A PARTIRE DAL CAPITALE FINANZIARIO di G.
(incamminandosi su ben altri sentieri)
Introduzione di G.P.
Vi proponiamo sul nostro sito www.ripensaremarx.it un saggio di Gianfranco
Ovviamente, noi qui vi proponiamo un’opera ancora suscettibile di ulteriori modifiche, almeno fino a quando non verrà trovato un editore interessato alla sua pubblicazione.
Questo saggio del professor Gianfranco
La sfera finanziaria, che ha come precipitato più visibile apparati come banche o assicurazioni ecc., è il luogo in cui si confrontano gli agenti strategici che producono denaro (in quanto rappresentante “legale” di tutte le merci) tramite il denaro, cioè attraverso prodotti finanziari che duplicano l’immagine delle merci reali. La finanza nasce proprio dalla presenza del denaro, il necessario duplicato della merce in regime di rapporti sociali capitalistici, ed è nella sua “manipolazione”, nel flusso reticolare dei conflitti tra agenti capitalistici che di esso si servono, che vengono a formarsi (condensarsi) strutture ed apparati (i grandi organismi finanziari, in primis) secondo precipue modalità che sono proprie della struttura capitalistica della società. A tal proposito, così come non sarebbe conveniente guardare il dito quando questo indica la luna, allo stesso modo saremmo tratti in errore qualora la nostra attenzione si focalizzasse esclusivamente su ciò che si aggruma in superficie (gli apparati che tentano di mettere “ordine” al conflitto) tralasciando la natura del flusso che attraversa le forme capitalistiche, ovvero se non tentassimo di comprendere la natura di quell’energia che decompone e ristruttura, secondo specifici rapporti di forza e di riproducibilità sistemica, la formazione capitalistica generale.
Se partiamo da questa ipotesi teorica è anche possibile spiegare perché, in alcuni casi, gli agenti finanziari possono innescare terremoti in tutto l’orizzonte capitalistico. Questi sono agiti ed agiscono dal/nel conflitto che avvolge la loro sfera di competenza e devono cavarsela con gli strumenti a loro disposizione, utilizzando una varietà di prodotti finanziari per primeggiare sui concorrenti. A tal uopo gli agenti decisori della sfera finanziaria immettono in circolazione mezzi finanziari che possono anche diventare ipertrofici fino a determinare uno scollamento con l’economia reale. Quando si verifica ciò il “riflesso speculare della produzione di merci”, esprimentesi in un’eccessiva duplicazione monetaria delle merci medesime, dà avvio a “funambolie” speculative, quelle che al primo inceppamento faranno gridare i crollisti di ogni risma all’imminente tracollo del sistema per essere giunto ai propri termini insormontabili. In realtà, nelle crisi speculative le immagini monetarie delle merci, quelle che fino a quel momento si erano moltiplicate incessantemente per il lavorio degli attori finanziari, si frantumano a causa di una sovrabbondanza di riflessi speculari, determinando dei necessari riposizionamenti (anche in termini di predominanza tra agenti) attraverso il quale il gioco ricomincia e si rinnova senza incontrare mai dei limiti definitivi.
La crisi finanziaria non è allora il sintomo evidente del parassitismo e della putrescenza del capitalismo che corre lungo il limine ultimo del suo massimo sviluppo. Il Capitale non ha confini perché non è una cosa ma una forma dei rapporti sociali che si struttura attraverso il conflitto. Anzi la crisi stessa, qualora dovesse sconfinare al di fuori della sfera economica fino a coinvolgere quella ideologica e quella politica, può determinare una palingenesi sistemica la cui risoluzione non è, tuttavia, scontata negli esiti. Ovverosia, con la crisi la storia apre delle finestre di possibilità per cui chi meglio riesce a comprendere l’andamento del flusso conflittuale può muoversi per volgere a proprio vantaggio la situazione d’incertezza. Questo vale tanto per i gruppi capitalistici subordinati che aspirano a conquistare la preminenza senza mettere tuttavia in discussione le basi capitalistiche della società che per i gruppi dominati (o non decisori) che, invece, vorrebbero istaurare nuove forme di rapporti sociali.
Resta, comunque, il fatto che pur confermando marxianamente l’importanza della sfera economica nella società capitalistica (quella che fornisce la spinta per assurgere alle posizioni di dominio) occorre dare profondità all’insieme capitalistico con un’analisi più precisa, e della sfera ideologica e di quella politica. Occorre pensare che la speciale collocazione, la “rendita posizionale”, occupata dai manovratori finanziari (i facitori delle strategie in tale sfera) sia più che altro una questione di fase storica e non di stadio, magari ultimo. A questi manca la visione complessiva che, al contrario, è appannaggio dei decisori della sfera politica, quelli che determinano il grado di penetrazione spaziale della formazione particolare (paesi intesi come interi o aree di paesi), che può condurre alla preminenza nel conflitto coinvolgente la formazione capitalistica globale.
La finanza è allora forzata ad interagire con i gruppi decisori che operano sia nella sfera politica (dove lo Stato ha il monopolio della forza, indispensabile a raccogliere le energie di una formazione particolare che mira a divenire egemone) che in quella ideologico-culturale. In questo senso la geopolitica e la politica di potenza diventano il nuovo orizzonte spaziale nel quale è possibile comprendere l’intreccio tra agenti finanziari e quelli politici, sia di uno stesso paese che di intere aree di omogeneità spazial-culturale. Ed è attraverso questa analisi che si può cogliere in che rapporto stanno le varie formazioni particolari (dominanza/subdominanza/subordinazione) nell’ambito della formazione capitalistica globale e quali possibilità hanno altre formazioni concorrenti(diverse dalla società dei funzionari del capitale di tipo occidentale, vedi
Ovviamente, la mia epitome è stata ellittica ma credo di aver almeno indicato le novità teoriche introdotte da questo saggio di
Ma ora vi invito alla lettura dell’intero saggio sul nostro sito.