LA POLITICA DEI BLOCCHI SOCIALI (di Gianfranco La Grassa)

Quello che è accaduto giorni fa al Cnel (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) sembra in effetti abbastanza paradigmatico, nelle sue manifestazioni di “superficie”, dei blocchi sociali che si cerca di costituire in Italia, per opera del divide et impera utilizzato dai gruppi dominanti onde mantenere la loro ormai logora e frusta egemonia. Il Cnel emette ogni anno un parere, del tutto consultivo e ineffettuale, sulla finanziaria. Il parere deve però essere espresso all’unanimità (immagino sia solo per ormai consolidata consuetudine). Resta il fatto che quest’anno, tale organismo non ha potuto emettere il parere in questione per l’impossibilità di raggiungere un qualsiasi compromesso tra le varie categorie chiamate a formularlo. Da una parte, favorevoli, Confindustria (che rappresenta ormai solo i vertici delle grandi imprese) e i tre sindacati confederali; dall’altra, nettamente ostili, le maggiori associazioni degli esercenti e commercianti, degli artigiani, della piccola e media industria, dei liberi professionisti, dei coltivatori diretti, del mondo della cooperazione, più alcune sigle sindacali minori dei lavoratori dipendenti.

In effetti, malgrado i contorcimenti di Montezemolo – che sente salire il malcontento della sua base, ma non vuol certo essere irriconoscente verso il regalino che gli ha fatto il Governo con la “mobilità lunga” – la grande imprenditoria continua ad essere tutto sommato favorevole al Governo. Non parliamo dei poteri finanziari; sia Bazoli (Intesa) che Profumo (Unicredit) – fra loro in attrito, basti pensare allo scontro in occasione della nomina del Presidente dell’Abi, dove ha prevalso il candidato del primo – hanno dato un giudizio positivo sulla finanziaria e perfino su un maggiore interventismo statale (sembra strano, ma non lo è). L’organo principale di questi vertici del potere economico, il Corriere (e anche il Sole24ore), si contorce anch’esso; ma, appena può – vedi il ridicolo tentativo di distogliere l’attenzione dalle malefatte di Prodi con il presunto spionaggio a suo sfavore (in cui sono coinvolti, oltre a tutta la famiglia Berlusconi, anche personaggi come Ferilli, Totti, soubrette varie e perfino la povera Moana Pozzi morta da quel tempo) – si scatena nel tentativo di coinvolgere l’opposizione in una sorta di Watergate all’amatriciana. In fondo, non scordiamoci che Mieli, nell’editoriale del Corriere dell’8 marzo 2006, indicò di votare per il centrosinistra; e solo per un pelo (24.000 voti) non gli portò sfiga.

Si delinea quindi una situazione che, mutatis mutandis, sembra quella indicata tanti anni fa dal mio Maestro Bettelheim in riferimento alla struttura sociale, stabilizzatasi in URSS nel ventennio brezneviano, che fu la prima responsabile del tracollo del paese, già avvenuto prima del crollo del regime “socialista”. Teniamo conto che in Italia non esiste la completa proprietà statale con annessa pianificazione, e che anzi, negli ultimi quindici anni, sono state portate avanti privatizzazioni (totali o parziali) di enti pubblici; ma il puro cambiamento di forma della proprietà non implica il passaggio da presunti interessi collettivi a quelli privati, poiché sempre si tratta di grosse concentrazioni di potere sostanzialmente parassitario in entrambi i casi. Il vero fatto è che il grande potere imprenditoriale (qui privato, in URSS formalmente “pubblico”) – un grande potere decotto e bisognoso di continuo aiuto statale; e ciò la dice lunga sul battage con il quale ci vogliono far credere che la Fiat è ormai una impresa risanata, d’avanguardia (lo è come all’epoca della “qualità totale”, del just in time, del “magazzino zero”, tutte balle, di cui si innamorarono gli operaisti alla Revelli & C., che prepararono il crollo dell’azienda) – si allea con gli apparati burocratici dei lavoratori dipendenti, una minoranza di sindacalizzati rispetto alla massa dei salariati, al fine di chiudere in una tenaglia il sedicente ceto medio.

Non esiste quest’ultimo, pura invenzione sociologica di un Sylos-Labini che, in una “comunità scientifica” così mediocre com’è quella italiana con riguardo alle scienze sociali ed economiche, sembrò un innovatore quando formulò questo concetto-ripostiglio, fatto apposta per avallare la falsa tesi della progressiva scomparsa degli operai, la formazione di un modello a botte per quanto concerne la distribuzione del reddito, ecc. In realtà, è pur sempre meno scorretto dividere il lavoro (non un fantomatico ceto medio, poiché si tratta pur sempre di gente che lavora) in autonomo e dipendente. Anche in tal caso, abbiamo concetti tendenzialmente ripostiglio, giacché una buona parte del lavoro detto autonomo, lo è solo formalmente, per le convenienze delle imprese che non lo vogliono assumere alle loro dipendenze e preferiscono pagarlo come si trattasse di prestazioni “professionali”. Anche gran parte dell’indotto – piccole imprese di subappalto, ecc. – è di tipo similare. In ogni caso, è molto meno peggio riferirsi alla divisione tra lavoro autonomo e dipendente, che almeno non tenta di nascondere l’evidenza: gran parte del primo non sta affatto “in mezzo”, non è ceto medio. Si tratta spesso di lavoratori con reddito più basso di molti dipendenti di un certo livello (non manageriale, sia chiaro); non sono tutti notai, farmacisti, avvocati o commercialisti di grido (che sono legati alla grande impresa).

Non c’è il modello a botte della distribuzione del reddito; e comunque, quando c’è, non è che il lavoro autonomo stia nella pancia della botte mentre quello dipendente sarebbe situato alla sua base. Quest’ultima idea è però propalata proprio dalla sinistra; e, in particolare, dalle sue frange dette “radicali”, che non hanno altro in testa se non lo sfruttamento del lavoro salariato, o l’intervento statale (sostenuto da Lassalle, nemico acerrimo di Marx) per ridistribuire il reddito “dal profitto al salario”, mentre spesso si tratta solo di redistribuzione, via fisco, dal reddito del lavoro autonomo a quello dipendente, con crescita dell’odio tra i due tipi di lavoratori (entrambi facenti parte dei dominati) a tutto beneficio delle maggiori concentrazioni di potere. Ecco spiegato il mistero della concertazione – da cui, anche nell’ultima finanziaria, sono state escluse le associazioni dei commercianti e delle piccolo-medie imprese (c.v.d.) – in quanto espressione dell’alleanza tra la grande imprenditoria industriale (decotta e permanentemente bisognosa di assistenza “pubblica”), con dietro i forti gruppi finanziario-assicurativi, e gli apparati verticistici dei sindacati, adusi da anni a manovrare la quota di lavoro sindacalizzata (in specie quella delle grandi imprese “concertative”) per condurla come gregge contro i “padroni”, che non sono mai i poteri realmente più forti e centralizzati, ma al massimo, e nemmeno sempre, quelli delle fasce medio-alte del lavoro autonomo (in tal caso, senza dubbio, realmente autonomo).

Non credo si debbano spendere parole per far capire che il personale politico – “chiamato” a servire gli interessi di questa alleanza, che punta sempre alla divisione dei ceti lavoratori da mettere gli uni contro gli altri per la propria maggior gloria (di potere) – è quello di centrosinistra, mentre l’altro schieramento si adegua al disegno, cercando la sua base elettorale e di manovra nel sedicente ceto medio (anche i destri lo denominano, ideologicamente, così), cioè nel lavoro autonomo; solo che non difende gli interessi dei suoi strati medio-bassi, bensì quelli degli strati medio-alti, ben dotati di ricchezza atta a finanziare gli apparati e le campagne elettorali dei politicanti del centro-destra. E così si va “allegramente” avanti, secondo il canovaccio di una commedia in cui prevalgono gli interessi delle grandi concentrazioni di potere finanziario-industriale che, in Italia, sono poi solo serve delle similari concentrazioni esistenti nel paese dominante, gli USA. Ecco quindi Montezemolo – pur oggi con cautela dato lo sfascio che stanno combinando gli incompetenti ministri finanziari del centrosinistra – tutto teso a turlupinare la sua base industriale e le altre categorie del lavoro autonomo; dietro di lui, le varie operazioni tipo SanIntesa e i progetti per tentare di costituire, via controllo della Telecom, un polo finanziario-politico-massmediatico di “quasi dittatura”; e dietro tutti l’ombra della “gloriosa” Goldman Sachs, che infiltra i suoi scherani dappertutto. Avete capito perché sembra strano che Bazoli e Profumo siano per l’interventismo statale, ma non lo è? In questo caso, lo Stato è solo lo scudo di tutte queste operazioni di potere tese a trovare un punto di equilibrio e accordo tra i vari potentati, che si guardano in cagnesco e si tirano coltellate alla schiena non appena possono.

E’ anche ovvio che si continui a mantenere “viva” la discussione intorno ad un possibile sbocco neocentrista (vedi il “mitico” partito democratico) in grado di tagliare le “ali”: Lega da una parte, sinistra detta “radicale” dall’altra. Operazione questa che sarebbe comica, se non rappresentasse l’incombenza della tragedia finale per il nostro povero paese. Nel centrosinistra, la pantomima a tal proposito tocca vertici di indecenza mai raggiunti in Italia; nel centrodestra, ci sono due “burloni” quali Follini e Casini che recitano “due parti” in questa farsa, ai quali si aggiungono settori degli altri partiti (qualcuno sospetta che c’entri perfino Berlusconi, più o meno tiepidamente o forse con qualche convinzione perché magari si crede furbo). D’altra parte, dopo aver sgrassato il presunto ceto medio, prima o poi si dovrà arrivare anche al lavoro dipendente, e perfino ai suoi strati medio-bassi, di cui ridurre infine il “salario differito” (pensioni) e quello “indiretto” (assistenza sanitaria). Ma ogni cosa a suo tempo!

I “poveracci” come noi possono soltanto mantenere “dritta la barra” della critica. Esiste, al presente, un preciso nemico principale: la “santa” alleanza – minata comunque da molteplici contraddizioni e più debole di quanto non sembri – tra grande finanza (italoamericana), grandi imprese industriali che cercano l’assistenza statale, vertici di quegli apparati burocratici – di fatto statalizzati – che rispondono al nome di CGIL (55% della base rappresentato da pensionati), CISL, UIL. Il tutto condito con la rappresentanza del ceto politico professionale del centrosinistra (ex PCI, ex DC, ex PSI). Esiste inoltre una ben individuabile politica di questa alleanza da prendere di mira sistematicamente con la propria opera di demistificazione: la permanente attività volta a dividere il lavoro autonomo (trattato come fosse tutto ceto medio) da quello dipendente (messo in un fascio, senza distinguere i differenti strati di reddito, di status sociale, ecc., che lo compongono). Atteniamoci a queste poche idee “chiare e distinte”. E chiunque troviamo lungo questa strada – ivi compresi i bestioni di certa sinistra “estrema, estrema” – diciamo sempre quello che pensiamo.

La nostra posizione deve essere netta: per il momento questa è la situazione, ma non è affatto escluso che cambi poiché l’alleanza di cui si è qui parlato non è poi così forte. Se si verificheranno cambiamenti effettivi, verrà ovviamente a mutare il nostro indirizzo critico; al momento questa è la situazione, questo deve restare il nostro orientamento.

 

29 ottobre

 

PS Permettetemi un piccolo sfogo nei confronti di questo Premier che alcuni ancora si ostinano a considerare un economista (o magari lo è, ma allora il ludibrio investe tutta la categoria), mentre è solo un homo ridens. Ha affermato che il Pil italiano crescerà del 3% dal prossimo anno. Ieri sono stati forniti i dati circa i risultati del terzo trimestre negli USA; e sono, nel complesso, abbastanza negativi. La Germania raggiungerà (verbo al futuro come al solito) il “mitico” risultato di un 2,4% di crescita nel 2006; ma è già previsto che rallenterà l’anno prossimo, sia a causa del probabile raffreddamento dell’economia USA sia per “virtù” proprie, legate alle politiche “riformatrici” della Merkel (tutti “riformatori”!). Infine, Trichet (Banca Europea) ha già annunciato che alzerà ancora il tasso di sconto. Ma l’Italia, paese della liquefazione del sangue di San Gennaro, si metterà a correre dal prossimo anno.

E’ possibile che si debba ancora sopportare a lungo un clown per Primo Ministro? “Arridateme” Fiacca e Bagonghi, quelli del Circo Zoppè & Zamperla che vedevo da bambino; almeno regredirò, beato (e beota), all’infanzia! Il medico sostiene che sono stato male perché colpito da un virus intestinale. Questa è scienza, lo so; ma resto convinto che è stata “quella facciaccia”, che fanno continuamente vedere in TV, a procurarmi i tipici effetti di un virus intestinale. Libera nos a malo, Domine! Ti sei incazzato da morire per una semplice mela sbocconcellata; e adesso? Hai preso il valium? Andiamo, andiamo, sbrigati ad intervenire e fai un’“ira di Dio”.