QUEL CHE SI FA ALL’OSTERIA "FERRANDO"  di M. Tozzato

(NDR, onestamente ci sembra assurdo che nel partito di Ferrando si espellino persone per la redazione o l’adesione ad un documento. Quest’ultimo chiede solo maggiore analisi; per quanto anch’esso ci sembri troppo schiacciato su vecchie categorie che hanno ampiamente dimostrato la loro inefficacia nella lotta contro questo "sistema")

Il 14 e 15 aprile si è svolta a Rimini la prima assemblea nazionale per delegati del Movimento per il Partito Comunista dei Lavoratori. I materiali preparatori dell’incontro non sono stati pubblicati nemmeno dal sito ufficiale del PCL, che ha completamente ignorato lo stesso documento prodotto dalla Direzione Nazionale, il secondo documento presentato e gli emendamenti nazionali proposti sin dalla riunione di gennaio del Coordinamento Nazionale. L’assemblea ha preso una sola decisione, decisamente sgradevole per chi ritiene necessaria una nuova forza politica anticapitalista nel nostro Paese: a maggioranza, infatti, è stata decisa l’espulsione degli autori dell’articolo "Il Comunismo, appunto…", pubblicato sull’ultimo numero della rivista Contropiano, nonché di tutti coloro che ne "rivendicano il testo". A proporre l’espulsione è stato Marco Ferrando in persona, seguito a ruota dagli altri tre membri del Comitato Esecutivo (Luca Scacchi, Franco Grisolia e  Michele Terra). Sotto accusa, oltre all’articolo su Contropiano, gli emendamenti al documento della Direzione Nazionale presentati da Germano Monti. Gli o.d.g. presentati all’assemblea nazionale del MPCL sono stati quattro. I primi tre sono stati presentati, rispettivamente, dai delegati del Veneto, di Cosenza e dell’Umbria, dopo essere stati approvati nelle rispettive situazioni. Sono stati tutti respinti dall’assemblea. L’ultimo o.d.g., invece, è stato quello presentato dal Comitato Esecutivo del MPCL che propone l’espulsione degli autori e di chiunque condivida l’articolo "Il Comunismo, appunto…", pubblicato sull’ultimo numero della rivista Contropiano. L’o.d.g. è stato approvato con circa il 33% di contrari e astenuti. Dopo il voto sull’o.d.g. dell’espulsione, tutti i delegati di Roma, Umbria e Veneto hanno lasciato la sala.

Va detto che l’assemblea era stata preceduta da una raffica di comunicazioni a tutti i militanti del PCL inviate dal Comitato Esecutivo e dalla Direzione Nazionale, in cui venivano ampiamente argomentate le ragioni della successiva espulsione, ma questo non ha impedito che emergesse un vistoso dissenso, materializzatosi nell’opposizione all’editto di scomunica di un terzo dei delegati, attraverso il voto contrario o l’astensione. L’impressione è che il gruppo dirigente del PCL, essendo lo stesso della vecchia associazione di Ferrando all’interno del PRC, abbia rinunciato all’idea di costruire una nuova forza politica, basata su un impianto politico-programmatico e non ideologico, riproponendo (con un nome diverso) il proprio gruppuscolo ideologico, con la metodologia burocratica e la pratica settaria che caratterizzano tutte le piccole formazioni di questo tipo, indipendentemente dal dogma di riferimento: marxismo-leninismo, maoismo, stalinismo, trotzkismo, bordighismo, e chi più ne ha, più ne metta. In questo caso, l’icona è Trotzky, che però è stato un grande protagonista della Rivoluzione d’Ottobre e delle sue tragedie, come la repressione della rivolta di Kronstadt; poichè la storia si ripete in forma di farsa, il ben più modesto Ferrando è costretto a limitarsi ad un decreto di espulsione. Difficile dire quali sviluppi possa avere questa vicenda, anche perchè dai dirigenti del PCL non arriva nulla e il loro sito continua a tacere, al punto che non da nemmeno notizia dell’avvenuto svolgimento dell’assemblea nazionale, coerentemente con il fatto di non averla nemmeno annunciata; inoltre, non è affatto scontato che siano pochi i militanti del PCL non disposti a rendersi complici di un’operazione farsesca, si, ma pur sempre ignobile.

 

Sunto ottenuto lavorando con copia incolla su alcuni brevi testi tratti dal sito www.arcipelago.org

Non ho aggiunto nulla di mio.

 

Mauro Tozzato                        21.04.2007                   

IL COMUNISMO, APPUNTO…

 

Passeranno gli anni dei nostri tormenti e ancora all’estate della Comune, scalderemo la nostra vita e la felicità, con dolcezza di frutti giganti, maturerà sui fiori dell’ottobre.

Vladimir Majakovskij (da Vladimir Il’ic Lenin – al partito comunista russo – 1924)

 

Il dibattito sull’attualità del comunismo non può, a nostro parere, essere disgiunto da quello sull’attualità dell’organizzazione dei comunisti. Questo semplice assioma è necessario per comprendere il motivo per cui poniamo al centro di questo intervento il nostro contributo al percorso di ricostruzione di un partito comunista nel nostro Paese, dopo il completamento della deriva governista del partito della Rifondazione Comunista, che ha seguito – in fondo, dopo non molto tempo – un cammino analogo a quello intrapreso dallo spezzone facente capo a Cossutta e Diliberto.

 

La prima questione da porsi è, dunque, se esista la necessità di un’organizzazione complessiva, strutturata su tutto il territorio nazionale, che sia in grado di raccogliere, rappresentare ed esprimere l’insieme del movimento operaio e proletario, in tutti i suoi spezzoni e le sue sfaccettature, elaborando in progetto politico rivoluzionario i bisogni e gli interessi dell’attuale composizione di classe. In altre parole, la domanda è: l’organizzazione complessiva, che – almeno in tendenza – sia in grado di unificare le singole lotte e trasferirle su un livello più alto, quello dell’alternativa di società, è o no un bisogno oggettivo? La nostra risposta è, ovviamente, si.

 

E’ la bussola dell’analisi della lotta di classe ad orientarci. In questi anni, abbiamo assistito al dispiegarsi di movimenti che hanno segnato l’avvio di un’inversione di tendenza rispetto al grande freddo seguito alla sconfitta degli anni 80: dal movimento contro la guerra al successo operaio di Melfi, senza dimenticare le grandi battaglie in difesa del territorio a Scanzano e nella Val di Susa, solo per citare gli esempi più eclatanti. A questa positiva inversione di tendenza sul piano di classe, ha fatto riscontro l’involuzione del ceto politico di “sinistra”, a cominciare da Rifondazione Comunista, che ha scelto la strada della complicità con le forze moderate e liberiste anziché quella dell’organizzazione e della rappresentanza dell’alternativa di società. Si sta dunque determinando la necessità di costruire l’organizzazione di classe e alternativa ai due poli dello schieramento borghese, al cui interno si è ormai definitivamente collocata l’intera “sinistra radicale”.

 

Sia pure per semplificazione, indichiamo alcuni elementi per noi costitutivi del percorso di costruzione di un nuovo partito comunista, nella consapevolezza che il dibattito sarà necessariamente lungo e difficile e che la questione del metodo della costruzione riveste importanza centrale. Anzi, ci sentiamo di affermare che un approccio scolastico, dogmatico e settario alla costruzione del partito costituirebbe un ostacolo, un’inaccettabile strozzatura della crescita del movimento, con il risultato di ancorarlo ad una dimensione numericamente e politicamente insignificante. 

 

Occorre, pertanto, recuperare il metodo di Marx e di Lenin dell’analisi concreta della realtà, per comprendere che fare sulla base delle esperienze rivoluzionarie del 900, per individuare le caratteristiche dell’organizzazione rivoluzionaria, il soggetto sociale materiale della trasformazione, le scelte di percorso e di lavoro politico. In sintesi, pensiamo che la nostra lettura della realtà e la nostra proposta politica debbano concentrarsi in questo momento su questi tre assi:

 

A – Il necessario bilancio dei tentativi rivoluzionari per realizzare il socialismo e le ragioni della sconfitta. Un’analisi rigorosa, non subordinata alle necessità della politica o della propaganda quotidiane, bensì a quelle della ridefinizione del percorso strategico dei comunisti nel XXI secolo.

 

Il Novecento, con la Rivoluzione di Ottobre, è stato il momento storico della conquista della posizione eretta da parte del proletariato: da quel 7 novembre di 90 anni fa, la presa del potere non è più un affare interno alle diverse fazioni della borghesia e dei padroni, ma un obiettivo possibile per i proletari di tutto il mondo.

 

Il Novecento è stato il secolo delle Rivoluzioni proletarie che hanno riguardato miliardi di uomini e donne, dalla Russia alla Cina, e prima ancora in Germania e in Ungheria. Il Novecento è stato il secolo della sconfitta dell’imperialismo in Indocina e la vittoriosa guerra di liberazione del Vietnam è ancora oggi l’esempio concreto cui si richiamano i popoli oppressi, dall’Iraq e dalla Palestina alla Colombia.

 

Il Novecento è stato anche il momento storico della liberazione dei popoli dal colonialismo, particolarmente dopo la guerra che ha segnato in Europa la sconfitta del nazifascismo, grazie anche all’apporto dei movimenti di resistenza guidati dai comunisti: senza il Maquis e la resistenza italiana, la storia dell’Algeria, di Cuba, del Vietnam e dell’Angola avrebbe seguito strade diverse.

 

Il Novecento è stato il secolo in cui i comunisti hanno saputo costruire prospettive di liberazione misurandosi su contraddizioni di portata generale e dando a queste contraddizioni risposte in grado di mobilitare il proletariato come classe internazionale.

 

E’ stato così per  le contraddizioni legate al primo e al secondo massacro mondiale, per quelle legate al processo di decolonizzazione, per quelle legate alla nascita e alla crisi della superpotenza americana.

 

E sarà così ancora una volta oggi, se i comunisti sapranno sviluppare una prospettiva di liberazione adeguata all’attuale grado di sviluppo del capitale imperialista.

 

Ma con il modificarsi delle contraddizioni e con il conseguente esaurimento delle grandi opzioni teoriche che su queste contraddizioni erano fondate, dal “socialismo in un solo Paese” alla “rivoluzione permanente”, dal “fochismo” guerrigliero alla “rivoluzione culturale”, fino alle tante “vie nazionali” al socialismo, il Novecento ci ha consegnato anche l’arroccamento ideologico su prospettive superate dai fatti, e quindi non più in grado di trasformare lo stato di cose.

 

Su queste degenerazioni e sulle sconfitte che ne sono seguite sono state costruite le politiche illusionistiche e opportuniste dei ceti politici di risulta, fra i quali primeggia quello ex comunista italiano. La storia del movimento comunista è la storia della lotta di classe e dei tentativi di emancipazione dei proletari: guardare in faccia senza timori la nostra storia di ieri significa cominciare a scrivere la nostra storia di oggi, significa guardare con rispetto e partecipazione ai nuovi processi rivoluzionari che – come sta avvenendo in Venezuela e in altri Paesi dell’ex cortile di casa dell’imperialismo nordamericano – possono dare un contributo concreto alla costruzione del socialismo del XXI secolo. 

 

B – Le caratteristiche dell’organizzazione politica dei comunisti oggi e la sua costruzione: la storia del recente passato ci ha insegnato quanto spesso il richiamo a “tradizioni” e “ortodossie” di varia natura sia servito solo a nascondere politiche concrete di collaborazionismo e subordinazione al Capitale o, su un altro versante, a dare vita a piccoli gruppi autoreferenziali e parolai.

 

Questo significa, fra l’altro, che riteniamo l’unità dei comunisti un obiettivo da perseguire, intendendo per “unità dei comunisti” l’esatto contrario sia di un generico contenitore (una sorta di casa comune dei nostalgici e degli orfani dell’identità astratta), sia anche di un processo di aggregazione basato sulla presunta forza centripeta di altrettanto presunti “nuclei d’acciao”, capaci di attrarre le avanguardie disperse in virtù della bontà e della giustezza della propria astrazione ideologica. L’unità dei comunisti non è per noi un feticcio identitario, ma l’obiettivo da perseguire nella costruzione del partito come strumento della classe per la conquista del potere politico. Un percorso che, nella situazione contingente del nostro Paese, si articola a partire da quattro punti politico – programmatici: l’esternità e l’opposizione ad entrambi gli schieramenti del bipolarismo, la prospettiva di un governo dei lavoratori che riorganizzi la società in senso socialista, il collegamento fra le singole lotte e l’alternativa anticapitalistica, l’internazionalismo e la prospettiva di un’organizzazione rivoluzionaria internazionale dei lavoratori. Punti che, come si può ben vedere, non hanno nulla di ideologico nel senso becero e settario del termine, ma rappresentano il terreno di incontro per i militanti e le avanguardie di lotta che si negano al processo di omologazione alle compatibilità capitaliste.

 

Attorno a questi primi elementi di programma e con il contributo di chiunque voglia misurarvisi, riteniamo si possa e si debba operare per dare vita al Partito Comunista come strumento indispensabile per la classe e i movimenti, un partito all’altezza delle sfide del XXI secolo. 

 

 

C – L’analisi delle classi oggi e il soggetto sociale della trasformazione rivoluzionaria, l’individuazione delle caratteristiche del conflitto sono, infine, il terreno della necessaria inchiesta collettiva, non solo funzionale, ma indispensabile alla costruzione del partito. Respingere al mittente le interessate suggestioni sulla “fine del proletariato” non significa arroccarsi sulla nostalgica rievocazione di una composizione di classe obiettivamente superata dalla ristrutturazione del modo di produzione capitalistico, in termini di decentramento, delocalizzazione e scomposizione; significa, al contrario, calibrare l’organizzazione sulle caratteristiche della nuova composizione di classe, individuando i terreni della ricomposizione possibile, strutturando l’intervento nei luoghi dello sfruttamento di oggi. La fabbrica, dunque, ovunque si trovi e comunque sia dimensionata, così come i luoghi della produzione immateriale, del sapere e dei servizi.

 

Ora, una fase costituente che non affrontasse in termini problematici i tre grandi nodi teorico pratici da noi sinteticamente richiamati, farebbe tabula rasa delle caratteristiche costitutive del presente e contribuirebbe alla dissipazione delle potenzialità della fase politica attuale: un atteggiamento che riscontriamo nelle posizioni dei molti che affermano che le soluzioni ci sono già e si tratta di accodarsi a coloro ne sono i depositari.

 

Posizione tanto sterile quanto diffusa, che accomuna paradossalmente tutti coloro che si ritengono depositari ed eredi dei diversi filoni del pensiero critico del secolo breve: “solo noi abbiamo la giusta chiave per operare nel presente. Gli altri ne prendano atto e si accodino”.

 

Ma e’ proprio a partire dalla critica a questo approccio metodologico che apriamo una battaglia politica basata sulla critica serrata ed esplicita agli irrigidimenti ideologici tanto all’interno del PCL quanto a quelli (speculari e sostanzialmente equivalenti) delle altre componenti politiche della sinistra non istituzionale, nostri potenziali interlocutori.

 

Questa battaglia politica si sostanzia nella pratica di una nuova e diversa fase costituente del PCL, che parta proprio dall’apertura di un confronto critico tra quanti ritengono necessaria   la sostanziale ridefinizione dell’approccio teorico pratico dei comunisti rivoluzionari, facendo così del Movimento costituivo del PCL quel nodo fondamentale di elaborazione politica di cui avvertiamo la assoluta necessità.

 

In questa direzione i molti compagni del PCL che condividono queste brevi note si impegnano a costruire momenti concreti di dibattito politico volti da un lato a destrutturare posizioni politiche identitarie e dall’altro ad attivare una fase costituente del Movimento che, restituendo a questo termine la sua antica nobiltà, lo porti ad essere luogo di innovazione teorico pratica e fucina di quel livello superiore di unità dei comunisti che oggi serve, basata su un processo di elaborazione collettiva degli strumenti politici del presente e non identificabile né in un indistinto “abbracciamoci” né in un accodamento ai detentori di verità proprie del ciclo di lotte alle nostre spalle.

 

Accanto a queste direttrici di inchiesta e lavoro politico, dobbiamo qui solo accennare – per ragioni di spazio – alla necessità di rilanciare il dibattito e l’iniziativa dei comunisti sul terreno dei diritti e delle libertà, della salvaguardia del territorio e dell’ambiente, questioni strettamente connesse al modo di produzione capitalista, centrali per i movimenti e, più in generale, per la definizione di un’alternativa di società antagonista allo stato di cose presenti.

 

Attualità del comunismo, intesa come alternativa strategica e globale alla barbarie capitalista, dunque, ma anche come necessità dell’organizzazione politica dei comunisti, autonoma e indipendente dalle variabili e dalle compatibilità del quadro politico imposto dal capitale e dai suoi portaborse: non è solo una nostra convinzione, ma la proposta politica che rivolgiamo a chi non si rassegna al pensiero unico del capitalismo come migliore dei mondi possibili. Ribellarsi è giusto perché un altro mondo è possibile, un mondo senza sfruttamento, guerre e miseria: il Comunismo, appunto.  

 

 

 

Gino Bortolozzo, Aurelio Fabiani, Germano Monti

 

(Coordinamento Nazionale del Movimento per il Partito Comunista dei Lavoratori)