VIVA VIVA IL “GRANDE LUCA” di G. La Grassa
(27 maggio)
LCdM vuol scendere nell’agone politico. I politici, salvo alcuni (non però troppo pochi), mugugnano perché quella professione bisogna saperla praticare, bisogna essere del mestiere. In linea di principio, invece, non c’è nulla di male se uno, che sappia fare qualcosa di produttivo, si prefigge di sostituire dei mestieranti, incapaci e maneggioni. I nostri politici sono solo furbastri, parolai; vogliono intascare un po’ di soldi, ottenuti taglieggiando i comuni cittadini che lavorano, e godere del potere e di innumerevoli privilegi. Quindi, se in campo entrasse qualcuno in grado di mandarli a casa, ben venga. Il problema vero è: per che fare?
Intanto, non mi sembra che LCdM abbia mai esercitato la funzione del vero imprenditore, di quelli che contribuiscono alle strategie della loro azienda. Forse curerà l’immagine, come il suo padre (“spirituale”), ma quanto ad avere effettive funzioni utili alla produzione, manifesterei molti dubbi. Del resto, il suddetto suo padre “spirituale” non aveva intenzione di entrare direttamente in politica; la condizionava assai meglio dall’esterno. Ma oggi, evidentemente, ciò non è più sufficiente per una classe dirigente economica largamente deficitaria in fatto di intelligenza strategico-produttiva; oggi bisogna succhiare più direttamente le risorse del paese, quindi ci si deve “sporcare le mani” nel politicantismo.
Questi industrialotti – sissignore, anche “quelli della Fiat” non sono molto più che industrialotti – non hanno grande fantasia e perseguono ancora, dopo quasi quindici anni da “mani pulite”, l’obiettivo di un nuovo regime centrista; con piccole, minime, torsioni a sinistra, per meglio fregare la “vile plebaglia” (non sono io a pensarla tale, sia chiaro!), che deve solo limitarsi a lavorare e ad appoggiare partiti e sindacati, putridi apparati di Stato che fanno tutto il possibile per tenerli buoni e, quando non vi riescono, ottenere almeno il risultato di smussare e incanalare la loro rabbia per insabbiarla.
I meschini e inetti gruppi grande-imprenditoriali italiani hanno effettuato questo tentativo fin dall’inizio, dal 1993, ma hanno intravisto nuove possibilità con le elezioni dell’anno scorso. Due-tre mesi prima delle stesse, il centro-destra appariva in caduta libera; e, al suo interno, FI era data nettamente sotto il 20%, mentre si pensava ad una UDC verso il 10%. Finalmente era arrivato il momento di applicare la vecchia parola d’ordine della “rivoluzione culturale cinese”: “bastona il can che annega”. Il “cane” era Berlusconi; sembrava ormai possibile assestargli la spallata definitiva. L’8 marzo, in “pompa magna”, Mieli verga l’editoriale del Corriere con cui si invita a votare il centro-sinistra; un editoriale approvato dall’intero patto di sindacato della Rcs, il cosiddetto piccolo establishment (ivi compreso quel Tronchetti, che ha successivamente preso delle belle “musate” dal Governo Prodi). Una volta regolati i conti con Berlusconi, si sarebbe poi visto come liquidare le sedicenti “estreme”, in particolare la sinistra denominata radicale.
Le elezioni, con grande scorno di sinistri, finanzieri e industriali (Mieli, come già Scalfari, porta “sfiga” a coloro per cui si schiera), finirono in sostanziale pareggio, con FI al 23-24 % e l’UDC rimasta sostanzialmente al palo, comunque assolutamente non in grado di sostituire Rifondazione & C. E’ passato un anno, sul quale sorvoliamo, durante il quale, in ogni caso, i “tifosi” industrial-finanziari del centrosinistra, a partire proprio dall’ingrato LCdM, hanno avuto un sacco di favori tra prepensionamenti, rottamazione e chissà cos’altro ancora (nel mentre si metteva in cantiere un bell’aumento dell’imposizione fiscale e tante finte liberalizzazioni per colpire la piccola impresa e il lavoro autonomo dei vari settori, e avere così le risorse per fare “regali agli amici”, corrompere questo e quello, ecc. ).
Adesso, il tempo stringe. Casini sta facendo tutto il possibile per scompaginare il centrodestra, pure AN e la Lega ci mettono del loro per sfasciare il “baraccone”. A sinistra, Rifondazione – dopo la crisi di Governo seguita agli “scazzi” sulla politica estera – ha preso una tale paura di dover andare a casa e perdere tutti gli appannaggi del (piccolo) potere, da servi dei servi, che è sufficientemente mansueta; deve brontolare un po’, e così pure i “comunisti italiani” e i verdi, per non perdere completamente la presa su quella data quota di elettorato, ma sta dimostrando la validità del detto popolare: “can che abbaia non morde”. Bertinotti, sempre in abito scuro (anche quando va a letto?), pur attaccato da LCdM alla recente riunione della Confindustria quale residuo preistorico, è andato ad abbracciarlo alla fine del discorso e si dice telefoni spesso al braccio destro di Luca. Non si sa come andranno le elezioni amministrative odierne, ma in ogni caso è necessario sbrigarsi e portare un affondo per una “nuova politica”.
Ecco allora che LCdM scopre anche lui la crisi del sistema politico nostrano, e perfino che destra e sinistra non sono affatto molto differenti nella percezione della “gente”; per lo meno non differenti nei disastri che combinano e nella pochezza e corruzione dell’azione condotta. Solo che per LCdM il fatto che i termini destra e sinistra hanno fatto il loro tempo significa solo che …..bisogna ricostituire il centro (un progetto “nuovo nuovo”). Non quindi spazzare via e destra e sinistra, bensì prendere un pezzo (moderato) dell’una, un pezzo (moderato) dell’altra, tagliare via le “ali estreme” (prive di “cultura moderna e industriale”), e rifare un bel regime che rinnovi gli (in)fausti di quello vecchio. Alla faccia di questo nuovo “genio politico”! Come pirla (detto “affettuosamente”), non ci bastava già il “berlusca”?
Poiché siamo al “rinnovamento” – ideato nella quattro o cinque giorni del seminario milanese organizzato poco tempo fa dalla Bocconi e dalla Rcs – ci sono già fior di tecnici “nominati” (sulla carta) futuri ministri; i giornali scrivono di personaggi “nuovissimi”: Monti (l’Enzo Biagi dell’economia per la piattezza del suo dire soporifero), Giavazzi, Ichino. Non parliamo dei politici che manifestano entusiasmo per i progetti montezemoliani: Casini (con i bei settori di immobiliaristi alle spalle), Veltroni (rimasto orfano della Capitalia) e, udite udite, Alemanno, quello della destra “sociale” (probabilmente denominata così perché favorevole alla socializzazione delle perdite imprenditoriali, socializzazione nell’odierna forma, già ricordata, dei prepensionamenti, rottamazioni, e quant’altro). Che combriccola di persone per bene e soprattutto nuovissime, mai sentite nominare prima! Non c’è dubbio che questa accozzaglia bipartisan assicura il superamento del binomio destr/sinistr. E’ tuttavia lecito avanzare serie perplessità (eufemismo) sul fatto che tale superamento vada nella direzione della freschezza e novità chieste da chi manifesta ormai un disprezzo assoluto verso questa politica. Ma tant’è! Qui sta tutto il “genio” e la “creatività” di LCdM. Tenuto conto di come ha guidato la Confindustria (e anche la Fiat), si poteva sperare in qualcosa di più? Mah!
Non si può d’altronde uscire da questo mefitico ambiente politico, assai più scadente e non meno corrotto di quello della prima Repubblica, fino a quando non si modifica completamente la classe dirigente economico-finanziaria. Non si tratta di pretendere che i capitalisti, gli imprenditori, vestano i panni di San Martino. E’ ora di finirla con le “balle” sulla funzione sociale dell’impresa, sull’etica degli affari. E’ talmente disgustoso questo “buonismo” degli ipocriti (al 90% di sinistra, sono loro i più coglioni e/o i più furfanti e bugiardi) da far venir voglia di vedere all’opera una nutrita schiera di brechtiani Mackie Messer, di affamatori del popolo. Perfino i vecchi comunisti “mangiabambini” dell’era staliniana sollevano in me ondate di nostalgia. Che bello sarebbe vedere stormi di vampiri calare rapidamente su carnose e robuste lavoratrici per addentare le loro giugulari. Non mi sento per nulla soddisfatto nel pensare soltanto che il profitto capitalistico è pluslavoro (in forma di valore) estorto agli operai. E’ troppo asettico e indolore; è del tutto “scientifico”, cioè grigio e banale. I capitalisti non possono essere dei meschini “Monsù Travet”, dei contabili del “soldino”. I capitalisti debbono essere come il macellaio di Adam Smith che per il suo egoistico interesse (profitto) ti fornisce la “buona carne”; ovviamente ipocrita anche il sedicente fondatore dell’ancor più sedicente “scienza economica”, dato che il macellaio ti dà carne adulterata, di allevamento in batteria, piena zeppa di estrogeni e veleni vari.
Eppure, tutto è meglio di questa massa di imbonitori, arraffa-arraffa, magliari della nostra GFeID (grande finanza e industria decotta) e dei loro rappresentanti politici: di destra, di sinistra, e ancor peggiori quelli dell’agognato (dai vari LCdM) centro. Se non è per adesso (un adesso assai lungo) all’ordine del giorno nessuna società della “cooperazione tra produttori”, dell’armonia intersoggettiva, ecc., almeno che ci sia una vera classe dirigente preparata a fare il suo mestiere. Invece di raccontare menzogne della più consunta e sfibrata ideologia sulla competizione nel mercato globale, utili solo a favorire il predominio dei paesi (o del paese) che hanno dato impulso sia alla ricerca scientifico-tecnica con ricadute in tutti i settori oggi di punta, sia alla susseguente potenza “bellica” (in senso assai lato, non come pura capacità guerresca), è necessario attribuire forza a tali settori (in Italia, in questi ultimi, esistono quasi solo ENI e Finmeccanica, qualche dubbio ho sull’Enel); ed è indispensabile rifare la UE, ridare fiato all’unione di alcuni paesi europei che si mettano decisamente sulla strada del potenziamento delle nuove branche e delle capacità “belliche” (non guerresche!).
E sgombriamo subito il campo da possibili equivoci: se dico che in Italia – ma non necessariamente in altri paesi – darei ampio appoggio ad imprese “pubbliche” quali sono ENI e Finmeccanica, non è certo per questo loro regime proprietario. Non ho alcuna predisposizione per il falso socialismo di Stato alla Lassalle, altra ideologia d’accatto di tutti gli orridi rimasugli “comunisti” avanzati, rancidi quant’altri mai. Sono favorevole – in mancanza di altre prospettive più allettanti – alle imprese (e di grandi dimensioni, senza fingere politiche antitrust atte solo ad indebolirle per favorire gli interessi di altri paesi, tipo gli USA) attive nei settori di eccellenza, quelli della nuova “rivoluzione industriale”, della nuova ondata innovativa di prodotto, della nuova “distruzione creatrice”. Sarebbe stato più che positivo se fosse uscita di scena la Fiat, se fossero rimaste al palo le grandi concentrazioni parassitarie e costosissime dell’apparato bancario; così ci saremmo liberati dalla tutela e sudditanza rispetto alla GFeID, e avremmo dato una forte scossa al sistema-Italia, in modo da porre in risalto la micragnosità e la povertà strategica di questa misera (non in fatto di soldi) casta imprenditoriale italiana e delle sue propaggini politiche.
Che le aziende di punta siano “pubbliche” o “private” è questione in fondo formale. Anche perché le “pubbliche”, nella sostanza, sono semplicemente public companies, imprese in cui predomina l’apparato manageriale. Si tratta quindi di appurare se questo apparato ha o meno capacità strategiche; e non solo in riferimento alla singola impresa che controlla. Bisogna accertarsi se, oggettivamente (nessuno chiede a nessuno di agire “per il bene generale”), tali imprese sono in grado di suscitare le potenzialità del sistema nel suo complesso o se invece, come sembrano al momento essere le imprese italiane “pubbliche” sopra citate, si tratta di “oasi” abbastanza indipendenti e non ben integrate nel tessuto economico complessivo del paese. Ma affinché vi sia l’integrazione, è senz’altro necessario un adatto quadro politico, costituito da strutture organizzative capaci di attuare una politica forte e abile. Ancora una volta ribadisco che non si chiede a queste ultime di essere votate al “bene comune” (basta con queste “palle” mostruose), ma solo di avere l’energia sufficiente a dare impulso, proprio per conseguire un proprio successo e vedere accettata la loro leadership, ai nuovi settori e alla suddetta potenza “bellica” in senso lato.
Per tali motivi, non per la proprietà pubblica o privata, è da affermare che oggi in Italia non vi sono forze, economiche e politiche, tese a suscitare le energie necessarie. In ciò è il limite anche di ENI e Finmeccnica (delle loro direzioni strategiche); pensano agli affari propri (e questo va benissimo) senza però quel minimo di ampiezza di vedute che consenta loro di capire come, limitandosi agli avvilenti compromessi con la GFeID e i suoi rappresentanti politici (di destra, di sinistra e di centro), non si vada da nessuna parte. Potranno anche fare grandi affari, ma sarà sempre labile e posta sulla sabbia la loro potenza industriale. Non si può lasciare la “parte politica” alla Intesa-San Paolo o al nuovo Unicredit; e nemmeno all’ineffabile LCdM (con i suoi adepti al seguito). Occorre essere molto “rapaci” e grifagni, molto rudi e “sgarbati”, in specie nella nuova fase storica in cui si sta entrando. Per il momento, chi è capace in Italia di ondate innovative nei settori di eccellenza si sta troppo disinteressando di politica, e lascia fare ai meschini e ai maneggioni che ci condurranno in un cul di sacco.
Quanto a coloro che fingono di stare dalla parte degli sfruttati e oppressi, sono degli emeriti imbroglioni e “figli di p….”, tesi ad amministrare il (piccolo) consenso elettorale per arraffare il miserabile potere (e i soldi) che spetta ai servi dei servi (vedi Rifondazione & C.). E’ senz’altro indispensabile spazzare via l’intero quadro politico italiano: al gran completo, ivi compreso il “progetto centrista” dei vari LCdM. Ci sarà qualcuno in grado di farlo? Mi sembra che si possa essere moderatamente pessimisti in Europa e quasi catastrofisti in Italia. Come sarebbe bello essere smentiti!