LA PALESTINA IN GINOCCHIO
L’embargo economico decretato unilateralmente dagli USA e da Israele contro il legittimo governo palestinese di Hamas, eletto secondo la ritualità democratica del voto – è bene ricordarlo ai fautori insigni delle elezioni che dichiarano guerra a chiunque non si conforma a tale “santissimo” principio – sta mettendo in ginocchio, non un governo, ma tutto un popolo. E’ notizia di oggi che in Palestina muoiono almeno cinque persone al giorno per la scarsità di medicinali e per il malfunzionamento delle apparecchiature tecniche negli ospedali. Gli impiegati pubblici non ricevono lo stipendio da più di due mesi e tutto il settore produttivo si sta sgretolando sotto il peso delle sanzioni e dei divieti commerciali imposti dai cosiddetti Stati civili d’occidente. Per quanto i membri del governo di Hamas stiano cercando intese economiche con i paesi “non allineati”, pellegrinando da un capo di stato all’altro, la situazione non accenna a migliorare. L’Europa, anche in questa occasione, ha dimostrato la propria inettitudine e si è accodata, senza chiedere il permesso ai suoi cittadini, all’alleanza americano-sionista che vuole il genocidio del popolo palestinese. La Palestina è divenuta un vero è proprio campo di concentramento, circondato da una cintura di armi e cemento posta a “protezione” del povero Stato nucleare d’Istraele, vessato e martoriato dall’intifada e dai kamikaze che turbano la sua quiete. Ma nonostante la sproporzione delle armi dei belligeranti e dell’ultracinquantennale occupazione illegittima di territori appartenenti alla sovranità palestinese, il coro dei governi occidentali è unanime: o si cambia strada o in Palestina si muore. Eppure il governo di Hamas è stato votato con tutti i crismi della proceduralità democratica. Come mai un governo eletto dal popolo deve cadere? Non è per tale principio che lor signori dell’ipocrisia bombardano quotidianamente i popoli che si sono fatti sottomettere dal giogo delle dittature islamiche? Non è per questo che si esporta la democrazia?
Evidentemente, nonostante il tam tam mediatico con il quale si crea il consenso nei nostri paesi, la democrazia è solo la facciata con la quale si celano gli intenti di assoggettamento di intere aree considerate strategiche dai dominanti americani e dalla nebulosa europea, attratta da tale forza gravitazionale.
Ma mentre l’economia palestinese crolla sotto i colpi sferrati dai governi del mondo sviluppato, l’economia israeliana vede crescere il suo PIL oltre le più rosee aspettative e per il I trimestre del 2006 si parla del 6,6%. Questo trend positivo non accenna ad arrestarsi ed è strettamente connesso al maggior contenimento delle azioni di resistenza palestinesi.
Invece, l’Autorità Nazionale Palestinese, dovrà ristrutturare la sua economia non potendo contare sugli aiuti europei (circa 250 milioni di euro annui), e dovendo contenere le perdite scaturenti dal blocco israeliano dei dazi doganali (60 milioni di dollari al mese). Così il prodotto interno lordo è già caduto del 30%, la disoccupazione è al 40% e 2/3 della popolazione sono sotto la soglia di povertà. Chissà se inviando ai palestinesi il neo ministro italiano dell’economia Padoa-Schioppa, geniaccio della triste scienza, del quale noi italiani ci priveremmo volentieri, si potrebbe risollevare la situazione.
Naturalmente speriamo nella resistenza dei palestinesi e nella capacità di mediazione dei leaders di Hamas, soprattutto occorrerà insistere sulla possibilità di intessere e fortificare le relazioni con altri paesi non allineati e che vivono, seppure con meno emergenza, lo stesso stato di assedio.