha, additando ovunque nemici del bene, percependosi unico argine al male altrui e ignorando bellamente il proprio, a tratti persino superiore alla somma di quello di tutti gli altri.
Insomma, Rensi era uno di quei personaggi che finisce per farsi nemici ovunque perché non sta mai intellettualmente fermo in un posto avendo colto la vera sostanza di alcune fondamentali contrapposizioni sociali. Abbiamo ancora molto da imparare da questo approccio perché la vita è un flusso inarrestabile da cui veniamo trascinati e sballottolati senza poter mai raggiungere un porto sicuro e definitivo. Il nemico ci sta di fronte ma anche dentro. Esserne consapevoli significa sapersi scontrare e confrontarsi con l’altro su basi più realistiche. Cosa vieppiù dimenticata dalle nostre parti a testimonianza che non siamo superiori ma solo superiormente sciocchi o in mala fede.