UNA PRIMA MOSSA di G.P.

Vi proponiamo sul nostro sito www.ripensaremarx.it un saggio di Gianfranco La Grassa intitolato “UNA PRIMA MOSSA, verso una nuova politica”, laddove, il suddetto, partendo dalla formulazione di alcune analogie con i sistemi ideologici del passato tenta di comprendere l’azione ideologica odierna, quella messa in atto dai tanti “riformatori” del Capitale che producono una massa pletorica di incrostazioni “ideali” volte (consapevolmente o meno) a rendere impermeabile allo sguardo critico la dinamica capitalistica, neutralizzando l’emergere di una pratica antisistemica e trasformativa.

La Grassa, sulla scia della classificazione messa in campo da Marx (sulla quale nutre, tuttavia, alcuni dubbi), distingue tra diverse forme di socialismo (quello “feudale” piccolo borghese di Sismondi, quello borghese di Proudhon, e quello utopistico dei vari Fourier, Saint-Simon, Owen ecc.). Queste non si situano in contrasto con lo schema generale dei rapporti capitalistici (proprietà dei mezzi di produzione e forma-merce) ma si oppongono, più semplicemente, alla sua estensione e alla sua generalizzazione, perorando una resistenza politica “conservativa”, indirizzata alla preservazione della cosiddetta società mercantile semplice (artigiani e piccoli agricoltori).

La Grassa, a ragione, ritiene che questa visione conservi, in primo luogo, una buona dose di utopismo – in quanto non è possibile porre un limite all’allargamento delle basi sociali del Capitale, una volta che la sua forza propulsiva si è liberata dalle catene dei rapporti sociali feudali – poiché nella concorrenza, il fenomeno dell’espropriazione e della centralizzazione dei capitali, si riproporrebbe prepotentemente su basi “quali/quantitative”  più ampie. Ma tale visione è anche connotata da un forte spirito reazionario, in quanto punta a contrastare lo sviluppo della “modernizzazione” capitalistica a partire dalla resistenza messa in atto da corpi sociali in decomposizione che hanno come base materiale un tipo di produzione disseminata e individuale a base tecnologica frugale (comunque già metabolizzata nell’apparizione e successiva affermazione del modo di produzione capitalistico con la sua peculiarità di far crescere indefinitamente le forze produttive anche grazie all’incorporazione della ricerca scientifica e tecnologica).

Infine, a queste ideologie che rappresentano il raddoppiamento “ideale” di un mondo che va scomparendo sotto i colpi della performatività capitalista e che costituiscono la reazione immediata dei vecchi corpi sociali alla “virosi” rappresentata dalla nuova situazione, va ad aggiungersi un vero e proprio “pericolo” teorico, qual è la concezione dello Stato Socialista di Lassalle. Quest’ultimo pensava che lo Stato fosse uno strumento neutrale (la cui conformazione non era dipendente da specifici rapporti di classe) e funzionale all’amministrazione delle varie attività sociali. Cosicché, secondo questa impostazione, che contraddice profondamente quanto sostenuto da Marx sullo Stato, la classe operaia non avrebbe dovuto far altro che appropriarsi dello stesso, nella sua imperitura configurazione, per garantire la prosecuzione di tali attività ma sotto un nuovo potere politico operaio.

Definito questo quadro ideologico di un’epoca ormai trascorsa, La Grassa passa in rassegna alcune analogie che, mutatis mutandis, possono essere calate nell’attuale fase storica perché “in fondo, il pensiero è sempre lo stesso di un tempo pur con molte sfumature e “variazioni sul Tema”(…)”.

Una di queste variazioni è efficacemente ricondotta da La Grassa nel dibattito ideologico contemporaneo: i piccoli produttori sismondiani potrebbero ben essere paragonati agli attuali consumatori che si oppongono ai grandi trusts ed ai loro orientamenti produttivi scriteriati che deturpano l’ambiente naturale fornendo anche beni “sofisticati” non rispondenti a reali bisogni sociali; o, ancora, all’accolita “decrescentista” che propone una “ritirata anticonsumustica” contro l’ipertrofia tecnologica ed iperproduttivistica del “Capitale assoluto”. Ma a questi anticonsumisti (grandi consumatori di ideologie) manca lo sguardo d’insieme sulla totalità capitalistica (che non è possibile “riformare” o frenare, come pensavano i sostenitori della società mercantile semplice) per cui quello che gli si prospetta dinanzi, nel breve periodo, è un ulteriore sconfitta alla quale seguirà un ennesimo raggiro (o raddoppiamento) ideologico. Non si può pensare di combattere il capitalismo semplicemente accorciandogli le unghie oppure disciplinando i comportamenti individuali per resistere alla sua penetrazione invasiva (con la proposta, poca seria, di organizzare una resistenza passiva antitecnologica che parta dalla quotidianità).

L’altra faccia di questo anticonsumismo modaiolo è la credenza di poter usare in maniera “alternativa” tali strumenti, perché  il Capitale non sarebbe in grado di controllarli interamente tanto che, inserendosi in questo fronte scoperto (una specie di ventre molle del sistema), si faciliterebbe l’azione delle moltitudini desideranti coordinate attraverso la rete telematica.

Esiste un ceto intellettuale (soprattutto di sinistra) che fomenta tali idee balzane, che stordisce i giovani con il suo linguaggio colto per meglio depotenziare un’eventuale massa critica a fronte di un possibile precipitare degli eventi politici, economici ed anche militari, in questa fase non più pienamente monocentrica (tenendo presente il “disallineamento” di potenze emergenti come la Russia).

Quindi possiamo dire che nell’elaborazione lagrassiana Sismondi, Proudhon e Lassalle costituiscono snodi fondamentali per sottoporre a critica le ideologie odierne, quelle socialdemocratiche (e più filocapitalistiche) e anche quelle sedicenti comuniste (che, attualmente, sono tra le più accese sostenitrice dello statalismo sociale).

Ma è proprio sulla questione dello Stato e sul suo vero ruolo, nell’ambito dell’attuale formazione sociale capitalistica, che occorre fare maggiore chiarezza. Da questo punto di vista il grande capitale non avrebbe modo di affermare il proprio completo predominio se non fosse sostenuto organizzativamente (gli apparati) e militarmente dai “distaccamenti (o corpi) speciali di uomini in armi” che sorvegliano sulla costante riproduzione di detti rapporti di forza. Tale funzione coercitiva, anche quando si mostra con una facciata ideologica funzionalistico-amministrativa o assistenzialistica (la gramsciana “egemonia corazzata di coercizione”), è possibile perché esistono gli eserciti, la polizia, e i corpi armati pronti ad intervenire laddove il conflitto tra le classi dovesse mettere in pericolo l’ordine dominante.

Del resto, anche un’ ipotetica dittatura proletaria (si pensi a ciò che accadde nella prima fase della rivoluzione bolscevica) sarebbe inizialmente costretta a tenere in piedi lo Stato e i suoi apparati coercitivi (posti sotto lo stretto controllo del partito rivoluzionario e comunque, preventivamente depurati dagli elementi “borghesi”) ma solo per schiacciare, con i distaccamenti militari, la reazione delle classi dominanti appena sconfitte.

Questo significa che, una volta sbaragliata la reazione di queste classi, lo Stato deve dissolversi perché non può avere più alcuna utilità in una società costruita su basi di eguaglianza e di libertà.

Pertanto, i falsi comunisti di oggi, straparlanti di interesse generale da sostenere attraverso quello che, più precisamente, è un mero strumento di potere delle classi dominanti (la fantomatica “socialità” dello Stato) sono dei servi ingenui, se non dei veri e propri guardiani dell’ideologia capitalistica.

Ancora una volta ci tornano utili le parole di Marx tratte dall’Ideologia tedesca: “le idee dominanti [nelle diverse varianti sia di destra che di sinistra, nota mia] non sono altro che l’espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti ideali dominanti presi come idee: sono dunque l’espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque sono le idee del suo dominio. Gli individui che compongono la classe dominante posseggono fra l’altro anche la conoscenza, e quindi pensano(…)dominano come pensanti, come produttori di idee che regolano la produzione e la distribuzione delle idee del loro tempo; è dunque evidente che le loro idee sono le idee dominanti dell’epoca.

Contro queste idee costituite va lo scritto di Gianfranco La Grassa che, come sempre, non si esaurisce negli spunti messi in evidenza dalla mia epitome.