“PARMACRACK” di G.P.
Il crack Parmalat fu un duro colpo per migliaia di risparmiatori italiani. Molti tra questi persero tutto quello che avevano risparmiato nell’arco dell’intera vita lavorativa. Risparmi che, essenzialmente, avrebbero dovuto alleviare il periodo di uscita dal lavoro e affiancare una pensione statale sempre più infima.
Eppure c’era qualcuno che sapeva della reale situazione finanziaria della Parmalat, molto prima che questa collassasse su sé stessa.
In primo luogo, gli amministratori dell’azienda di Collecchio, ma da questi, com’è ovvio, non ci si poteva certo aspettare un’autodenuncia (anche se uno di loro disse candidamente al comico Grillo che per fare i bilanci
Poi c’erano le banche che avevano foraggiato
Infine, dobbiamo citare le agenzie di rating (una tra tutte, la Standard & Poor) che fino a poche settimane prima del fallimento dell’azienda parmense continuavano a dare valutazione positiva (vizietto nequizioso che non hanno assolutamente perso, come dimostrato dalla nota vicenda dei mutui suprime).
La fretta con la quale le banche si liberarono dei titoli in portafoglio, soprattutto nell’ultima fase (inizio 2003), non lascia adito a dubbi. Gli istituti bancari avevano informazioni privilegiate ed erano perfettamente a conoscenza del crack imminente.
Tra queste banche c’erano: Citibank, Banca Intesa, Bnl, Capitalia, Sanpaolo Imi, Banca Popolare Milano (Bpm), Banca Popolare Italiana (Bpi), Deutsche Bank, Monte dei Paschi (Mps) e Unicredito Italiano.
Sono le stesse che di lì a breve si sbarazzeranno quasi completamente dei titoli in loro possesso fino a mantenerne per un valore di appena 30 mln di euro (rispetto ai 179 mln iniziali). E sul groppone di chi è finito tutto il resto? Domanda retorica. Pare che dal fallimento Parmalat siano stati danneggiati almeno 110 mila obbligazionisti italiani e che l’età della maggior parte di questi oscillasse tra i 60 e i 65 anni.
Eppure nel 2002 la magistratura di Parma aveva avviato un’indagine che, se non si fosse arenata per oscuri motivi, avrebbe potuto salvare qualche cliente e dare un bel colpo a tutte quelle banche senza scrupoli che stavano truffando la propria clientela. In particolare, le fiamme gialle avevano scoperto dei movimenti di denaro a dir poco strani: un credito da Parmalat a Parmatour (di proprietà della figlia di Tanzi) di 11,8 miliardi di lire svanito nelle pieghe dei bilanci. Si trattava di un buon segnale da prendere al volo per iniziare a scandagliare nei “meandri” contabili dell’azienda parmense. Ed invece ci volle un altro anno (il tempo necessario per permettere alle banche di disfarsi della loro carta straccia azionaria a danno dei risparmiatori?) prima che tutto l’affaire Parmalat fosse portato allo scoperto.
Eccovi alcuni articoli apparsi sul Giornale di oggi che riaccendono i riflettori su una vicenda vergognosa della recente storia nazionale.
Fonte Il Giornale
Il costo dell’indagine non fatta: 200 milioni dei risparmiatori
articolo di Laura Verlicchi – giovedì 20 dicembre 2007, 07:00
Una decina di banche ha scaricato gli ammanchi sui piccoli azionisti, vendendo i titoli dell’impero di Collecchio che già sapevano sull’orlo del fallimento
da Milano
Quasi 200 milioni di euro: questo il valore del debito «girato» ai risparmiatori dalle banche nell’ultimo anno prima del crac Parmalat, dichiarato il 27 dicembre
Un documento della Banca d’Italia (che Il Giornale pubblica nella rielaborazione del Sole24ore) mostra i preoccupanti contorni della vicenda. Ad avere in portafoglio obbligazioni Parmalat, al 31 gennaio 2000, sono soprattutto dieci banche: Citibank, Banca Intesa, Bnl, Capitalia, Sanpaolo Imi, Banca Popolare Milano (Bpm), Banca Popolare Italiana (Bpi), Deutsche Bank, Monte dei Paschi (Mps) e Unicredito Italiano: in tutto sono 179,6 milioni di euro. Da metà anno in poi, iniziano le vendite: sia pure con qualche oscillazione, gradualmente il «monte bond» si riduce fino a scendere, il 31 marzo 2002, sotto i 90 milioni di euro.
Ma da quel momento in poi, le banche cambiano strada e ricominciano ad acquistare obbligazioni del gruppo di Collecchio, riportando il totale prima a 124 milioni – al 30 giugno – per chiudere poi l’anno con quasi 230 milioni di euro in bond della multinazionale guidata da Calisto Tanzi.
Ancora per poco, in realtà: il 2003 è destinato a essere l’ultimo anno della vecchia Parmalat. E le banche dal 31 gennaio iniziano a svuotare i portafogli: al 30 giugno il totale è già dimezzato, poco più di cento milioni.
Intanto, i segnali della crisi sono già più che evidenti: nel febbraio 2003 il titolo Parmalat crolla, dopo l’annuncio di un nuovo prestito obbligazionario da 300 milioni, respinto dagli investitori. A marzo,
Il gruppo di Collecchio corre sempre più verso il baratro, né lo aiuta l’ultima ondata di acquisti da parte delle banche, che a fine ottobre possiedono di nuovo obbligazioni per oltre 199 milioni di euro: la stragrande maggioranza, circa 111 milioni, detenuta da Bpi, che solo un mese prima ne aveva poco più di sei milioni.
Poi, la situazione precipita: il 4 dicembre Calisto Tanzi e il figlio Stefano chiedono aiuto a Mediobanca, perchè la società non è in grado di far fronte al pagamento dei bond da 150 milioni che scade di lì a quattro giorni. Il 6 dicembre, i Tanzi ammettono di fronte alle banche creditrici più importanti – Sanpaolo Imi, Intesa e Capitalia – che in Parmalat c’è un buco di 9 miliardi: saranno in realtà quasi 14 e mezzo, come si scoprirà in seguito. Ma intanto, la grande corsa è partita: dal 30 novembre al 30 dicembre le banche vendono bond per 145 milioni, la sola Bpi ne liquida 96. Quando Parmalat viene dichiarata insolvente, a fine dicembre, l’operazione è compiuta; nei portafogli delle banche sono rimasti solo 31 milioni di euro di obbligazioni.
Un gioco di scatole cinesi per far sparire i soldi
articolo di Stefano Filippi – giovedì 20 dicembre 2007, 07:00
Il denaro finiva alle Cayman e in finanziamenti a società fasulle. In 3 giorni i magistrati milanesi svelarono il trucco
da Milano
L’inchiesta che svelò il più grande crac finanziario d’Italia parte formalmente alle 23,55 del 18 dicembre 2003, quando
La Commissione di controllo sulla Borsa aveva acceso un faro su Parmalat il 6 novembre. Da mesi crescevano gli interrogativi sui prestiti emessi da Collecchio, cresciuti a dismisura, e i timori sulla liquidità del gruppo.
Altri 819 milioni di dollari erano a disposizione tramite «participation agreement», cioè operazioni di finanziamento tra nove società del gruppo. Non si sapeva ancora che esse erano in realtà le «scatole vuote» usate per fare arrivare i soldi da Parmalat a Parmatour, e che Epicurum era la discarica finanziaria del gruppo dove venivano occultati i mancati rientri dei prestiti.
Il giorno dopo, l’11 novembre 2003, si seppe che anche la società di revisione Deloitte & Touche aveva manifestato fortissimi dubbi sulla contabilità di Parmalat. Il titolo perse il 15 per cento. Per tranquillizzare gli investitori, Collecchio replicò con una seconda nota in cui annunciava l’intenzione di recuperare entro 15 giorni le quote di Epicurum. Ma l’8 dicembre Epicurum dichiarò di non poter liquidare Parmalat. E fu il crac.
Il titolo venne declassato e sospeso per tre giorni; alla riammissione perse il 47,4 per cento. Tanzi tentò di parare il colpo cooptando Enrico Bondi come superconsulente. Invano: Tanzi fu costretto a lasciare.
Il 16 dicembre si fece da parte e Bondi si insediò come presidente e amministratore delegato. Il 19 Bank of America, la seconda banca più grande del mondo, denunciò il falso più clamoroso, negando che esistesse un conto da 3,9 miliardi di dollari intestato alla Bonlat, una delle nove finanziarie estere fantasma. Ma
Tuttavia i pm milanesi potevano indagare soltanto sui reati finanziari (aggiotaggio, falsa revisione, false comunicazioni alla Consob), così per la parte penale (bancarotta fraudolenta, falso in bilancio, associazione a delinquere) intervenne
Il crac Parmalat si poteva evitare Due anni prima
articolo di Stefano Zurlo – giovedì 20 dicembre 2007, 07:00
da Milano
All’inizio del 2002,
La verifica viene effettuata fra il gennaio e il marzo 2002 presso
Dell’operazione però non c’è traccia né nei libri sociali né nei bilanci delle società. In verità nelle carte Parmatour
Il 6 maggio,
In poche parole, nessuno compie la più elementare delle verifiche: stabilire se quei miliardi siano effettivamente usciti dalle casse di Parmalat. Non succede nulla di nulla. Nemmeno in Procura: il Pm non informa, a quanto risulta, né
A Natale 2003 finalmente lo scandalo esplode: nel cratere sono spariti 14,4 miliardi di euro, il più grave disastro della storia finanziaria italiana. Per migliaia di risparmiatori è troppo tardi. Il 28 dicembre Silvia Cavallari e la collega Antonella Ioffredi corrono a San Vittore. Qui Calisto Tanzi ammette: «È vero che