DAL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE AI NUOVI PARADIGMI FINANZIARI: IL NUOVO FAR WEST (II° PARTE) di G. Duchini
La fase storica caratterizzata dal passaggio dal sistema dei cambi fissi a quelli flessibili rappresentò “il cambio di pelle del Capitale Finanziario Usa.” I cambi fissi richiedevano approvvigionamenti monetari che i singoli paesi dovevano effettuare per avere le riserve valutarie del dollaro, necessarie a far risalire la moneta Usa agli stessi parametri della moneta del singolo paese, la cui economia era diventata eccessivamente competitiva nei confronti di quella americana. Nella caduta del sistema dei cambi fissi e nel passaggio al nuovo sistema del cambio flessibile, il Fmi si affermò definitivamente come il gestore delle crisi finanziarie a livello globale con la possibilità di intervenire, nelle stabilità dei cambi delle monete dei singoli paesi che avevano alti tassi di inflazione. Questa nuova funzione monetaria del Fmi annulla le sorveglianze dei paesi membri dando nuova linfa al Capitale Finanziario Americano: una vera e propria “Rivoluzione Copernicana” attuata dalla finanza Usa; un nuovo sviluppo finanziario realizzato non più solo in modo lineare di “superficie”, ma anche in “verticale”, in seguito alla possibilità di intervenire nelle singole economie le cui bande di oscillazioni delle monete, rispetto ai valori consentiti del dollaro, non erano più rappresentate da riserve di monete nazionali convertibili in dollari, ma da titoli vari composti da tutti i prodotti finanziari emessi nel mercato privato dei capitali, al fine di svolgere lo stesso ruolo sostitutivo e rappresentativo della moneta. Lo sviluppo del Capitale Finanziario nelle nuove forme fenomeniche del “cambio di pelle,” rappresenta la punta di lancia del dominio Usa nei confronti di altre economie: un nuovo tipo di finanza, sviluppata grazie alle grandi Banche d’Affari americane, in grado di tessere i fili di una rete sempre più ampia e di mantenere sotto una protezione vigilata i paesi, vittime dei trappoloni finanziari Usa, sotto la lente di osservazione del marchio di affidabilità del Fmi e di tutti gli altri indici, creati di volta in volta dai vari organismi internazionali che rispondono ai nomi Moody’, Dow Jones….
La base strutturale dell’economia americana su cui si è potuto sviluppare il processo finanziario ha le caratteristiche della prevalenza di un economia dei servizi su quella industriale, pur avendo quest’ultima una rilevante rappresentanza con i settori a più alta competizione del mondo che vanno dalle bioteconologie, alle nanotecnologie, oltre a quello dell’elettronica spaziale e militare. Il settore dei servizi Usa è composto da quelli dell’elettricità, dei trasporti, delle comunicazioni e industriali (per un valore complessivo pari al 79% del Pil) e necessita di una massa enorme finanziaria che immessa nel mercato dei capitali, in un patto di mutua assistenza con tutte le strutture finanziarie esistenti, realizza una virtuosa autovalorizzazione sempre crescente. Le grandi Banche d’Affari provvedono alla grande raccolta finanziaria promuovendo gli sviluppi dei paesi, cioè indebitandoli sempre più, configurandosi a loro volta, come vettori trainanti della finanza mondiale, nella correzione continua dei parametri finanziari delle singole economie tenute sotto osservazione, secondo gli interessi prevalenti del grande centro Usa.
Il Fmi concesse nella metà degli anni ’70, gli ultimi e consistenti finanziamenti all’Inghilterra e all’Italia, due paesi con interessi concomitanti agli interessi Usa e destinati a svolgere in Europa “una missione particolare”; la prima (l’Inghilterra), ultima enclave in Europa degli Usa, una sorta di vigilantes in nome e per conto degli interessi americani; l’altro (l’Italia), la parte molle delle economie industriali europee, con un altro compito: la costruzione di un euro-comunismo secondo i dettami berlingueriani, con il possibile ingresso nella Nato, in un equilibrismo politico di equidistanza tra i due blocchi (Usa-Urss) ormai con una certa discontinuità di fase, di netta prevalenza americana a fronte di un inarrestabile declino Sovietico; da quest’ultimo declino nasce la sopravvivenza esiziale delle ideologie piciiste del socialismo di Stato nelle versioni caserecce del capitalismo di Stato. Dall’inizio degli anni settanta e nel corso degli anni ‘80, la mistura politica nella commistione di governo della Dc con “l’opposizione del Pci”, costituiva un vero e proprio laboratorio politico-economico sostenuto dall’economia pubblica dell’Iri, una specie di isola “socialistica” ad economia privata-industriale-assistita. Un humus politico ideale per il ricorso a finanziamenti da parte italiana al Fmi, con l’aiuto di Lamberto Dini, allora Presidente dell’Esecutivo del Fondo, per far fronte ad un inflazione italiana crescente dovuta alle dinamiche salariali ed agli attacchi speculativi sulla lira.
Gli anni ’80 rappresentarono la fine degli interventi del Fmi nei confronti delle economie europee ormai sotto il totale controllo Usa, per concentrare meglio l’attenzione su una parte restante di mondo, non ancora pienamente sondata. Si riproducono i rituali di sempre: l’economie da conquistare vengono esplorate dal Fmi e successivamente occupate dalle Banche d’Affari Americane, come si usava un tempo, dai vecchi esploratori che facevano le prime cartine geografiche dei paesi scoperti, un tracciato “guidato” per l’invasione degli eserciti coloniali. Ma anche qui, c’è una particolarità del tutto nuova rispetto al Capitale Finanziario dei primi del Novecento secondo quanto era stato descritto da Hilferding nel suo memorabile “Capitale Finanziario”: la penetrazione del Capitale Finanziario non avviene più secondo il classico controllo diretto delle quote di partecipazioni della Controllante che entrano nel Patrimonio Sociale della Controllata, sia come Valore di Immobilizzo Finanziario che come controllo permanente. Il “cambio di pelle” del Capitale Finanziario già evocato, si realizza in una modifica sostanziale della pervasività finanziaria:
C’è una storia parallela che richiama questo intervento incontrastato di oggi delle Banche d’Affari Usa e che nasce all’interno del proprio paese di frontiera e di conquista dell’eroico e mitico Far West: una storia dentro un’altra. Soltanto una sovrapposizione cinematografica poteva coprire e sedimentare la memoria collettiva americana, nella grande epopea della nascita dello Stato Americano, una verità scomoda quanto insopportabile. L’Accumulazione originaria del Capitalismo Usa si affermò con la prima generazione capitalistica dei “robber baron”, letteralmente “grandi rapinatori,” così si espresse Matthew Josephson giornalista del “New York”, nel 1934. Vale la pena di raccontare rapidamente quella storia che ha origine a partire dagli anni ‘30 dell’ottocento, nella creazione delle prime banche d’investimenti, cioè le prime Banche d’Affari Private che potevano utilizzare il proprio capitale per le operazioni che finanziavano senza alcuna autorizzazione statale. La caratteristica della natura privata delle banche d’affari, attrasse grandi personaggi i cui nomi sono famosi ancor oggi: J.D.Rockfeller, J.P.Morgan, il gruppo di immigrati ebrei tedeschi dei Rothshild, Seligman, Kuhn, e i francesi Lazard.. Il principio su cui tali banche si svilupparono rapidamente e crebbero fino ai giorni nostri è in fondo molto semplice oltre che banale, vecchio come il mondo: la truffa. Un noto speculatore proprietario di una società, tal Jacob Little, fu l’antesignano della moderna Banca d’Affari: vendeva allo scoperto titoli americani e inglesi. In pratica si vendevano titoli senza la copertura finanziaria dell’acquisto, si vendevano titoli non acquistati. Questo modo di vendere titoli non posseduti ebbe così tanto successo che ci si spinse molto oltre nelle truffe. Nel 1852 una Banca d’Affari di New York “New Haven Railroad” emise due milioni di azioni fraudolente (false), una falsa vendita che ebbe successo in Inghilterra, molti inglesi comprarono quelle azioni convinti da operatori americani, ottenendo anche buoni profitti. Tutta la storia economica americana è fatta di queste truffe che dettero comunque grande impulso alla nascente economia, con grandi risorse finanziarie messe disposizione per nuovi investimenti da cui ebbero origine la moderne Banche d’Affari Usa
Se si leggono gli Statuti delle Banche d’Affari Usa (tutti uguali) si scopre che svolgono attività finanziaria: offrono servizi di investimento, prestazioni di servizi di consulenza finanziaria per fusioni, acquisizioni e ristrutturazioni…..I dati più interessanti li troviamo nei bilanci pubblicati (del 2002) della Goldman Sachs, la più grande Banca d’Affari Usa e del mondo. La struttura di Bilancio è di tipo completamente nuovo rispetto ai Bilanci classici che abbiamo imparato a conoscere. Si ricorda che quest’ultimi (tradizionali) hanno due sezioni contrapposte e speculari. La parte delle Attività è suddivisa in due: Immobilizzazioni, che rappresentano la parte stabile degli investimenti cioè le strutture dell’impresa durevoli nel tempo e l’Attivo Corrente, costituito dalla parte liquida dell’azienda, in un rapporto proporzionale con la parte fissa (Immobilizzazioni) per far fronte alle necessità correnti; nel Passivo (i Finanziamenti ottenuti dall’impresa per gli investimenti dell’Attivo) troviamo, oltre al Patrimonio Netto, cioè l’autofinanziamento dei soci che sottoscrivono le quote sociali per controllare la società, i Debiti a medio e lungo termine (ottenuti dalle Banche, dai Fornitori…). Nel Bilancio della Banca d’Affari in esame (Goldman Sachs), risulta soltanto una parte della struttura patrimoniale tradizionale dell’Attivo, quello dell’Attivo Corrente; un grande serbatoio di liquidità, il cui totale è impressionante, stiamo parlando di oltre 300 miliardi di dollari costituiti per metà da titoli presi a prestito (cioè gestione per conto di terzi) e per l’altra metà di strumenti finanziari in portafoglio (in proprietà) al “valore equo”(derivati e cash) la cui valutazione, ed il cui sviluppo, serve a coprire i rischi dell’ “operare economico” trasformatosi rapidamente in una massa di speculazioni simili alle scommesse sulle corse dei cavalli. Questi ultimi titoli sono considerati da alcuni operatori economici “time bomb” cioè bombe a orologeria, ordigni di distruzioni di massa di tipo finanziario; la loro presenza nel mondo, a fine 2004, era pari a 270 trilioni di dollari, cioè 7 volte il prodotto interno lordo mondiale. Per quanto riguarda il Passivo (cioè la fonte di finanziamento dell’Attivo) questo è dello stesso importo, oltre 300 miliardi di dollari, si tratta di cifre davvero sorprendenti: debiti verso clientela e controparti, strumenti finanziari venduti ma non ancora acquistati al valore equo; se ci si sofferma sui prodotti finanziari venduti ma non ancora acquistati è perché su questo principio si basa la truffa (come nel 1830) del nuovo il paradigma finanziario: si fa girare l’economia su titoli che non si possiedono, cioè su valori inesistenti.
Quello che risulta ad una prima osservazione, sia pure grossolana, è che queste Banche d’Affari sono diventate nel tempo, delle vere e proprie macchine da guerra in grado di condizionare enormemente la liquidità internazionale; la struttura patrimoniale, composta soltanto da “Attivo Corrente” (ovvero da una grande massa di liquidità da immettere prontamente nel mercato a secondo delle necessità delle strategie finanziarie) é in grado di scombinare qualsiasi piano finanziario nazionale e di condizionare i precari equilibri economici tra imprese e tra paesi. Il valore tradizionale della moneta sembrerebbe sparito e sostituito da questa massa di liquidità immessa nei mercati. Quanto potrà durare una economia di questo tipo? “Ai posteri l’ardua sentenza”, anche se si può azzardare un’ipotesi: durerà fino a quando sorgerà una nuova grande economia in concorrenza con quella Usa.
G.D. 16/05/07