UNA AGGIUNTA ALLE CONSIDERAZIONI SULLA FINANZA

di G. La Grassa

 

Le ultime notizie esigono una aggiunta a quanto ho scritto nei giorni scorsi sulla finanza e che è apparso oggi sul blog. Il Corriere Economia, che si dice “ben informato” – e vorrei ben vedere che non lo fosse circa le mosse di qualcuno del patto di sindacato della sua società editrice (RCS) – riferisce di un progetto, già allo stato avanzato, secondo cui verrebbe scorporata la rete fissa dalla Telecom per venderla ad altri; “ma non allo Stato, come prevedeva il piano di Angelo Rovati, ex consigliere di Prodi. Scorporarla e cederla a società finanziarie private” (testuale dal Corriere Economia).

Ho già chiarito nell’articolo succitato che lo Stato del Piano Rovati (in realtà di Bazoli-Prodi con dietro uomini dell’americana Goldman, di cui uno è viceministro dell’economia) era la Cassa Depositi e Prestiti, solo formalmente pubblica, tanto è vero che il suo presidente è adesso Iozzo, già ad del San Paolo cui – pur con tutte le duplicazioni dell’organigramma della superbanca nata dalla fusione di Intesa con l’istituto torinese – non si è trovato un posto adeguato, e lo si è quindi “spedito” a ricoprire la suddetta carica. Ho anche segnalato il progetto in cui la CDP è coinvolta, in combutta con i principali gruppi finanziari italiani, per mettere in piedi il F2I, fondo per le infrastrutture pubbliche che è un carrozzone inverosimile (ma di cui ho già scritto). Quindi, bando agli inganni. Non si passa dal progetto di cessione allo Stato a quello di vendita alle finanziarie private, ma solo a diverse strutturazioni finanziarie (visto che alcune erano state “scoperte” da vari giornali) di operazioni analoghe, che comportano comunque lo scorporo della rete fissa (con banda larga, quella su cui corre anche l’adsl e la TV via cavo) dalla Telecom, con l’ovvia “idea recondita” di favorire la creazione di qualche altro centro massmultimediatico sicuramente controllato dagli “amici” (forse perfino quelli stessi interni alla RCS) della sinistra governativa.

A conferma (solo in parte indiretta) di quanto dico sta il “colloquio” con Tronchetti Provera, pubblicato oggi dal Giornale. Questo signor “mi piego ma non mi spezzo” afferma di non essere contrario all’entrata di Bazoli (Intesa San Paolo) in Telecom tramite la fusione della sua Mittel con la Hopa (di Gnutti ecc.), che detiene una quota azionaria appunto in Telecom. Evidentemente, l’“ammorbidimento” fatto subire a Tronchetti, questo novello “Don Abbondio”, ha sortito il suo effetto. Si può comunque essere certi che, se qualcuno dovesse opporsi ai piani “pigliatutto” di Bazoli (con il suo maggiordomo Prodi) e avesse magari qualche successo, l’ex presidente di Telecom (e ancora della Pirelli) ritroverebbe tutto il suo coraggio e inarcherebbe un “fiero cipiglio”. Per certi versi, più interessante è ciò che egli dice nel suo “colloquio” con il Giornale relativamente al gruppo (pneumatici) Pirelli Tyre che, a causa dei suoi forti debiti, è totalmente controllato dalle banche (le solite!) con il 38,9% del capitale azionario (i debiti si sono mutati evidentemente in proprietà azionaria dei creditori).

Il personaggio in oggetto afferma che non c’è alcun bisogno di nuove immissioni di capitale – eventualmente con l’entrata di nuovi soci – per ingrandire l’azienda, alleggerirne i debiti e rilanciarla con maggior potenza (magari inneggiando alle sinergie e agli snellimenti di personale). Egli sostiene che è sufficiente “ammodernare la tecnologia e migliorare la qualità dei prodotti”. Per quanto riguarda le banche italiane, tutti (a partire da Draghi) insistono che occorrono ulteriori fusioni e incorporazioni (dopo quelle di vasta ampiezza degli ultimi anni) perché esse sono ancora troppo piccole nella “competizione globale”. Nell’industria, alt invece, niente “centralizzazioni” di capitale. Il motivo è talmente scoperto da essere perfino un po’ banale il rilevarlo. Le industrie debbono essere sotto stretto controllo delle banche; semmai bisogna aggiungerne altre a quelle tipo la Pirelli Tyre, non lasciarsi sfuggire questa, cosa che accadrebbe se si ingrandissero le sue dimensioni con l’arrivo di nuovi capitali, che rimpicciolirebbero la quota di controllo delle banche (o le costringerebbe ad investire ulteriori capitali in un’impresa dei cui problemi industriali esse non hanno alcuna voglia di occuparsi). Questa è la nostra classe dominante economica (quella che indico scherzosamente come GFeID); industriali del piffero subordinati alla finanza che non si interessa affatto di reali problemi produttivi. E’ logico che, mentendo perché è necessario mentire, Tronchetti parla di ammodernamenti tecnologici e di miglioramento dei prodotti; ma si tratta di quelli che tutti i clienti possono constatare nella Telecom, un’azienda al degrado totale rispetto a ciò che era prima delle operazioni favorite dal Governo D’Alema a fine anni ’90.   

 

Le funzioni sono oggettive, ma hanno sempre bisogno di portatori soggettivi per essere svolte. Quindi è logico che le qualità personali di chi espleta date funzioni hanno una loro incidenza sulle stesse. Tuttavia, è anche noto che, nella Storia, spuntano sempre (o quasi) “gli uomini giusti al momento e nel posto giusto” (qualche scarto temporale sussiste spesso, evidentemente, ma non è questo l’essenziale). A “giusto” non bisogna affatto attribuire un significato necessariamente positivo. Hitler era “giusto” in quel momento storico in Germania, visto che la Repubblica di Weimar era in mano ad una finanza marcia e putrefatta (subordinata a quella USA), la sinistra (socialdemocrazia) era un’ammucchiata di corrotti e servi (come quella d’oggi), e i comunisti andavano “a caccia di farfalle”. Tronchetti e Montezemolo sono gli uomini “giusti” nel meschino momento storico attraversato dalla Repubblica italiana 1 e ½, in cui l’industria (quella che dovrebbe essere trainante, quella costituita da grandi imprese) è letteralmente inetta, arretrata (relativamente a paesi all’incirca dello stesso sviluppo capitalistico), mentre imperversa la finanza di dimensioni sempre maggiori (anche se, si dice, ancora insufficienti) e sempre più vampiresca. Diamo tempo al tempo, che è galantuomo, e poi appureremo anche la qualità di quel “portatore di funzioni” che è Marchionne, il “borghese buono” del “perspicace” Bertinotti.

Vogliamo provare ad uscire, almeno parzialmente, dalla considerazione dei soggetti portatori per (intanto almeno) accennare alle funzioni? In una società capitalistica (dunque basata completamente sullo scambio mercantile, in cui perfino le “qualità morali e intellettuali” sono oggetto di tale scambio), l’apparato finanziario è decisivo e inscindibile da quello più strettamente produttivo. Inoltre, tutti i discorsi sull’ammodernamento tecnologico e la qualità dei prodotti sono spesso delle effettive balle; e comunque, nel caso migliore, sono un elemento coadiuvante rispetto alla forza posseduta da un determinato sistema economico complessivo (ad esempio quello di un paese a capitalismo sviluppato). Altrettanto, se non più importanti, sono le funzioni politiche relative alla potenza – e alla conquista e/o mantenimento delle cosiddette sfere di influenza – di quel dato sistema-paese. Di conseguenza, pur tenendo conto che nel capitalismo i dominanti sono divisi in frazioni varie fra loro in conflitto per la supremazia, un elemento di sintesi di quest’ultima va trovato in quello che si potrebbe definire complesso politico-finanziario. Si potrebbe anche dire finanziario-politico, a seconda di quale dei due elementi del complesso appare, in quella data congiuntura (meglio epoca), preminente.

L’importante è abbandonare la teorizzazione generale secondo cui la finanza è sempre dominante, come ha fatto in genere il marxismo (con l’eccezione, forse non unica ma certo principale e più lucida, dell’althusserismo). Tutto dipende dalle congiunture o epoche, ma a mio avviso anche dalla strutturazione geopolitica – sia pure “in sincronico” – del sistema capitalistico; in modo del tutto speciale con riferimento a quella sua parte costituita dai paesi a capitalismo avanzato, che detengono sia l’apparato finanziario che quello politico più potenti rispetto al resto del mondo. Credo si debba giostrare sull’interrelazione – nella “dimensione” storico-temporale e in quella strutturale (spaziale) di tipo geopolitico relativa ad un dato “momento” (fase) della storia – tra finanza, produzione (entrambe facenti parti dell’economico) e politica (con “appendice” cultural-ideologica).

Entriamo però in una discussione che, pur fatta per semplici cenni (o sprazzi) così come vorrei intanto impostarla, ha pur sempre valenza prettamente teorica. La lascerei quindi ad un più lungo periodo di riflessione per poi metterla nel sito (più adatto del blog a tal uopo). Per il momento concludo dunque qui sottolineando, anche riferendomi al pezzo (di disgusto) di D’Attanasio[1], che siamo ormai in una situazione di putrefazione che ha dell’incredibile. Cioè, più precisamente: è incredibile che ancora non si sollevi una enorme ondata di indignazione. La situazione “regge”, all’orizzonte non si intravede ancora alcun sommovimento “catartico”. Sembra di vivere in mezzo ad un popolo composto in maggioranza da morti, con alcune minoranze di chiacchieroni e amanti del puro caos. Che poi rispuntino perfino le BR, un reperto che dovrebbe appartenere alla ricerca archeologica, è qualcosa che sembra non lasciare alcuna speranza. Si è costretti a limitarsi ad una critica che è pur sempre teorica, anche se a diversi livelli di astrazione. In fondo, essendo vecchiottello, mi potrebbe stare bene anche così (no, non è vero purtroppo); mi meravigliano però i più giovani. In ogni caso, non c’è altro da fare se non attendere e “scrutare” l’orizzonte, mantenendo viva la testa e analizzando questo porcile nauseabondo.

 

13 febbraio       





[1] Sa però l’amico Franco che l’aumento di cui parla è di 500 euro (naturalmente “lordi”)? E che ne godono, credo, anche i dirigenti ministeriali (gli “alti” dirigenti dello Stato) e forse ancora uno strato del personale docente universitario a più alto livello (non ne sono però sicuro; un tempo tale personale era stato agganciato alla dirigenza di Stato sulla base del 70% per ogni aumento delle retribuzioni, ai diversi livelli, di quest’ultima; poi ne furono sganciati, ma non so se tutti o solo i “peones”). Di quante decine di euro di aumento mensile (lordo) si discute per il contratto dei dipendenti pubblici che non vede ancora la firma? E per i contratti dei lavoratori delle più basse fasce? L’Italia è proprio un “bel paese” (per tutti i magna-magna legati al ceto politico, ecc.).