PRIVATO E PUBBLICO: IDEOLOGIA E FORMA DEL CONFLITTO TRA DOMINANTI di Gianfranco
Vi proponiamo sul nostro sito www.ripensaremarx.it un saggio di Gianfranco
Partiamo dal primo aspetto e dalla coppia ideologica pubblico/privato. I marxisti di ogni specie continuano a sostenere che la statizzazione delle maggiori imprese pubbliche coincide con la socializzazione dei mezzi di produzione o, comunque, con una prima fase attraverso la quale si pongono le premesse di tale socializzazione. Da qui se ne deduce che esistono sempre nuove vie al socialismo (quella del XXI secolo, del XXII, del XXIII e via dileguando) per cui evviva il populista Chavez che s’incammina verso il sol dell’avvenire e ci indica la via del “mondo nuovo”. Ovviamente, noi non possiamo che essere a favore di Chavez quando respinge le multinazionali statunitensi dal suolo venezuelano per gestire in proprio la gran parte delle risorse energetiche lì presenti. Chavez fa benissimo, rende il proprio paese più autonomo e si oppone, del tutto giustamente, allo strapotere del paese attualmente dominante. Bene, a questo punto la domanda non può che essere la seguente: che c’entrano il populismo e la resistenza nazionalistica chaveziana col socialismo? Certo col socialismo non c’entrano assolutamente nulla per quanto si tratta di una lotta da appoggiare in virtù della sua funzione antiegemonica e quindi antistatunitense.
Con ciò abbiamo evidenziato un primo punto ma vorremmo di nuovo ritornare al fraintendimento categoriale dal quale eravamo partiti. Da più parti (quelle sinistre in primis) si è sostenuto ideologicamente che esisteva (ed esiste) un trait d’union indissolubile tra la maggiore proprietà pubblica (in senso puramente quantitativo) e la costruzione del socialismo. Questi propalatori di ideologie hanno avuto terreno facile sul quale seminare le loro idee balzane in quanto hanno potuto giocare su un “equivoco” atavico, quello che ha sempre individuato nello Stato il portatore universale degli interessi della collettività (uno Stato, inteso quale categoria “monocromatica”, all’interno della quale non si sono visti, e non si sono voluti vedere, i diversi apparati che lo componevano). Qualsiasi azione da questo intrapresa (e tesa al controllo o alla regolamentazione di settori economici e sociali) portava necessariamente ad un maggiore contemperamento degli interessi del popolo (
Cominciamo così a sgombrare il campo dalle erbacce. Il problema del pubblico e del privato non è né un problema “transizionale” né una questione di forma giuridica (orientata al soddisfacimento degli interessi generali laddove pubblica, finalizzata all’arricchimento dei pochi laddove privata).
Gianfranco
Oppure, gli agenti dominanti della sfera politica possono gestire un’impresa pubblica con criteri di competitività privatistici per fini di dominanza strategica (e questo non è affatto il caso italiano in questa specifica congiuntura) o ancora (come per esempio accadeva, mutatis mutandis, nella stagnante Unione Sovietica) per scopi di pura sopravvivenza “castale” attraverso il compattamento di blocchi sociali al fine di distribuire le scarne risorse a disposizione per consolidare la propria posizione di preminenza (vedi l’alleanza tra burocrazia al potere ed organizzazioni dei lavoratori nell’URSS in piena dissoluzione). Per non parlare dei diktat emanati da altre istituzioni pubbliche, come
Dopo queste teorie sono andate affermandosi le tesi terzomondiste le quali dividevano il mondo in aree di sviluppo(ristrette) ed in aree di sottosviluppo(più ampie) con trasposizione dello schema dell’estorsione del pluslavoro (più assoluto che relativo) dal processo produttivo e di fabbrica a interi “campi” geografici (aree o nazioni) sottoposti alla rapina delle fonti energetiche e al lavoro coatto-schiavistico per conto dell’occidente sviluppato. E’ vero che tali convinzioni hanno anche dato un necessario “sprint” alle lotte di liberazione nazionale (e ricordo in proposito le tesi di Fanon il quale sostenne che, letteralmente, il mondo capitalistico occidentale si manteneva sulle risorse e sul lavoro del Terzo Mondo, sic!) tuttavia la misera fine di queste rivoluzioni e l’incipiente sviluppo capitalistico di molte di queste aree, tradizionalmente arretrate, ha ampiamente dimostrato l’inesattezza di tali teorie.
In termini logici, dimensione temporale e dimensione spaziale stanno ovviamente insieme, sono sullo stesso livello ipotetico-teorico, ma a livello più analitico la prima permette di cogliere la novità, i salti e le rotture che ci consegna la formazione capitalistica in generale, così come è (in via ipotetico-deduttiva) strutturata oggi, la seconda, invece, ci permette di studiare le formazioni sociali particolari e la loro articolazione globale. Adesso vorremmo lasciarvi alla lettura del testo di GLG che nella sua organicità spiega meglio gli spunti di riflessione qui messi in risalto. Un ultima cosa, Leonardo Mazzei nel suo scritto sulla Terza Forza aveva fatto notare alcune carenze ed alcuni dubbi. Nella fattispecie, una questione mi è sembrata subito rilevante. E’ possibile disegnare uno schema del passaggio da una fase monocentrica ad una policentrica? Credo che GLG nello scritto chiarisca meglio questo punto, anche se, com’è ovvio, solo trovandosi nel passaggio da una fase all’altra sarà possibile abbozzare una legisimilità del fenomeno in questione.