NULLA DI NUOVO SE NON LA SOLITA “BRODAGLIA”di G. La Grassa

[Ndr, con questo articolo di La Grassa chiudiamo la settimana e ci aggiorniamo a lunedì 1°ottobre poichè il gruppo che lavora intorno al blog ha fissato due giornate per discutere di questioni politiche ed organizzative]

Certo è incredibile che non si possa prendere a pedatone il più arrogante e odioso personaggio che abbia calcato le scene governative italiane di tutti i tempi; cioè Visco (“con il Fisco al naso”). E non se ne può più di questa meschina figura dalla faccia di tolla, cioè l’(im)Prodi che dice e non dice (non oggi ma domani) su tutto; in questo momento sulla tassazione delle cosiddette rendite – cioè i modesti risparmi di milioni di persone in Italia – per non perdere Dini e tirare a campare con danni gravissimi per il paese.

Ma non è questo il fatto del giorno da commentare; meglio riferirne uno che dimostra come: a) questa sinistra sia una accolita di semplici servi e complici dei “padroni” (mi si passi la terminologia un po’ arcaica); b) quelli di questi ultimi che hanno in mano il paese siano i più parassiti di tutti, rappresentino una malattia lunga e grave che porta alla morte tra molte sofferenze. Tale gruppo di “padroni” ha al vertice il “Trio infernale”, cioè Intesa, Unicredit e il “gruppo Fiat” (non necessariamente d’accordo fra loro, anzi….); quest’ultimo è dall’inizio del secolo scorso che imperversa nel nostro paese, e ha acquisito “meriti speciali” (di sanguisuga) dopo la caduta del fascismo. E’ su quest’ultimo che oggi vorrei dire due paroline.

 

Tutti sanno che, dopo la lotta tra Romiti e Ghidella, finita con la piena sconfitta del secondo (interessato alla Fiat auto e contrario alla “diversificazione” delle attività aziendali con eccessivo spazio concesso a quelle meramente finanziarie), la grande impresa attraversò un periodo di falsa floridezza, in cui persino una pattuglia di cretini di “estrema sinistra” (non a caso “operaisti”; con purtroppo l’aggiunta, per brevissimo tempo, del sottoscritto, non mi tiro indietro), già adoratori del “toyotismo” (o ohnismo, da Ohno allora “boss” della casa automobilistica giapponese), si mise ad inneggiare alle “grandi tecnologie avanzate” utilizzate dalla casa torinese, tipo il robogate o il Lam, ecc. Finì, come tutti sappiamo, con la Fiat sull’orlo del fallimento più completo. Arrivò però il “mago” Marchionne (alias Marpionne) e compì il “miracolo”.

Qualche dubbio permane, tuttavia, dato che, anche dopo questo miracolo (di prima è bene nemmeno parlarne, perché ci vorrebbe un libro di centinaia di pagine per illustrare i favori fatti alla Fiat da maggioranze ed opposizioni), il membro più prestigioso del “Trio infernale” non ha fatto altro che chiedere favori su favori (in bei soldini) allo Stato: dai prepensionamenti (di 2000 lavoratori sui 50 anni), in gran parte finanziati dal settore “pubblico”, alla nuova rottamazione e via dicendo. Recentemente, tale impresa ha lanciato in pompa magna la “novità del XXI secolo”, la nuova 500 (fatta in Polonia e che sembra avere qualche difficoltà in Cina, mercato assai ambito), mentre non pare andare per niente bene la vettura (la nuova Bravo? Se sbaglio macchina mi si scusi) fatta in Brasile.

Negli ultimissimi tempi – dopo aver pienamente appoggiato il centrosinistra alle elezioni, così come ha fatto l’intero gruppo Rcs (editoriale di Mieli sul Corriere dell’8 marzo 2006) – il “gruppo Fiat” ha deciso di imitare la sua accozzaglia politica preferita, sceneggiando almeno due posizioni diversificate (tipo sinistra “moderata” e quella “estrema”). Montezemolo, anche per cercare di far eleggere uno dei “suoi uomini” (o donna) presidente di Confindustria, critica il Governo soprattutto sulle tasse, cercando così di recuperare le piccolo-medie imprese, che cominciano ad accorgersi di quanto siano parassiti i grandi capitalisti controllori del centrosinistra al governo. “Marpionne”, invece, blandisce quest’ultimo, cercando perfino consensi presso i “radicali” e i sindacalisti. Ecco la più perfetta commedia delle parti, con divisione dei ruoli e dei compiti.

Sabato scorso l’ad “fiatino” è andato a Bari al convegno organizzato dalla rivista Industria, di pretta area prodiana, e ha fatto il suo show in favore del capitalismo nostrano di tipo “solidaristico” (ha detto proprio così!), mentre ha criticato quello anglosassone, così liberista e duro verso i lavoratori. Il credente, e dunque “beato in quanto povero di spirito”, Fassino ha subito cercato la via per il “Regno dei Cieli” con una intervista al Corriere (di Domenica scorsa), in cui ha più che lodato ed elogiato “Marpionne” in quanto capitalista “buono” (del resto l’aveva già detto mesi fa uno che se ne intende: Bertinotti). In genere, tutta la sinistra apprezza vivamente l’ad della Fiat, il “mago del miracolo” (mi sembrava però che gli operai, visti qualche tempo fa a Mirafiori mentre insultavano i segretari confederali, non avessero la stessa opinione bertinottiana e fassiniana).

In perfetta concomitanza con le “solidaristiche” affermazioni baresi, “Marpionne” ha riproposto quanto già era in piedi da qualche mese: se si vuole rilanciare e sviluppare la produzione della Lancia Y a Termini Imerese (sventolando la solita “acciughina” dell’incremento o almeno mantenimento dei posti di lavoro), è necessario che lo Stato (cioè il Governo “amico” di centrosinistra) dimostri il suo spirito “solidaristico” sganciando una bella manciata di “sghei” (la “mobilità lunga”, tanto per ricordarlo, già costa sul miliardo di euro). Il Governo “amico”, pronto (e prono), ha subito annunciato che darebbe 250 milioni a fondo perduto (cioè regalati; sempre per “solidarietà”). La Regione Sicilia (in mano al centrodestra) ne ha promessi altri 75. “Marpionne” si è in pratica messo a ridere di fronte alla pretesa governativa che una “nobildonna” come la Fiat si accontenti di tariffe da prostituta extracomunitaria sui vialoni di Torino. E così ha rilanciato per una cifra non inferiore a 1,3-1,5 miliardi di euro; e proprio perché è stata data la preferenza al capitalismo solidaristico nostrano piuttosto che a quello liberista anglosassone; altrimenti…..

Adesso è meglio scherzare, tanto non siamo in grado di cambiare le cose; fosse al governo il centrodestra (come in Sicilia), malgrado tutte le sviolinate fatte ai piccolo-medi imprenditori e al lavoro autonomo, la scusa della “occupazione”, pur di favorire la Fiat, sarebbe avanzata anche da tale schieramento. Siamo in mano a veri “grassatori di strada”, ai “banditi di cosche” sempre più perverse e assetate dei “nostri” soldi. E sinistra (certo la “più amica”) e destra sono sempre lì pronte a cedere allo spirito “solidaristico” del nostro capitalismo guidato dal “Trio infernale”.

 

Cerchiamo solo di trarne qualche lezione, “a futura memoria”. Intanto, è ben difficile non nutrire seri dubbi sul “miracolo” Fiat, poiché altrimenti non si comprende questa continua questua allo Stato. La Fiat ha sempre agito così; ricordiamoci che la sua grave crisi di anni recentissimi è stata di molto ritardata solo dalla continua “socializzazione delle perdite”. Non vorrei che, in capo a qualche anno, una simile “mignatta” si ritrovasse in piena crisi. Tuttavia, non è questo il più importante. L’unico modo per sfuggire ai continui salassi, cui l’impresa torinese sottopone la società italiana onde godere di profitti invece che di perdite, sarebbe quello di toglierle ogni potere sul governo, e quindi sullo Stato, italiano; e sarebbe meglio, per sicurezza, toglierlo anche agli altri membri del “Trio infernale” e della GFeID (grande finanza e industria decotta).

Alcuni punti vanno tenuti presenti. Non si toglie il potere ai gruppi dominanti economico-finanziari, in sella da un’intera epoca, se non attraverso l’azione – eufemisticamente, definiamola “energica” – di agenti politici “autonomi” rispetto ai gruppi dominanti in oggetto. Salvo però che non si sia in grado di veramente sollecitare le “energie” della maggior parte del popolo, il togliere potere a questi gruppi dominanti non significa riuscire a farli uscire immediatamente di scena; debbono invece essere colpiti i suoi agenti politici: questi, sì, vanno buttati fuori dal palcoscenico. I gruppi dominanti, insomma, perderebbero potere (sul governo della “cosa pubblica”) in quanto sarebbero battute e disperse le loro truppe politiche ed esautorati i generali che le comandano. In secondo luogo, gli agenti del “rinnovamento” – a meno che non siano “quelli dell’ottobre 1917” – debbono trovare riferimento in altri gruppi dominanti, che tuttavia non è detto abbiano la stoffa necessaria a comprendere le necessità e caratteristiche del “rinnovamento” in questione. In un certo senso, gli agenti politici debbono prendere per un dato periodo il “sopravvento”, debbono “forzare” le situazioni; nell’ambito delle quali, allora, tali agenti (strategici) della sfera politica stanno “un passo avanti” a quelli della sfera economica.

In ogni caso, non si tratta di favorire il capitalismo “buono” contro quello “cattivo”. Simili idiozie sono solo affermate dagli opportunisti, venduti e mascalzoni detti “di sinistra”; perché la sinistra ha avuto in tutta la sua storia questa funzione di far credere alla riformabilità del capitalismo; nel senso di renderlo per sempre umano, solidaristico, antiliberista e dedito al Welfare per “tutto il popolo”. I gruppi dominanti capitalistici sono solo efficienti o inefficienti; sanno fare profitti (estrarre plusvalore e trattenerlo per loro) o scaricare le loro perdite sulla collettività lavoratrice (sul plusvalore estratto a tutti i suoi componenti); sanno utilizzare i mezzi finanziari per lo sviluppo tecnico-scientifico e dei settori di punta, innovativi, o invece se ne servono per farli apparentemente crescere su se stessi, con ciò provocando appunto i fallimenti (e le “esplosioni delle bolle”) con devastazioni che servono a rastrellare il “pluslavoro” della maggioranza della popolazione; sanno darsi una certa autonomia – alla guisa della listiana “industria nascente” contro gli interessi dei capitalisti inglesi, predominanti in quell’epoca – oppure si pongono al servizio di altri predominanti (come fecero, sempre per rifarsi a quell’esempio storico, gli schiavisti piantatori di cotone del sud degli USA e gli Juncker tedeschi nei confronti dei capitalisti inglesi).

 

Detto in termini più chiari, bisogna togliere il potere politico alla GFeID e al “Trio infernale”, scompaginando le loro truppe politiche, in particolare quelle di sinistra, le più prone ai loro voleri; per di più in grado di organizzare – cosa che non può fare, strutturalmente, la destra – la commedia delle parti (“riformisti” e “radicali”) che tanto serve ai loro interessi, protraendo una situazione di degrado politico e di putrefazione sociale che ha ormai del pericoloso. Nuovi gruppi di agenti politici – non so quali, sia chiaro, sto parlando in termini di necessità per sopravvivere, non di esistenza delle condizioni necessarie a sopravvivere – debbono prendere il davanti della scena, piegando ben bene il capitale finanziario a nuovi progetti; dando nel contempo forte impulso ad aziende – si tratta di esempi – tipo Finmeccanica, Eni, Enel, forse Fincantieri, ecc. Il fatto che si tratti di imprese ancora – solo in parte – “pubbliche” non è per nulla la questione decisiva; anzi tale condizione rende i loro vertici dirigenti troppo “accomodanti” verso il Governo della GFeID e del “Trio infernale”. Bisogna rafforzare questi vertici, se del caso mutarli, renderli in ogni caso più autonomi e liberi da “lacci e laccioli”, affinché siano in grado di svolgere fino in fondo il loro mestiere non solidaristico, ma di netto e vivacissimo impulso impresso allo sviluppo e ammodernamento scientifico-tecnico del sistema-paese Italia. Tutto lì. 

Spero di essere stato fin troppo chiaro; c’è molto da dire in proposito, ma non si cuoce l’intero “maiale” se non mettendolo allo spiedo a rosolare assai lentamente e con “cura amorevole”. Molti lati della questione andranno presi in considerazione. Assolutamente no, tuttavia, la discussione sul capitalismo buono o cattivo, riformabile o meno, a misura d’uomo o troppo affamato di profitti, solidaristico o liberista, e via cianciando. I “buoni sentimenti” sono compito del Papa – e in lui non mi danno fastidio in quanto ne riconosco la valenza apertamente ideologica pur se pretende di essere ideale (in ogni caso afferma dei “valori”) – ma diventano fastidiosi, e di puro inganno mascalzonesco e cialtrone, quando si rivolgono a chi lavora in una organizzazione economica che deve in ogni caso produrre, non sostituire la famiglia o altre “ideali comunità” (di facciata comunque).