NE’ IMPERO NE’ IMPERIALISMO
La situazione storica attuale impone una ridefinizione delle categorie attraverso le quali si tenta d’interpretare la realtà capitalistica e, soprattutto, occorre porsi l’obiettivo ambizioso dell’elaborazione di una nuova teoria antisistemica che ci consenta di seguire la direzionalità dei processi sociali nei quali siamo immersi. Questa operazione di comprensione e re/interpretazione dell’esistente capitalistico deve partire da uno svecchiamento delle concettualità che abbiamo mutuato (più spesso stravolto) dal pensiero marxiano e che dopo tanti anni cominciano a segnare il passo. Sono passati 150 anni dal Capitale di Marx e siccome l’escatologia marxista è lungi dall’essersi realizzata è d’uopo rivedere molte delle cose che si sono fin qui dette e che si continuano impunemente a dire.
Ovviamente, tra l’idea di impero e quella di imperialismo non possiamo che protendere per la seconda, tuttavia anche quest’ultima espone troppo il fianco e ci costringe ad una farragginosità che sarà meglio districare.
L’impero negriano è solo un esercizio intellettuale per post-operaisti senza più il terreno sotto i piedi, costretti come sono ad inseguire, ossessivamente, un soggetto rivoluzionario inesistente (il cambio di soggettività rivoluzionaria è stato, per questa gente, un adattamento continuo alle modificazioni che, di volta in volta, si verificavano nell’ambito dell’organizzazione e riorganizzazione capitalistica dopo cicli di lotte più o meno perdenti. Dal fabbrichismo dell’operaio massa che creava la sua coscienza rivoluzionaria nelle fabbriche tayloristiche, si saltellava verso il fabbrichismo della società intera che produceva l’operaio sociale, fino a giungere alle farneticazioni del soggetto disseminato e delle moltitudini desideranti che si portano i mezzi di produzione nella loro testa). Si capisce che questo, più che un tentativo teorico di comprendere la realtà, è un escamotage per non buttare a mare anni di fesserie dette con leggerezza. In tale caso il consiglio è di buttare via sia il bambino che l’acqua sporca.
Per quel che riguarda invece l’imperialismo, pur con le dovute ricontestualizzazioni storiche, qualcosa ci può aiutare ancora a comprendere. L’epoca imperialistica classica fu quella che si sviluppò tra l’ottocento e il novecento. In questo periodo l’Inghilterra perdeva la sua supremazia geostrategica e politica a vantaggio del più giovane stato Americano, con un dominio che divenne tale alla fine della seconda guerra mondiale.
Sulla base di questi presupposti è chiaro che non ci si può limitare a riproporre le vecchie teorie antimperialistiche, soprattutto in considerazione del fatto che tale fase è estremamente legata alle guerre mondiali del ‘900. Allora che fare? Dovremmo addentrarci in una seria analisi geopolitica per capire come si sta muovendo il mondo. Ovviamente, gli Stati Uniti sono al momento la potenza dominante anche se, lo sviluppo economico (che da solo non basta) di Cina e India lascia presagire che queste nazioni potrebbero, in un futuro non molto remoto, divenire concorrenti pericolosi per gli interessi geopolitici degli USA, insomma non siamo ancora all’esplosione di una fase policentrica ma se ne pongonole basi. Certo è, però, che la politica di espansione egemonica americana ha disegni ben precisi che passano per la completa sottomissione dell’Europa (sempre meno politica e sempre più una mera unione monetaria) al fine di porre un argine verso Est, Russia e Cina innanzitutto.
Gli USA sono così presi da questo compito che, per il momento, non stanno intervenendo nelle questioni sudamericane, dove si risvegliano forti sentimenti di indipendenza nazionale e di non subordinazione (vedi Venezuela e Perù) al più potente vicino del nord.
Ma gli americani hanno anche l’esigenza di controllare strettamente la fascia mediorientale, sia per le fonti energetiche ivi presenti sia per creare un’ennesima cintura protettiva verso est.
Questo significa che continueranno guerre, guerreggiate o più striscianti, contro quegli Stati che tenteranno di reagire alla protervia dell’establishment USA (contro di questi sarà guerra in senso classico) o che si mostreranno recalcitranti ad accodarsi al “trenino” americano (sanzioni/embarghi).
In questo scenario preoccupante, l’Italia conserva un ruolo strategico per le amministrazioni americane (siano esse repubblicane o democratiche, cambia poco alla sostanza della strategia USA) sia per la sua posizione geografica verso il mediterraneo e verso i paesi dell’ex URSS, sia per la sua instabilità politica che facilita le manovre di chi agisce dietro le quinte. L’Italia è ancora un laboratorio politico, seppur meno importante che in passato, per la caratterizzazione delle strategie dei padroni americani. La classe dirigente italiana è tutta schierata con gli USA senza eccezioni importanti, e la forma stessa del confronto politico destra-sinistra favorisce l’occultamento degli interessi in campo. Queste due “luoghi spaziali” (che si scimmiottano come in un gioco di specchi) andrebbero completamente spazzati via nella speranza che il loro posto venga preso da soggetti meno supini allo status quo.
Ma questa è già un’altra storia…