LA CASTA, IERI COME OGGI di G. P.
«Decomponendosi lo Stato che ormai non resisteva più all’azione di sfruttamento e parassitismo dei vecchi partiti, bisognava avere il coraggio di fare la rivoluzione per sommergere, rovesciare distruggere queste caste politiche.(…) Queste caste politiche che sciupavano indegnamente i meravigliosi tesori della vittoria italiana dovevano essere disperse e distrutte».
Queste parole, vecchie di più di settant’anni, sembrano pronunciate da un contemporaneo sdegnato dall’attuale situazione politica italiana, dal pantano vergognoso in cui centro-destra e centro-sinistra hanno trascinato il paese corrompendo le sue già fragili istituzioni modellate a misura di una nefasta impalcatura statale basata sulle menzogne e sul parassitismo di ristrette caste politiche e di gruppi economico-finanziari che manovrano all’ombra della stessa politica. Eppure queste parole, tanto attuali e tanto corrispondenti al marciume odierno dei nostri partiti, sono state pronunciate da Mussolini nel ’26. Anche all’epoca la casta di governo stava trascinando il paese alla rovina (con i vari Serrati e Turati che continuavano a prodigarsi per tenere a galla Giolitti ricercando una soluzione parlamentare allo stallo istituzionale, spingendo ad un’assurda passività le masse e favorendo così l’ascesa dei fascisti). Tanto era seria la situazione che persino Bordiga e Salvemini giunsero ad auspicare un repulisti risolutivo (che chiunque l’avesse realizzato avrebbe garantito un servizio al paese, queste sono le parole quasi letterali usate da Bordiga) che facesse crollare le istituzioni liberali e i gruppi notabilari asserragliati a tutela di uno Stato in piena putrescenza.
Di lì a breve si sarebbe capito che, in realtà, l’affermazione del duce, per quanto utile a far fuori una classe dirigente inetta e corrotta, avrebbe trascinato il paese in ben altri drammi, mettendo ancora di più in evidenza le “sviste” storiche di socialisti e comunisti, incapaci di cogliere le opportunità che potevano derivarne per i dominati laddove si fosse riusciti a trasformare il malcontento generalizzato in situazione realmente rivoluzionaria.
Si comprende allora, ieri come oggi, che lo sbocco dalla crisi può derivare dall’avanzata di nuovi gruppi sociali i quali, in un certo senso, devono sì essere definiti rivoluzionari ma in un ambito di mantenimento delle coordinate sistemiche di fondo (i cosiddetti rivoluzionari dentro il capitale), entro cui è inserita una determinata formazione sociale.
Non si deve mai sottovalutare la forza politica e sociale che questi gruppi possono mettere in campo, soprattutto perché si trovano ad agire sullo stesso terreno di malcontento delle forze antisistemiche. Se nel ’19-’20 i socialisti furono incapaci di condurre fino alle estreme conseguenze le legittime rivendicazioni di contadini e operai, in una situazione di crisi e di disfacimento dell’economia italiana e dello Stato liberale, il fascismo, invece, riuscì ad inserirsi proficuamente in quelle contraddizioni fino a saldarle in un blocco sociale “d’urto”, composto dalla piccola borghesia contadina e dalla media e piccola borghesia dei centri urbani. Il risultato sarà esplosivo tanto che il fascismo perverrà “alchemicamente” ad incarnare, grazie ad una efficace costruzione ideologica, tanto le tendenze anticapitalistiche che quelle antiproletarie, fondando la sua spinta rivoluzionaria su una classe abbastanza numerosa (anche se eterogenea e diversificata al suo interno com’è generalmente il ceto medio) che si sentiva troppo stretta tra la grande borghesia imprenditoriale e il proletariato. Il fascismo datosi una base sociale solida – essendo stato in grado di orientare queste contraddizioni più in senso antiproletario che non contro il grande capitale – attuerà la sua normalizzazione capitalistica ma fuori dalle secche del contesto politico precedente.
Finalmente veniamo all’oggi, anche per attestare, mutatis mutandis, quanto di quel passato c’è nell’attuale fase politica italiana. In verità la situazione è profondamente diversa, sia per gli attori sociali in gioco sia per la struttura economico-produttiva dell’Italia dei nostri giorni. Tuttavia un punto di contatto emerge chiaramente e riguarda la corruzione e l’inettitudine di partiti e istituzioni statali completamente asserviti ad alcuni gruppi dominanti economico-finanziari che noi abbiamo definito con l’acronimo GF e ID (Grande Finanza e Industria Decotta). C’è da dire che questa volta occorre dare ragione, ahimé, all’editoriale di Paolo Guzzanti apparso su Il Giornale di ieri. Si parla tanto di Casta e di malcontento, ma da chi è partito effettivamente questo allarme e chi lo sta sfruttando? Che la situazione economica e politica dell’Italia sia gravissima è sotto gli occhi di tutti e le tasche della gente sono l’unico vero indicatore statistico per un paese che non gira più come dovrebbe. Finalmente, si comincia a dare la giusta responsabilità dei risultati che non arrivano ad una classe politica insulsa ed inefficiente che diviene ancora più odiosa laddove distribuisce privilegi a sé stessa mentre lo stivale si sfaglia e il morale degli italiani finisce sotto il “tacco”. Ma da chi parte la campagna contro la fantomatica “Casta”? Da due giornalisti del Corriere della Sera “figliocci” di un Direttore, quel Paolino Mieli, che solo un anno fa perorava la causa salvifica incarnata da Prodi e dal Centro-sinistra. Dice espressamente Guzzanti: “Paolo Mieli e il suo giornale (Beppe Grillo è un comprimario clamoroso ma da solo impotente) sono stati non i cronisti, ma i creatori e portabandiera di questa crociata. E non soltanto perché sono due giornalisti del Corriere quelli che hanno scritto