OVUNQUE IL GUARDO MIRA……
di G. La Grassa
Leopardi continua (Risorgimento): “tutto un dolor mi spira/tutto un piacer mi dà”. Io, non essendo poeta, mi limito a sentire un po’ di nausea. Metto subito le mani avanti, affermando comunque ciò che realmente penso. Non ho nessuna simpatia per
Voglio preliminarmente ricordare che, non appena qualcuno osa criticare lo Stato di Israele per la sua selvaggia politica contro i palestinesi, viene accusato di antisemitismo [fra le accuse più ridicole che conosca, visto che anche i palestinesi, e gli arabi in genere, sono semiti; e chi critica Israele sta dalla parte di questi semiti], di revisionismo storico, di revanscismo politico, perfino di simpatie filonaziste, ecc. C’è addirittura chi pensa, in questo Governo di sinistra, di introdurre pene detentive per coloro che vogliono approfondire la storia, anche quella dell’Olocausto; magari ricordando che non si tratta solo di “milioni di ebrei soppressi”, poiché nei campi di sterminio andavano pure i comunisti, i Rom, vari prigionieri politici e poi di guerra, i soldati italiani dopo l’8 settembre del 1943 (qualcuno si ricorda ancora delle “tradotte”; o si vergogna anche di sol citarle?). Sugli ebrei non si può proferire verbo, sulla resistenza jugoslava, indiscutibilmente diretta dai comunisti “titini”, si può invece sostenere impunemente che è stata una sequela di massacri, con addirittura la pulizia etnica a danno degli italiani per impossessarsi di una parte del nostro territorio.
Cito allora due frasi di Napolitano – così come riportato tra virgolette da Il Giornale – che hanno scatenato le ire dall’altra parte. E, lo ripeto, non mi interessa quest’ira, ma solo le enormità di parte italiana. Certo, si tratta di frasi estratte dal contesto, ma il lettore non è stupido e saprà valutare se esse hanno o meno un senso compiuto in se stesse. Queste le affermazioni: “Già nell’autunno del ’43 [si noti bene la data, l’inizio “ufficiale” della Resistenza europea ma anche italiana] si intrecciarono giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di sradicamento della presenza italiana da quella che cessò di essere
Queste le “coraggiose frasi” di parte italiana (del tutto amichevoli ed eleganti come si può notare), mentre la truce e offensiva risposta di Mesic così è riportata: “sono affermazioni in cui è impossibile [per qualsiasi persona non obnubilata da una ottusa faziosità; ndr] non intravedere elementi di aperto razzismo, revisionismo storico e revanscismo politico difficile da accostare all’auspicio formulato per la promozione delle relazioni bilaterali”; è “spaventoso e potenzialmente molto pericoloso” rimettere in discussione il trattato di pace firmato (anche dall’Italia) nel 1947; “c’è qualcuno a cui debba essere ancora ricordato cosa scatenò lo sproloquio contro il trattato di Versailles alla fine della prima guerra mondiale?”. Lasciamo pur perdere le risposte croate – che a me sembrano comunque doverose, per nulla tracotanti e atte a ricordare la pericolosità di certe incaute affermazioni – e concentriamoci sulla parte italiana.
Vogliamo analizzare con un po’ di lucidità le affermazioni del nostro presidente? Lo ripeto, per come le leggo sui giornali! Ricordo intanto che chi le ha pronunciate ha appartenuto al PCI dagli anni ’40 fino al rinnegamento del comunismo susseguente al crollo del “socialismo” nel 1989. Voglio anche premettere che, dal 1963, ho sempre appellato questa gente con il termine di piciisti, perché certi connotati li avevo riconosciuti – e me ne faccio vanto – con decenni di anticipo; tuttavia, mai avevo creduto che si arrivasse a voler rivedere tutta la storia in funzione dei propri “capovolgimenti” politici.
La più clamorosa delle affermazioni è quella relativa all’Istria e Dalmazia che “cessa di essere Venezia Giulia”. Quindi si tratta di un pezzo di Italia, magari in base al vecchio dominio della Repubblica marinara veneziana? Alla faccia….de li pescetti! Questo non è revanscismo nazionalistico? Non è rimessa in discussione di confini, su cui sarebbe meglio soprassedere? Il fascismo non popolò di italiani quelle zone (così come fece in Alto Adige)? Non siamo qui in presenza di revisionismo storico, e di una gravità (nazionalistica) non certo irrilevante? Il “parossismo nazionalista” (altro passo di quelle frasi) non fu superiore a quello dei resistenti francesi, e del resto d’Europa, che vollero cacciare dal loro paese gli eserciti occupanti, ma si annessero anche territori ritenuti propri (Nizza e Savoia, Alsazia e Lorena, i Sudeti, e via dicendo). Per gli italiani andava forse fatta una eccezione perché crediamo ancora che essi siano “brava gente”, che “aiutino” le popolazioni sottoposte al loro dominio coloniale? Ci siamo scordati quello che abbiamo combinato in Libia, in Etiopia (gasificando le popolazioni), in Albania, in Grecia e, per l’appunto, in Jugoslavia? E pensavamo di essere trattati con i guanti? Siamo forse di una specie “superiore” che non può essere maltrattata da una presunta “inferiore”? E possiamo con tanta leggerezza parlare di “pulizia etnica”?
Fino a prova contraria, eccessi ce ne sono sempre stati, e sempre ci saranno, durante guerre, rivoluzioni, sconvolgimenti politici e sociali, ecc. Se non lo sopportiamo, allora accettiamo tutte le affermazioni che molti contestano invece a Pansa circa le “terribili nefandezze” compiute dalla nostra Resistenza; basta con i due pesi e due misure. I reazionari e criptofascisti sono molto più coerenti (proprio perché non hanno rinnegato il passato, non debbono coprirsi il capo di cenere per farsi accettare dall’establishment odierno); questi ex comunisti sono al contrario veramente intollerabili. Nelle foibe non metto in dubbio che siano stati buttati persino innocenti o comunque alcuni che non meritavano la morte (come non la meritavano i serbi uccisi dalla d’alemiana “difesa integrata”, cioè dai bombardamenti aerei compiuti al seguito degli USA nel 1999; qualche autorità italiana, e in primo luogo l’attuale “indignato” Ministro degli Esteri, ha chiesto scusa e perdono per quei morti?). Ci saranno stati anche, come durante
Si parla poi di “rivalsa sociale”. La rivoluzione compiuta dai comunisti di Tito (qualunque giudizio si voglia dare su di essa, magari anche assai negativo) non può però essere considerata in nessun caso una semplice rivalsa sociale. Tanto meno da chi è stato – dalla Resistenza italiana in poi – comunista, per quanto diventato troppo presto un piciista. Chi vuol rispettare la storia, sa benissimo che non il solo Secchia, tra i comunisti italiani, pensava
Questi incredibili ex comunisti (piciisti) non hanno mai fatto uno straccio di analisi autocritica; sono passati dall’altra parte con “coscienza felice”, contando sulle manovre di “mani pulite” per diventare i referenti politici privilegiati di quell’establishment (in gran parte lo stesso che aveva “cambiato cavallo” durante la guerra), contro cui molti della “loro base” (poveri “illusi”, ma a loro vanno la mia stima e il mio commosso ricordo) avevano sperato di condurre sino in fondo la rivoluzione sociale. Oggi, invece, tutto ciò – sia che riguardi i comunisti italiani sia quelli slavi – viene “tradotto” in “rivalsa sociale”. Una massa di “pezzenti” (di “brutti, sporchi e cattivi”) voleva solo prendere il posto dei “siori”; questa è la “rivalsa sociale”, almeno nella lingua che conosco! Bene, lo dice uno che ha appartenuto per non so quanti decenni ai massimi vertici del PCI; su quella massa di “pezzenti” in cerca di “rivalsa sociale” ha costruito tutta la sua vita di membro del ceto politico. Non sarebbe stato male se questa “verità” fosse stata detta un po’ prima; qualcuno di quei “pezzenti” poteva ripensarci e passarsela meglio, ma certamente altri non sarebbero arrivati “tanto in alto”.
Se andiamo avanti così, non manca molto tempo prima che i nostri governanti ci ordinino di alzarci in piedi e, tutti impettiti, gridare:
W L’ITALIA….. “un pauvre pays”
[NDR] A sostegno di quello che dice La Grassa nel suo articolo (e delle stesse gravissime affermazioni di Napolitano) riportiamo per intero l’articolo apparso su Repubblica del 10.02.07. Sono queste le dichiarazioni che hanno scatenato un applauso bipartizan tra le forze politiche italiane. I picciìsti sono i peggiori revisionisti al servizio dell’ideologia dominante, si assumano, pertanto, tutta la responsabilità delle proprie affermazioni perché è da questo becero servilismo, antistorico e infangante la memoria dei popoli, che nasce la violenza più cieca. Bisognerebbe ricordare a tutti gli ex-comunisti, oggi (apparentemente) gente ragionevole che tiene bene le discussioni nei salotti buoni, che già a partire dalla svolta togliattiana legalista e parlamentare (c’era poco altro da fare dopo la divisione bipolare del mondo tra Usa e Urss) i leaders del fu PCI non hanno fatto altro che alimentare il proprio popolo con riti di appartenenza identitaria politico–elettoralistica e con simboli di adesione emotiva al grande pachiderma picciìsta (proprio come fanno oggi, con i loro ultras, contro il pericolo Berlusconi). Questi signori hanno sottoposto per qualche decennio la gente (gli operai in primis, quelli che oltre alla rivoluzione cercavano anche la rivalsa sociale, e che male c’è del resto!) ad una terapia retorica (gradulistica) che non aveva assolutamente nulla di comunista ma era solo finalizzata al contenimento di un blocco sociale per fini di riproduzione organizzativa e di pura spartizione del potere (come dire, erano in fieri all’epoca, anche a causa di una fase storica non favorevole, quello che sono oggi in atto). Quando hanno potuto liberarsi della zavorra ideologica simil-marxista, con la caduta dell’URSS nell’’89, si è realizzato il loro “regno animale dello spirito”. Dei vecchi tempi resta, a questa gentaglia, quella saccenza culturale elitista che li porta a ritenersi migliori in virtù di una superiorità culturale (esteticamente superiore) della quale si sentono depositari a fronte della rozzezza della Destra e del popolo bue (che loro hanno contribuito a rendere sempre più “tifoso” e sempre meno politicamente partecipativo). Per questa gente tutto il nostro disprezzo, la coerenza è merce rara che non si trova al mercato e per quanto potere e ricchezza possano ancora accumulare resteranno sempre in posizione orizzontale, proprio come i ve…i.
Foibe, Napolitano consegna le medaglie d’oro
"Riconoscimento troppo a lungo mancato"
Il presidente ha ricordato "le vittime di una furia che assunse i contorni di una pulizia etnica"
Plauso bipartisan al discorso. Fini: "Belle parole". Commenti favorevoli da Udc e dal vicepremier Rutelli
ROMA – "Un riconoscimento troppo a lungo mancato, un dramma negato per ideologia". Lo ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano alla cerimonia dedicata alle vittime delle foibe. Il capo dello Stato ha consegnato oggi una medaglia d’oro ed un diploma ai parenti di trenta italiani uccisi nell’ambito della persecuzione etnica scatenata dalle milizie titine tra Trieste e Fiume alla fine della seconda guerra mondiale.
"Non dobbiamo tacere, – ha detto Napolitano – assumendoci la responsabilità di aver negato o teso ad ignorare la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica" il dramma del popolo giuliano-dalmata. E’ stata una tragedia, ha spiegato, "rimossa per calcoli dilomatici e convenienze internazionali"
"Oggi che in Italia abbiamo posto fine ad un non giustificabile silenzio, e che siamo impegnati in Europa a riconoscere nella Slovenia un’amichevole partner e nella Croazia un nuovo candidato all’ingresso nell’Unione, dobbiamo tuttavia ripetere con forza che dovunque, in seno al popolo italiano come nei rapporti tra i popoli, parte della riconciliazione, che fermamente vogliano, è la verità. E’ quello del ‘Giorno del Ricordo’ è precisamente un solenne impegno di ristabilimento della verità", ha aggiunto il capo dello Stato.
Napolitano ha voluto richiamarsi esplicitamente al suo predecessore, Carlo Azeglio Ciampi, dicendo che ne raccoglie l’esempio circa "il dovere che le istituzioni della Repubblica sentono come proprio, a tutti i livelli, di un riconoscimento troppo a lungo mancato" delle tragedie di un intero popolo di istriani, fiumani e dalmati, che al confine orientale dell’ Italia, dopo l’8 settembre ’43, furono vittime di un moto di odio e di furia sanguinaria che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica". Una tragedia la cui memoria "ha rischiato di essere cancellata" e che invece, ha aggiunto il capo dello Stato, deve essere trasmessa ai giovani nello spirito della legge del 2004 che ha istituito il Giorno del Ricordo.