QUALE STRATEGIA DI POTENZA PER IL PAKISTAN (PARTE IV)
L’evoluzione verso il liberalismo
L’avvento al potere, nel 1972, del Primo Ministro Ali Bhutto, diede luogo ad un vasto programma di nazionalizzazioni delle industrie di base (all’epoca nascenti), così come delle banche (1° gennaio 1974). E’ importante comprendere la tradizione interventista dello Stato in questo paese. Nel 1985, gli attori privati hanno ottenuto il diritto di svilupparsi nei settori prima controllati dallo Stato. Dal suo arrivo al potere, il Generale Musharaff si è trovato con una situazione di gravissimo indebitamento, accentuata dalle sanzioni finanziarie consequenziali allo sviluppo del piano nucleare del 1998. Il paese era allora sul bordo della bancarotta.
Dopo il 2001, il governo ha lanciato un programma ambizioso di riforme (accelerazione delle liberalizzazioni con privatizzazione dei monopoli statali più redditizi, riforme delle tariffe doganali, ristrutturazione del sistema bancario) incoraggiate dal FMI e da Washington, per modernizzare la sua economia.
Tutte queste riforme hanno permesso di attivare una dinamica positiva per l’integrazione del Pakistan nella mondializzazione. Pertanto, la potenza economica pakistana, ancora segnata da debolezze strutturali, non è un fattore chiave per comprendere la potenza complessiva che questo paese può mettere in atto. Ma sappiamo bene che la forza di un paese deriva da tanti altri fattori, a prescindere dalle incongruenze economiche.
Il dopo 11 settembre, boccata d’ossigeno per l’economia pakistana
Il Pakistan, altre volte accusato dagli USA d’essere un covo d’islamisti radicali, è stato uno dei beneficiari più inattesi dell’abbattimento delle Twin Towers. La brusca virata strategica di Musharaff ha portato la nazione a divenire un alleato del governo americano nella campagna contro i taleban, ricevendo, in cambio, laute ricompense. Le sanzioni in vigore dalla fine degli anni ’70, dopo i tragici eventi dell’11 settembre, sono state tolte nel giro di due settimane; con ciò gli americani hanno voluto evitare che il Pakistan divenisse un nuovo Iran, con una situazione interna ben più esplosiva. I debiti sono stati annullati, le restrizioni commerciali eliminate ed è stata garantita una preziosa assistenza militare (con la consegna, da parte americana, di diciotto F16).
Infine, i milioni di pakistani viventi nel mondo, irritati dall’accresciuta vigilanza delle banche occidentali rispetto agli investimenti dei mussulmani, hanno rimpatriato il loro denaro nel paese. Tanto che, nel 2005, più di 4 miliardi di dollari sono stati iniettati nell’economia locale. L’impatto del denaro sull’economia è stato fenomenale determinando un boom economico senza precedenti, soprattutto nei consumi e nel mercato immobiliare.
Per un paese assetato di divisa, tutta questa affluenza di denaro è stata fortemente salutare, specialmente perché è intervenuta nel momento più propizio, cioè quando il governo aveva avviato il suo piano di modernizzazione dell’economia. Cinque anni dopo i fatti dell’11 settembre i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Il Pakistan si è avvantaggiato di un aumento del PIL “alla cinese”, pari ad un 6,6% nel 2006 (7,5% nel 2007, dopo le stime ufficiali). Il debito estero è stato ridotto di 1/3 e la deriva dei conti pubblici si è arrestata di colpo. Infine, dal 2001, gli investimenti stranieri si sono decuplicati .
Il Pakistan ha, dunque, saputo cogliere le opportunità che gli si sono prospettate a causa della situazione internazionale, risollevando la propria economia attraverso il riannodamento una serie di alleanze che, solo pochi anni prima, sembravano impossibili. Sfortunatamente, questa chance inaspettata non è sufficiente, da sola, all’approntamento di una più lungimirantedi una strategia di potenza.
Degli indicatori economici molto inquietanti
I frutti della crescita economica pakistana si sono ripartiti in maniera fortemente diseguale (aggiungeremmo, come sempre accade in casi simili, quando la crescita economica dipende da fattori dirimenti e, per di più, in un paese che deve recuperare molte posizioni nell’economia mondiale!). La ricchezza pro-capite non raggiunge gli 800 dollari all’anno e la situazione sociale del paese resta problematica: un abitante su due è illetterato ed un terzo della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Oggi, malgrado un prodotto interno lordo di 374 miliardi di dollari (25° paese), gli indicatori tradizionali sono deludenti. Per esempio, il 30% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, le ineguaglianze d’istruzione tra città e campagna sono enormi, e solo 44 milioni di cittadini hanno un’occupazione (su 166 milioni, circa il 26%), questo si spiega anche col fatto che il 41% della popolazione ha meno di 14 anni (ciò non giustifica ma spiega benissimmo perchè ci sono venti milioni di bambini costretti a lavorare in condizioni di schiavitù).
Le contraddizioni del Pakistan sono rintracciabili lungo i differenziali di reddito tra le classi sociali e nella composizione della spesa pubblica. Circa 1/3 del budget dello Stato se ne va in spese militari, inoltre, il 45% del budget statale è risucchiato dal debito pubblico. Questa supremazia della spesa militare, aggiunta alla costante crescita demografica (3 milioni di nuovi nati all’anno), ha rallentato la modernizzazione del paese. L’unità tra il popolo e la sua classe dirigente, sia nelle scelte politiche che in quelle sociali è davvero molto lontana.
Le condizioni politiche, sociali, storiche del Pakistan ne impediscono lo sviluppo armonico, sin dal 1947, anno di nascita della nazione. Divenire una potenza regionale, con capacità di esercitare l’influenza necessaria sui suoi vicini, senza legittimità né peso economico, è davvero un’operazione improba. Ancora, la forza economica senza il consenso della società civile, quest’ultima attraversata da mille conflitti, non consente al Pakistan di ergersi a potenza regionale indiscussa.
Il problema dell’economia criminale
Il Pakistan è uno dei paesi più corrotti al mondo e deve fare i conti con un’economia parallela stimolata dal mercato della droga. Ogni anno 100 tonnellate di eroina percorrono il paese da nord a sud per essere esportate. Questa economia sotterranea rappresenta 1/3 del PIL. L’oppio, trasformato in seguito in eroina, è principalmente prodotto nelle zone tribali del nord-est, controllate, non dallo Stato, ma da autorità locali compiacenti. La specializzazione del paese come produttore di oppio è dovuta a tre fattori storici concomitanti:
– La politica proibizionista del generale Zia determinò, indirettamente, che una parte del raccolto, tradizionalmente effettuato nelle zone tribali, fosse esportato clandestinamente in Iran, perle esigenze dei tossicomani piuttosto numerosi di questo paese
– La rivoluzione iraniana finirà poi per scombinare i circuiti del traffico della droga lasciando sulle spalle dei trafficanti stock considerevoli di droga
– Il denaro proveniente dal traffico della droga fece “marcire” il normale sistema economico pakistano. Innanzitutto, fu toccato il campo militare. Il denaro fu utilizzato per la ricerca nucleare e per finanziare segretamente l’equipaggiamento militare. Si assistette, inoltre, al formarsi di una borghesia del narcotraffico che investì anche il potere politico; quest’ultimo lasciò fare per colmare la penuria di divisa che affliggeva il paese.
Sola potenza islamica a detenere la bomba atomica, il Pakistan, è anche sospettato di aver favorito i programmi nucleari di altri paesi (Libia, Corea del sud, Iran), per l’intermediazione del Dott. Kahn. I ritorni economici di tali aiuti, difficili da quantificare, sono inseriti in circuiti simili a quelli della droga. (continua…)