LA DIFESA DI COSTANZO PREVE E QUALCHE ELEMENTO DI DISCUSSIONE

 

Solo ieri ho potuto avere tra le mani un articolo di Preve disponibile on line sul sito di Comunitarismo. Il titolo è già molto esplicativo “Il Comunismo? Ipotesi plausibile. I comunisti? Dio ce ne scampi”. Preve, in linea con le idee che sostiene da molto tempo, ritiene inopportuno ricostituire l’ennesimo partito neocomunista, destinato, già nelle premesse fondative, ad un avvitamento identitario e autotelico, a causa di elementi consustanziali alla natura stessa del suo “Essere Gruppuscolare” che l’autore spiega con tre categorie filosofiche ovvero: l’Immaginario Paranoico, il Pensiero Magico e il (P)olitically (C)orrect di (E)strema (S)inistra. Partiamo proprio dal primo aspetto e dall’ultima parte dell’articolo di Costanzo Preve, dove l’autore, del tutto giustamente, si difende dagli attacchi dei CARC che lo accusano di pubblicare con case editrici della nuova destra. Prima però un’altra divagazione. Il “Giornale” di ieri riportava la notizia dell’occupazione, da parte di giovani dell’antifascismo militante, della casa editrice Castelvecchi, rea di aver edito il libro di Domenico De Tullio “Centri Sociali di Destra”. I “giovinastri” hanno costretto Alberto Castelvecchi a posare con un cartello dove vi era scritto “Liberi Tutti”. Premesso che nelle galere non vorrei vederci mai nessun compagno, dando pienamente ragione al Trotzky che dai banchi del parlamento russo prendeva le difese degli estremisti (pur criticandone la prospettiva nihilistica) al fine di non concedere nulla alla falsa moralità dei dominanti, tuttavia, si capisce che queste operazioni estetiche non hanno nulla a che vedere né con l’antifascismo (militante di che? dato che non ci sono fascisti al potere) né con il comunismo (che fino a prova contraria continuerà a coincidere con il fallimento della pianificazione imposta dall’alto a danno dei lavoratori e dell’elettrificazione dell’URSS).

Certamente, chi si è preso la briga di leggere i testi di Preve pubblicati da Settimo Sigillo o da Arianna, sa benissimo che il citato filosofo non si è scostato di una riga rispetto alle tesi sostenute in altri testi editi, invece, dalla CRT di Pistoia o dalla Punto Rosso di Milano. Semmai è a destra che hanno bisogno di questi autori poiché sono più che mai orfani di teorie atte a cogliere la direzionalità delle cose del mondo (a meno che non si voglia considerare “teoria” il complotto demo-pluto-giudaico-massonico del Mondialismo Imperante). Noi possiamo ancora contare su Marx che, nonostante necessari riaggiustamenti teorici, dico necessari per non essere più drastico dati i 150 anni e più trascorsi dalla pubblicazione del “Capitale”, resta un buon punto di partenza, mentre non so se lo stesso possa valere per J. Evola.

Direi che è pretestuoso crocifiggere un autore a causa di un ostracismo impostogli dalla case editrici sedicenti di sinistra che solo, e sottolineo solo, per questo motivo si vede costretto a pubblicare con chi capita (o con chi condivide le sue analisi, anche se sono persone distanti dalla cultura comunista). Di puri e duri, che sono passati a piedi giunti dalla parte del nemico, ce ne sono a iosa e sono gli stessi  che foraggiavano le plebi ossequianti con idiozie immani sulla “rivoluzione del giorno dopo”. Non li cito ma per chi ha letto i libri autocommemorativi del post-operaismo italiano sa di chi parlo. Detto en passant, lo stesso Negri non ci crede più nemmeno lui alle cose che scrive (queste sì edite dalla Manifestolibri o dalla Rizzoli)e, ad un nostro compagno che (durante un’incontro tenutosi a Bari per la commemorazione di Nicola De Feo) lo aveva afferrato per un braccio, Negri ha esplicitamente detto di rassegnarsi perché era tutto finito! Con buona pace delle moltitudini desideranti e cyberspaziali.

Infine, Preve porta a sua difesa un argomento convincente e lapalissiano, oscuro solo a chi si benda gli occhi con la retorica della resistenza partigiana. Stiamo dicendo già da un po’ di tempo che destra e sinistra sono un cerchio magico, un caleidoscopio che proietta sempre le stesse immagini, un gioco di specchi contrapposti finalizzato alla riproduzione di logiche servili per committenti che, per ora, definiremo Funzionari del Capitale. E allora, perché la Rizzoli o la Manifestolibri dovrebbero essere meno compromesse de Il Settimo Sigillo o All’insegna del Veltro? Caduto il primo termine della contrapposizione cade necessariamente anche il secondo, a meno che non si voglia fare la figura di quel pugile che continua a scazzottare l’aria finché non finisce per colpirsi da solo. Dunque, fin qui l’Immaginario Paranoico.

La seconda deriva che Preve mette in evidenza è il c.d. Pensiero Magico, ovvero, volendo sintetizzare: “la fonte è tutto, il pensiero è niente”. Così se qualche buona idea si deposita nel posto sbagliato deve essere anch’essa necessariamente falsa e sbagliata o al minimo una provocazione fascista.

Infine, il Politically Correct di (E)strema (S)inistra (PCES), un codice non scritto di comportamento per il vero militante rivoluzionario che sarà laico, antifascista, un bel po’ incazzato, e che, possibilmente, maneggerà il materialismo storico come un rito vudù,  per scacciare i fantasmi di una realtà che non ne vuole proprio sapere di adattarsi alla profezia comunista.

Va bene, fin qui abbiamo difeso Preve, che, peraltro, lo fa già benissimo da solo ma è meglio esprimere sempre la propria solidarietà a favore di chi viene ingiustamente accusato, soprattutto per amore del “Vero”.

Ma c’è un’altra questione che con Preve si dovrebbe discutere meglio, se non altro perché costituisce un obiettivo sbagliato che va contestato subito, prima che faccia più danni del dovuto. Preve parla di due modelli di anticapitalismo, quello occidentale dello Stato comunista dei lavoratori e quello del “Socialismo Comunitario”. Il primo, come ben si sa, è fallito, più per la sua incapacità di modificare il modo di ri/produzione sociale in senso comunistico che per la sua deriva burocraticistica. Il secondo, invece, è per Preve una possibilità ancora aperta che dovrebbe contemplare, come sue caratteristiche predominanti: la decrescita, seri vincoli ecologici, democrazia ecc.ecc.

Credo, allora, che anche questo modello non avrà vita lunga e si scontrerà presto con quelle collettività sociali (guidate certo da “classi” dominanti capitalistiche) che vogliono la crescita a tutti i costi e la otterranno. Dirò di più, la devono necessariamente ottenere per il riequilibrio degli orders tra potenze mondiali, oggi a tutto vantaggio degli USA.

Come si può proporre a questa gente che vive una condizione sociale disastrosa di non imboccare la via capitalistica dello sviluppo e di attendere una soluzione “occidentale” ai loro problemi? La decrescita non si pone proprio come questione, almeno hic et nunc, e, probabilmente, questi paesi ripercorreranno le stesse tappe forzate delle rivoluzioni industriali dell’occidente capitalistico(e che, tuttavia, non è detto si ripropongano con la stessa forma storica o con gli stessi esiti). Ma come possiamo sensibilizzare questi popoli ad una crescita compatibile dopo che, proprio noi, ci siamo arricchiti considerando il pianeta una cornucopia dalla quale attingere illimitatamente? La decrescita mi sembra l’ennesima buona predica etnocentrica fatta da un pulpito ipertecnologico e ornato di pietre preziose. Al contrario, ci si deve augurare che Cina e India possano creare le condizioni per un controbilanciamento dello strapotere monocentrico (ancora per quanto?) americano. Possiamo star certi che tale auspicato riequilibrio non lo si otterrà con le vacuità sull’economia sostenibile o sulla riduzione degli inquinanti. Allora a chi la imponiamo la decrescita? Forse agli Stati Uniti? E con quali mezzi? “Mettendo dei fiori nei loro cannoni”?