Non Mosca ma un pugno di mosche in mano all’Occidente
L’impresa bellica russa va a gonfie vele. Non parliamo solo dell’operazione speciale in Ucraina ma proprio dell’apparato industriale di Mosca che da solo produce mezzi, munizioni e nuovi armamenti, tra cui missili ipersonici inintercettabili e altre diavolerie a noi sconosciute, che tutto l’Occidente messo insieme non riesce ad eguagliare, né per quantità, né per qualità. Ovviamente, ciò ha dei costi sociali ma è il prezzo da pagare per assurgere a livelli di potenza superiori. La Russia è dovuta risorgere dalla sue rovine, in seguito al crollo dell’URSS e, dopo aver mangiato la polvere e inghiottito bocconi amari negli anni 90 del secolo scorso, è riuscita a ritornare prepotentemente sul palcoscenico globale, non solo come forza regionale ma come player mondiale con una proiezione egemonica su molti scenari. Adesso quella russa è nuovamente una società viva e battagliera che può anche richiedere sforzi e sacrifici ai suoi cittadini ma per una causa legittima e nell’interesse collettivo. Questa è la sovranità nazionale, non quelle balle che ci vengono propinate in Italia dalla destra filo americana e filo israeliana che dalla denuncia dei complotti demoplutogiudaicomassonici di ieri è approdata alla centralità del pensiero solare attuale, coincidente con l’insolazione che le ha bruciato il cervello. Della sinistra nemmeno ne parliamo più perché, con lo scioglimento del PCI, divenuto peraltro ambiguo già con la segreteria Berlinguer, se non prima, questa è diventata il soggetto delegato dello straniero, la quinta colonna di uno Stato estero che occupa con basi militari, servizi segreti e collegamenti vari le istituzioni pubbliche e private del nostro Paese.
Di fronte a questo lungo collasso epocale di tutta l’Europa, perché sul precipizio non c’è solo l’Italia, il circo mediatico ufficiale ci racconta la barzelletta che i moribondi stanno in Russia mentre da noi fiorisce una grande civiltà di diritti e di libertà, salvo incidenti di percorso come l’annullamento di elezioni che non vanno come avrebbero dovuto, l’instaurazione di una dittatura del pensiero e della lingua su cui vigila una psicopolizia ideologica con tentancoli ovunque, la censura di intellettuali, personalità e idee sgraditi, del presente e del passato, che mettono a rischio presunti nuovi valori difficili da comprendere e metabolizzare, sempre più spesso in contraddizione tra loro e che fanno scattare continui cortocircuiti culturali coi quali prendono fuoco gli stessi cantori del potere.
Così si vive ormai nella democrazia che s’inventa tiranni e macellai ovunque, ai quali fare la guerra per procura o con il più becero terrorismo internazionale, non perché questi lo siano davvero ma poiché solo proiettando sugli altri i propri delitti e difetti si evita di farsi il lungo esame di coscienza storico che potrebbe far terminare la supponenza e il complesso di superiorità senza più riscontri nella realtà.
Prepotenza degli USA unita al servilismo dell’Europa in una fase di transizione che da sola smentisce l’assolutismo di queste posizioni ridotte a credenza. Ci stiamo illudendo di avere ancora in mano il mondo e andiamo a caccia di Mosca.