FRAMMENTI DI STORIA GERMANICA E ITALICA di O. M. Schena
Sembrerebbe che a seguito dell’aggressione squadristica al giornalista Andrea Joliy (che ha incassato la solidarietà della Presidente Meloni!) e poi dell’intervento del presidente del Senato Ignazio La Russa, il Presidente Mattarella non abbia voluto assistere silente alle consuete raffinatezze gergali delle citate autorità e abbia voluto impartire al colto e all’inclita un’autentica, straordinaria lezione di diritto costituzionale, ecco uno stralcio del discorsodel P.d.R.: “Ogni atto rivolto contro la libera informazione, ogni sua riduzione a fake news, è un atto eversivo rivolto contro la Repubblica. Garanzia di democrazia è, naturalmente, il pluralismo dell’informazione. A questo valore le istituzioni della Repubblica devono rivolgere la massima attenzione e sostegno”.
Sembrerebbe, dunque, un qualcosa di molto serio, serio nel senso di grave, ovvero il fatto che qualcuno, addirittura dall’alto d’uno scranno istituzionale, abbia dimenticato o, peggio ancora, sbeffeggiato l’art. 21 della Costituzione. A quale dei due presidenti, di grazia, sarà mai scappata la presunta consueta, elegante furbata?
Ma non si può escludere che possa essere anche tutta colpa di un effetto ottico! Qui non è possibile sapere se la lezione presidenziale, sia pure nella Sua consueta tonalità sepolcrale, sia poi giunta a destinazione, né è possibile sapere se il Presidente Mattarella abbia deciso di avviare le procedure previste per la violazione della Costituzione. È, invece, possibile che non se ne sia accorto proprio nessuno o, forse, solo in pochissimi, forse non se n’è accorto … neppure il Presidente Mattarella … ma qui, un passo dopo l’altro, e siamo sprofondati in un vero abisso di abiezione.
Ma tutto questo potrebbe anche essere colpa di un effetto ottico!
C’è, intanto, una gara forsennata, senza esclusione di colpi, anche sotto la cintura, tra i politici al governo e quelli all’opposizione, ma è davvero difficile scoprire chi è che faccia ridere di più, o dare di più di stomaco, la sola cosa certa, ovvero il vero guaio, sono le salatissime lacrime che versa il popolo quasi dormiente. Intanto, qui ci tocca ricordare l’assassinio dell’art.21 della Costituzione, sempre che non trattasi di suicidio, neppure assistito!
(Tratto da: NICO PERRONE “Frammenti taciuti di storia germanica”- Bastogi Libri 2023)
Croce di ferro del Reich
Smith aveva quindici anni, quando nel 1933 incominciò a frequentare l’organizzazione nazista dei ragazzi con la passione del mare. Trascorse qualche tempo non particolarmente significativo in quella militanza. Nel 1937 terminati gli studi liceali si presentò in una caserma per arruolarsi come volontario. Venne inquadrato nell’arma dell’aria che a un giovane poteva apparire la più esaltante (anche se in precedenza aveva pensato invece di servire la patria sul mare). Arruolato incominciò ad Amburgo-Reitbrook a servire il Reich sotto le armi.(…)doveva essere stato piuttosto vivace, perciò in quello stesso 1936 – lo ha raccontato egli stesso – venne espulso per indisciplina da quell’organizzazione
Una pagina tremenda
(“A ciascuno il suo Helmut Schmidt”?)
Quando era un militare del Reich, lo Oberleutnant, il primo tenente Helmut Schmidt, aveva adempiuto anche a un incarico tremendo, dopo che gli venne assegnato il compito di “osservatore”. Si trattava di un ruolo importante nella liturgia del terrore nazista, che doveva essere conferito evidentemente a chi avesse già dimostrato di avere una fede politica fuori discussione. Quel compito aveva lo scopo di dare la parvenza giuridica all’esecuzione delle condanne delVolksgerichtshof (tribunale del popolo). Quell’istituzione operò con particolare ferocia dopo il fallimento dell’attentato al Führer (20/7/1944).
La designazione di Schmidt a un compito talmente delicato indicava che egli doveva essere annoverato tra i fedelissimi del Reich, ai quali poteva essere dato un compito talmente gravido di pubbliche responsabilità. Nel Reich, egli non era stato mai un semplice gregario. In quella funzione Schmidt non rimase a lungo. Nel dicembre 1944, sarà infatti trasferito nel Belgio occupato, come comandante di una batteria. Seguirà, dopo la sconfitta germanica un periodo per il quale non è facile ricostruire le attività di Schmidt. Egli parlerà anche nei dettagli ma solo relativamente agli anni della gloria politica che incominciano dal 1946 col suo ritorno alla politica nella Repubblica federale di Germania. Per il periodo precedente, nei suoi libri egli fa come se non ci fossero stati.
Dopo quella sua clamorosa dichiarazione, Helmut Schmidt era stato molto rapido nell’intraprendere una nuova carriera politica iscrivendosi nel marzo 1946 alla SPD (il partito socialdemocratico tedesco).
(…) dopo la caduta del nazismo, dunque, in Germania non si è voluta fare una reale epurazione. Non l’avevano voluta i vincitori anglo-americani che mirano ad un rapido ritorno alla normalità mettendo da parte i carichi politici, ma tenendosi attenti soprattutto a una linea liberale tollerante dell’impostazione politica generale: essi badavano specialmente a integrare nel proprio schieramento politico-economico, e presto pure militare, anche una larga parte di quelli che avevano avuto delle responsabilità non lievi nella Germania nazista. Non si possono tenere da parte i problemi, che si faranno sempre più acuti per gli Stati Uniti e i loro alleati, dei regimi autoritari comunisti nell’Europa orientale. Considerato il radicalizzarsi degli schieramenti internazionali contrapposti, diventava utile che fossero protagonisti della nuova politica anche quelli che avevano un robusto passato nazista. Sotto l’insegna freedom, s’identificarono quindi i protagonisti della lotta risoluta contro il comunismo, che era sostenuto invece dall’Unione Sovietica e dai suoi alleati. Il cambiare bandiera per chi fa un’attività politica deve dunque considerarsi alla stregua di quanto osservava B. Croce. Prima d’innalzare la nuova bandiera, si dovrebbe però dar conto della prima scelta, senza nascondere nulla. Chi deve giudicare, almeno capirà. Naturalmente non si può dimenticare la differenza che passa fra il capire e l’accettare. Helmut Schmidt aveva voluto persino imbracciare il vessillo della freedom, che non era mai stato il suo ma era quello sventolato dai vincitori. Nessuno si ricordava più che la corrispondente parola veniva allora isolata dal suo contesto originario: liberté, egalité fraternité. Si trattava dunque di qualcosa di ben articolato. La libertà, da sola si riduce alla condizione per il funzionamento del mercato.
In ginocchio per le colpe storiche
Nel giugno del 1945, nel campo di prigionia Zedelgem, Schmidt affermava di aver definito un’illusione quella del nazismo che egli stesso aveva sostenuto fino alla fine e dal quale alla fine si diceva disgustato. Ricorderà anche forse come l’avvio di un pubblico ripensamento che nei fatti è rimasto incompiuto – che dopo aver ascoltato una conferenza (anch’essa nel giugno ‘45) di H. Bhnenkamp, intitolata, “persone ingannate”avrebbe accennato alle illusioni di quel regime. Egli, però, aveva sostenuto quel regime fino alla fine. A parte questo, quell’intero racconto presentato con enfasi da Schmidt, appariva falso e incoerente.
Egli venne liberato in breve tempo dalla prigionia il 31 agosto ’45. In anni successivi, accennò perfino di aver fatto parte di una “opposizione interna” al nazismo. Ma non se n’era mai saputo nulla, né egli portò mai delle prove.(…)
L’autobiografia smemorata
Allora la vita del paese era ferreamente regolata dal Fuhrer. Ma subito dopo quel regime, H. Schmidt fu sollecito a dimenticarsene e a nascondere, per darsi con fervore alla nuova politica secondo il metodo democratico. (…)Naturalmente è impossibile sapere se egli fosse stato coerente con se stesso nei trascorsi nazisti, o se lo fosse nella repentina conversione politica.
H. Schmidt è stato cancelliere della repubblica federale dal 16/5/74 al 1/10/82 (…)
demolizione di una prigione, insieme a certe tracce
Dopo la tragica sparizione in prigione di tutti quei terroristi, di azioni della R.A.F. nella repubblica federale non si sentì più parlare. Non solo non si parlò del complesso fenomeno di cui essa era stata l’espressione e lo strumento, ma non si discusse neppure di come alcuni componenti della banda fossero scomparsi. L’opinione pubblica vive anche intensamente il presente, ma mette presto da parte tutto il resto. In questo modo ha messo da parte anche i misteri – chiamiamoli così – che hanno accompagnato la morte delle persone che del terrorismo erano state i protagonisti.
Di un fenomeno tremendo che a lungo ha devastato la vita nazionale tedesca, dopo la lunga successione dei fatti di cui qui abbiamo parlato – il terrorismo e i suoi protagonisti – non si è parlato più. Il nemico era stato sconfitto e non se ne volevano ricordare più i protagonisti; né si volevano discutere le modalità, le contraddizioni, diciamo pure i misteri che avevano caratterizzato la complessiva azione della repressione. D’altronde erano ormai scomparsi i protagonisti dell’una e dell’altra parte e se qualche terrorista era riuscito a scampare alla morte o alla prigione, doveva ormai preoccuparsi solo di farsi dimenticare.
Il governo Schmidt, dopo la conclusione di quel fenomeno devastante, poté finalmente indirizzare verso altri problemi la propria azione.
Nell’agosto del 2007 è stato deciso di demolire la grande prigione di Stoccarda costruita fra il 1959 e il 1963, per essere inaugurata l’anno dopo. Con una spesa ben considerevole, dove essa sorgeva ne è stata costruita una tutta nuova, con fattezze architettoniche del tutto simili a quella precedente. Formalmente quella decisione fu presa dall’amministrazione del Baden-Wurttemberg. Perciò tra il 2007 e il 2017, su quel medesimo suolo è stata edificata una prigione tutta nuova. Questa operazione ha avuto anche il risultato di far scomparire per sempre le tracce rimaste nell’edificio di quello che era successo nell’ottobre 1977, di cui abbiamo parlato, a proposito dell’eco della cultura dei fatti degli anni del terrorismo, potrebbe far riflettere che il Goldener Bar, il premio dell’orso d’oro allo Internationale Filmfestspiele Berlin, il festival internazionale del cinema di Berlino, sia stato attribuito nel 1986 a Stammheim. Si trattava di un film di Reinhard Hauff che in italiano si intitolerà il caso Baader-Meinhof. Fin dal titolo esso appariva molto esplicito. Di premi assegnati a lavori cinematografici tedeschi su quei fatti, ce ne sono stati diversi altri. non hanno avuto la stessa risonanza del primo, perché sono stati realizzati da registi di minore notorietà internazionale. Tutto questo indica però quanto interesse e quanto bisogno di capire a fondo quello che era davvero successo nell’autunno germanico esistessero in Germania e in tutta l’Europa.
La cultura – il cinema ne è oggi un’espressione molto viva ed efficace – in Germania dimostra di essere particolarmente sensibile e talvolta ben più reattiva della politica.
Per ricordare la Separation des pouvoirs
Quando si dovette risolvere davvero il problema del terrorismo – durato troppo a lungo e in modo tale da far sorgere dubbi sul funzionamento delle istituzioni – le modalità scelte determinarono a loro volta in esse qualche grave ferita. Dal punto di vista della legge quelle vicende non possono ormai più mettersi in discussione: è tutto prescritto. Ma sul piano storico, si deve invece parlarne.
Un primo interrogativo concerne il tempo troppo lungo trascorso tra l’insorgere del fenomeno e la sua soluzione. Colpisce anche l’incapacità della politica di affrontarlo con strumenti politici appunto, che non debbono essere quelli militari. A tutto questo è direttamente legato il numero delle persone cadute per mano eversiva, per l’azione repressiva legale, ma anche per cause che non sono state chiarite secondo le regole delle prove rigorose. Infatti, un altro interrogativo viene dal numero, troppo elevato dal punto di vista puramente statistico, dei “suicidi” che hanno concluso la vita dei terroristi in prigione.
Uno stato moderno e democratico, non può mantenere aperti dei problemi di tal genere.
Abbiamo anche visto che per l’eliminazione del terrorismo sono state istituite delle carceri con caratteristiche che presentano evidenti problemi per la tutela dei diritti dei detenuti che sono tutelati dalle convenzioni internazionali. Convenzioni a parte si tratta di esseri umani ai quali dovrebbero applicarsi delle forme di detenzione che non facciano sorgere interrogativi e problemi.
Ogni deviazione dal classico equilibrio fissato dalla massima liberté, egalité, fraternité, può dare origine a pericoli molto gravi per la democrazia. Si potrebbe però obiettare che nel sistema tedesco non c’è alcun richiamo a quella classica tripartizione. Occorrerà riflettere sulla necessità politica che il potere esecutivo rimanga sempre ancorato allo spirito di quella classica massima.
Per concludere in modo critico, come appare necessario, eppure senz’ira per alcuni fatti tremendi, l’autore ricorda quelle parole rese famose da una cantante di grande sensibilità, Edith Piaf (1915-1965) in anni tremendi per la Francia: Non je neregrette rien. Erano poste all’inizio dell’omonima canzone, che ebbe uno straordinario successo. E forse ebbe anche qualche peso politico in anni che furono tanto difficili per l’Europa.
Non, je ne regrette rien (Remastered 2017)
Durante la cancelleria di Smith
Sotto la cancelleria di Schmidt erano circolate notizie di interventi armati contro i detenuti della RAF. Fatti quindi di gravità estrema in un ordinamento democratico. Essi vennero smentiti con sdegno dai portavoce governativi. Però nel giro di qualche ora, le smentite ufficiali vennero demolite in seguito al rinvenimento di prove che dimostravano la fondatezza di quelle accuse.
Sia detto tra parentesi, la gestione democratica del potere avrebbe imposto le dimissioni del ministro responsabile di un falso talmente grave: i fatti subito dimostrarono che esso consisteva proprio in quella smentita. Ma quel fatto cadde invece nell’indifferenza.
Veniamo ora ai dettagli noti di alcuni di quei casi. Il primo era avvenuto nella notte tra il 17 e il 189 ottobre 1977. Si era dovuto parlare inevitabilmente si “sangue” anche nelle dichiarazioni ufficiali che in poche ore si succedettero, talvolta con delle contraddizioni circa dettagli tutt’altro che secondari. D’altronde quella era stata la definizione adoperata anche dai dirigenti carcerari. La stessa parola dovette essere ribadita dai portavoce ufficiali del governo della Repubblica federale di Germania.
Ufficialmente però, quelli sarebbero stati dei casi di “suicidio quindi per la burocrazia carceraria. Sommando le diverse notizie apparse sui giornali, si arriva a contarne quattordici. Però anche su questo dato puramente statistico mancano conferme ufficiali.
Al suicidio contemporaneo di tre persone – che si trovavano imprigionate nel carcere di massima sicurezza di Stoccarda – parve difficile credere. Eppure proprio con quella definizione era stata diffusa la notizia alla stampa. Quella plurima dipartita di carcerati era avvenuta nella notte tr il 17 e il 18 ottobre 1977 nella notte dei misteri.
Ma faceva davvero parte dei comuni rituali del terrorismo- specialmente quello della RAF – il suicidio singolo o collettivo? Da parte delle autorità tedesche questo non è mai stato dimostrato, anche se talvolta le autorità hanno chiuso polemiche e problemi ricorrendo a tale suggestiva spiegazione.
“facci dunque uno principe di vincere e mantenere lo stato:
e mezzi saranno sempre indicati onorevoli, e da ciascuno laudati.”
N. Machiavelli –Il Principe, XVIII
(…)Quando il terrorismo divampò, l’informazione ne denunciò il pericolo e la spietatezza, ma non volle approfondire realmente l’analisi delle sue cause tanto complesse che erano alla base di quel fenomeno. La stampa d’informazione puntava piuttosto ad allargare il proprio mercato chiamando a raccolta contro un nemico oscuro. Qualche tentativo di approfondimento veniva invece per impulso politico, attraverso libri, riviste di non larga diffusione e da qualche film. Presto avevano incominciato a circolare nelle sale cinematografiche anche le analisi profonde, irrituali e complesse di R.W. di Fassbinder (1945-1982) che però in principio ebbero influenza solo nell’area piuttosto limitata del pubblico più colto. .
La Francia aveva vissuto la Guerre d’Algerie, che quanto a orrori e lacerazioni, non era stata cosa da archiviare facilmente. E portava con sé memoria del regime di Vichy. Ma nella sua grandeur storica, tutto riassorbiva e tutto inseriva nella prospettiva di una storia. La Germania di Helmut Schmidt doveva invece far dimenticare la propria storia e la propria disfatta ma inciampava in una scorciatoia.
21/12/2024
ORONZO MARIOSCHENA