UN SALUTO AGLI “AMICI” (Se tali vogliono sentirsi)di G. La Grassa
Forse dovrò un giorno, pur se ho poco tempo, dare una risposta (amichevole certo) ad alcuni amici che ammettono, in parte (non so bene quale), la giustezza di certe mie considerazioni in merito a destra e sinistra in Italia, con particolare riferimento alle critiche, senza dubbio più aspre, che rivolgo alla seconda. Si sentono però offesi per gli insulti e gli epiteti che uso, quasi fossero rivolti a loro (mentre posso assicurare che non lo sono affatto). Mi chiedo se leggiamo gli stessi giornali; o meglio se li leggiamo con la stessa angolazione: politica ma senz’altro anche morale, perché un conto è non voler fare i moralisti, altra cosa è rifiutare senza mezzi termini le autentiche porcherie che commettono questi politici. D’altra parte, sarà per i miei passati schieramenti, ma sono particolarmente sensibile alle porcherie della sinistra.
Data la mia origine di classe, sono del tutto insofferente di fronte all’ipocrisia (in cui sono stato avvolto nell’infanzia e adolescenza fino alla mia scelta comunista), alla totale falsità, ai “sepolcri imbiancati”. La destra mi sembra sufficientemente sincera e scoperta nel difendere quelle impostazioni – liberismo, filoamericanismo, ecc. – contro cui si appuntano le mie più nette critiche e ripulse. La sinistra è invece una somma di ipocrisie, maggiori o minori, con varie gradazioni di falsità e copertura delle proprie malefatte; le quali, tutte, hanno la loro derivazione da una pura smania di potere, di occupare ogni posticino di governo e sottogoverno, ogni posizione vantaggiosa in sede centrale come locale, e via dicendo. Non esiste nessun minimo valore, nessun progetto politico purchessia. E’ a mio avviso impossibile, comunque per me incredibile, che una persona dotata di intelletto e non obnubilata dalla faziosità non veda che questo governo di sinistra (o centrosinistra) è di gran lunga il peggiore, il più indecente, il più disgustoso, dell’intera storia della nostra Repubblica (come minimo; perché a volte mi viene da pensare che sia anche peggiore dell’“infausto ventennio”). Un anno di questo governo mi sta comunque sembrando lungo quanto un intero ventennio.
Inoltre, l’unico cemento di questa congrega è da quasi quindici anni l’antiberlusconismo. Va bene, ammettiamo pure che quest’uomo abbia fatto solo i suoi interessi. La sinistra sta però facendo gli interessi di intere cosche economico-finanziarie, ben intenzionate a dissanguare il paese per alimentare i loro esclusivi e smodati appetiti e i loro, ormai sempre più manifesti, conflitti. Non mi stancherò di citare Guido Rossi – insospettabile di giudizi animosi come i miei, essendo vicino ai Ds e al centro di numerose manovre del potere economico-finanziario negli ultimi vent’anni – quando ha detto che l’Italia odierna è “come la Chicago degli anni ’20” (del ’900). Che vinca “Al Capone” o un altro, il giudizio non può cambiare: il centro del terribile marciume in cui sta affondando il paese è in quella che denomino da tempo GFeID (grande finanza e industria decotta), un mefitico insieme di gruppi (parassiti) di potere – oggi in sorda (ma sempre meno sorda) lotta – che si concentra nella Rcs e in Mediobanca e poche altre istituzioni. Ora, questo mefitico insieme di gruppi di potere è quello che ha sempre combattuto Berlusconi, non gli ha mai lasciato requie (né in sede politica né in quella affaristica), e si serve per le sue “segrete” (e meno segrete) mene delle varie fazioni in cui è, con stretta correlazione, suddivisa quella che ci si ostina a chiamare sinistra.
Certamente queste cosche di potere parassitario hanno “tentacoli” proiettati anche verso destra, in particolare – guarda caso – verso l’UDC e verso determinati settori di AN. Il “terribile” Berlusconi, obiettivo numero uno e collante della sinistra e della GFeID, fa i suoi affaracci, ma questi ultimi si scontrano con l’intero schieramento predetto; e per non rimanere isolato, il “cavaliere” è costretto a fare appello alla piccola imprenditoria (industriale e commerciale), alle cosiddette partite IVA, un aggregato di ceti che non dico affatto siano una “meraviglia”, la famosa “Italia che lavora e produce” secondo la retorica della destra, ma certamente non è costituito da gruppi di puri parassiti dediti a losche manovre, e agguati, “come nella Chicago degli anni ’20”.
La sinistra è tutta attraversata dalla volontà di servizio nei confronti della GFeID. Certo – oggi che dati gruppi di quest’ultima, in particolare con il recente seminario di apparente “studio” organizzato alla Bocconi (e assieme alla Bocconi), fissano nuove direttive politiche tendenti al centrismo, dotato di nuovi “tecnici” (non migliori di quelli governativi attuali) – la sinistra radicale, presa tra due fuochi perché la sua base elettorale comincia a mandarla al diavolo, è spaventata, cerca di polemizzare con Montezemolo & C. Ma si aggrappa a Prodi – il maggiordomo del gruppo Intesa San Paolo con tutto ciò che ci sta “accanto e dietro” – perché non sa più rinunciare ai posticini di governo e sottogoverno, centrali e locali. Se va a casa il governo, essa deve lasciare i “ristoranti del Palazzo” (dove si mangia lucullianamente per euro 7,50 a pasto) per tornare in maleodoranti “pizzerie” (pizza e birra media per almeno 12 euro, e qui in provincia) a far opposizione seria, che non sa più fare, non è più in grado di fare, dopo le “mollezze” degli “ambienti governativi romani” e delle loro diramazioni in ogni dove.
Cari amici che vi offendete della mia virulenza, siete in grado di accettare tutto questo? Io no, e siccome mi fanno schifo questi immondi personaggi di una sinistra che si dice radicale, ma mi irrita profondamente vedere tanti “amici di base”, di cui ho stima e per cui ho simpatia, tenere di fatto loro bordone, giocare al collateralismo con questa gentaglia – al servizio della varie gang che si combattono “come nella Chicago degli anni ’20” – allora esco dai limiti del bon ton, e divento magari volgare. Ma solo perché sono schietto, perché, lo ripeto, il vizio per me capitale, il peggiore di tutti, è l’ipocrisia (se volete, aggiungiamoci, a pari merito, la prepotenza). I destri (e Berlusca) in fondo dicono – abbastanza, non del tutto – quello che pensano; ed è esattamente a quello che pensano cui mi oppongo. I sinistri, no, fanno sempre i “moralmente superiori” (e i “radicali” ancor più dei “moderati”); e sono invece al servizio, più o meno diretto o invece mascherato, dei peggiori parassiti economico-finanziari della storia d’Italia. E certuni, che sono invece intellettualmente e moralmente “diversi”, non hanno il coraggio di recidere i legami con l’insieme dei gruppi dirigenti dell’intera sinistra, perché hanno paura di fare il gioco degli “altri”, alcuni ancora del “cavaliere nero”; come scusa adducono spesso che bisogna pur fare politica e non ci si può “isolare”.
Immagino che si tratti delle stesse motivazioni per le quali molti gangsters minori, nella solita Chicago, dovevano schierarsi con qualcuna delle maggiori bande in lotta per non fare una brutta fine. Si trattava però pur sempre di criminali, anche se di bassa lega e piccolo calibro. Qui, al contrario, ci sono persone che vogliono ricominciare a fare politica riconoscendo che un orientamento anche ideale è pur sempre necessario. Ammettiamo allora infine che non è un dramma tornare in “pizzeria”, non si muore di fame. Non facciamo moralismo, accettiamo che in politica si commettano anche delle “brutte cose” (e uno, che è stato leninista prima di essere marxista come il sottoscritto, se ne rende conto), ma per obiettivi che implichino una almeno piccola montagna da scalare, non per immergersi nella palude e nella cloaca della lotta di potere di cosche economico-finanziarie devastanti e dissanguanti.
Non è un dramma restare “isolati” per un certo periodo di tempo. Ma venite forse a raccontarmi che, negli anni ’30, i comunisti e gli altri (pochi) antifascisti erano in Italia come “i pesci nell’acqua” di maoista e hociminiana memoria? La gran massa della popolazione era fascista, basta con le balle! E quando nel 1939 ci fu il patto Von Ribbentrop-Molotov, lo scoramento dei “compagni”, come mi raccontò il mio Maestro Pesenti (in carcere, condannato nel 1935 a vent’anni per propaganda antifascista), fu devastante. Eppure, i coerenti continuarono la lotta. Si certo, si è anche detto (dopo la guerra!) che alcuni fra quelli che divennero poi alti dirigenti del PCI e di altre formazioni antifasciste avevano avuto l’ordine di entrare nella gioventù fascista o al “Centro del cinema”, ecc. per infiltrarsi nelle file del “nemico” a fare propaganda e proselitismo. Facciamo gli ingenui e crediamoci pure, ma non se ne sono visti gli effetti fino all’8 settembre 1943. Per favore, un minimo di coerenza, anche nell’isolamento, non guasta mai.
Avevo l’intenzione di partire dal titolone di testa del Corriere di oggi (e dalle notizie date con risalto da Repubblica), nettamente smentite oggi dagli interessati; fatti, veri o inventati che siano, del tutto chiari nell’indicare la volontà degli ambienti economico-finanziari, di cui sono espressione i due giornali, di accelerare i loro tentativi da “ultima spiaggia” tesi a delegittimare i “berlusconiani” e ampi settori della sinistra detta “riformista” (altra ipocrisia), soprattutto “dalemiana”, per arrivare all’operazione centrista di cui ho già detto. Mi sono fatto prendere la mano da altre considerazioni; ne riparleremo, anche perché ogni giorno muta il panorama di queste squallide operazioni delle varie cosche “chigaghesi”.
Un caro saluto agli “amici” cui di fatto mi sono rivolto.
17 giugno
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STRATEGIE E CONFLITTO: DA QUALCHE PARTE BISOGNA INIZIARE di Sasha
Innanzitutto la mia solidarietà a Gianfranco La Grassa per l’accusa di fascismo rivoltagli da un pirlotto su un blog. A prescindere dal caso specifico, dare del fascista oggi è nel più dei casi come il bambino che dice cacca davanti alla maestra: manifesta un disagio, ma il suo vocabolario, stato culturale e di differenziazione delle cellule cerebrali non gli permette ancora una grossa varietà di espressioni e la comprensione precisa del nesso tra significante e significato. Oppure è semplicemente un pirla. Tiriamo innanzi.
Assenza di visione strategica
Se è verosimile, come credo, che l’assenza di visone e di capacità strategica è in linea di massima propria dei ceti dominati di ogni tempo, su ciò è necessario concentrarsi per elaborare sia le teorie sulle quali potrebbero “appoggiarsi” futuribili rivoluzionari, sia prassi di lotta che contengano almeno un seme di potenzialità di successo. In altre parole, sento ancora la forza di Marx (o di ciò che ne ho compreso) nel credere che le forme rivoluzionarie dei dominati possano dar luogo generalmente a fenomeni di ribellismo di corto respiro, peggio se egemonizzate o eterodirette da gruppi tendenzialmente endogeni al sistema capitalistico (penso ai vari fascismi, socialdemocrazie, ecc., che certo non accomuno se non come narcotizzatori di energie rivoluzionarie): la rivoluzione che interessa a noi è quella anticapitalistica, come ai borghesi di un tempo interessò quella contro quel modo di produzione e la sua riproduzione sociale che di fatto si costituivano come fattori di blocco al proprio emergere complessivo come classe dominante.
In soldoni penso che siamo ancora ampiamente nella pars destruens del complesso teorico che dovrà rappresentare il superamento (nella conservazione) di Marx e non può essere altrimenti: manca totalmente oggi (o è molto ben nascosto) il segnale di anche solo un piccolo seme di nuovo modo di produzione e di gruppi ascendenti che ne siano portatori e che quindi, come i borghesi rivoluzionari di un tempo, siano disposti (e strategicamente attrezzati) per una lotta dura finalizzata a scalzare i vecchi dominanti. Senza questi elementi le nostre teorie non potranno che essere parziali, mancando della struttura “reale” dalla quale desumere nuove categorie complessive per poter riorganizzare una teoria a sua volta complessiva che, credo, non potrà che fondarsi sull’intuizione fondamentale di La Grassa: la storia non come agone della lotta dei dominati contro i dominanti (o come li si voglia chiamare), ma come conflitto strategico tra dominanti per il dominio complessivo.
Il capitalismo bestia nera?
Sinceramente, forse per limiti personali, non vedo altra soluzione che continuare a studiare, analizzare, parlare con chi vuole e può parlare: la storia non ha ancora fissato neanche un primo appuntamento preliminare per una potenziale finestra che consenta a nuove energie di manifestarsi.
Credo che ogni epoca porti un segno e questa, hegelianamente di gestazione e trapasso, porta il segno della mondializzazione capitalistica e del tentativo di consolidamento dell’egemonia globale da parte di un Paese, dove i potenziali centri di resistenza dotati di una qualche capacità strategica, la Russia delle grandi mafie guidata da un ex Kgb, la Cina della follia turbo-capitalista, l’Iran teocratico, possono essere considerati razionalmente rimedi peggiori del male, anche solo dal punto di vista di cosa sarebbe il pianeta se magicamente prevalesse la loro visione socio-politico-economica, anche se sono da sostenere apertamente in un’ottica di accelerazione verso una fase policentrica del conflitto.
Parlandosi chiaro, non è ancora lontanamente emerso qualcosa che possa potenzialmente essere migliore per il pianeta del capitalismo stesso, anche se, sempre razionalmente, poche cose oggi sono peggio di ciò che esso si porta dietro.
Porsi in un’ottica anticapitalistica è doveroso per chiunque conservi un’anima, ben sapendo che l’assenza di un’idea alternativa (che potrà nascere, ma non prima che qualcosa emerga dal mondo reale) genera facilmente, direi addirittura comprensibilmente, il rientro nei confini sfuggenti e permeabili del sistema capitalistico, nell’abbaglio del tentativo di riforma in senso etico dello stesso (no e new global, volontariato di base, ecc.), o all’opportunismo della schiera di Ultimi Uomini nietzscheani che s’azzeccano nelle nicchie di privilegio (dirigenze politiche basse, medie e alte, mass-media, ecc.), al ritorno al privato, al dolore esistenziale (qui mi iscrivo), al “non c’è più niente da fare, è stato bello sognare” degli ex-sessantottini, e così via.
Forza e pazienza
E’ quindi tutto inutile? No, perché qualcuno dovrà pur dissodare il campo, prepararlo, studiare le condizioni climatiche, gli strumenti disponibili, la composizione del terreno, le pratiche colturali, i principali infestanti, l’assetto idrogeologico, scegliere e selezionare i semi e così via.
Qualcuno forse riuscirà a seminare, seguire la crescita e un giorno raccogliere frutti: noi, i nostri figli, i tris-nipoti o nessuno (siamo sempre nel campo della possibilità intesa come potenzialità, non nell’illusione della necessità o nel vacuo della casualità), in fondo è importante?
Travalicare idealmente i limiti della finitudine biologica è uno dei primi elementi della visione strategica: saper riconoscere che il raggiungimento del fine può o meno essere compatibile con un tempo per noi disponibile.
Ebbene noi siamo nella fase in cui non sappiamo nemmeno cosa vorremmo e potremmo raccogliere: gettiamo qua e là dei semi, andiamo per tentativi; il campo ci ha detto molto sulle sue caratteristiche in negativo (sappiamo cosa non vogliamo raccogliere), ma non ci ha ancora fornito indicazioni in positivo per partire con decisione a seminare e procedere con le fasi successive..
Non è provvidenzialismo rendersi conto che il mondo reale non ha ancora fornito indicazioni, così come non si tratta di attendere messianicamente l’avvento di un “soggetto rivoluzionario” (proletariato, no global e così via): si tratta solo di avere la forza della pazienza, o meglio di essere pazienti in quanto forti come possono esserlo coloro che si sono svegliati dagli illusionismi (destra-sinistra, fine della storia, stati canaglia, difesa dei diritti umani, ecc.) e, dopo aver preso un fracco di mazzate dagli zombies, sono finalmente liberi, almeno intellettualmente e per quanto possibile.
Non si tratta di stare con il naso per aria ad attendere un segno dal cielo, né di emulare i protagonisti de Il deserto dei tartari di Buzzati: il nostro pensiero e la nostra azione trasformano le cose, creano le condizioni per, favoriscono nascite e sviluppi, sempre che si sia illuminati anche nel non pretendere che ad azione/causa corrisponda l’effetto previsto/desiderato (tipo: “se le cose stanno così allora io faccio cosà”, come se il mondo funzionasse in codice binario: suggerisco la lettura di Uva acerba e Ulisse e le sirene di Jon Elster in merito agli effetti secondari della razionalità): le strategie comportano solo raramente azioni lineari e dirette e, solitamente, come diversivo o quando il nemico è alle corde; più spesso strategia è creare le condizioni per, riuscire a fare in modo che altri agiscano in conformità alle strategie stesse essendo intimamente convinti di operare nel proprio interesse. E’ spietato ma credo sia così.
Scuole e Terza Forza
Allora creiamo scuole (il mio modo di intendere
Sasha
15 giugno ‘07