LA CRISI: ULTIMA SPIAGGIA? MA NO! di G. La Grassa

Questa crisi di governo ha messo in luce l’ormai quasi irrimediabile dissesto della politica e delle classi dirigenti economiche italiane. Così come la prossima crisi detta finanziaria, ma assai più complessa di così, metterà in luce, quale che sarà la sua gravità (su cui è inutile fare previsioni, assai più incerte di quelle del tempo che farà fra un mese), cambiamenti profondi nell’articolazione reciproca delle molte formazioni particolari componenti quella mondiale.

Si sta rivelando a chiare lettere – ma non viene egualmente capito dalla maggioranza della popolazione fuorviata da organi di informazione truffaldini – qual è l’origine profonda della malattia che ha aggredito il paese (dalla crisi del 1992-93), avviandolo verso gli ultimi gradini nella classifica dei paesi dell’area a capitalismo avanzato; una classifica che non può limitarsi ai dati relativi al Pil, in assoluto o pro-capite. Il tessuto maggiormente malato è quello costituito dai gruppi di comando dell’economia e della finanza, che hanno assunto un eccessivo potere e che fanno e disfano – ovviamente da dietro le quinte – gli assetti istituzionali e politici del paese, essendo così lasciati liberi di rapinare le risorse prodotte dal complesso del popolo lavoratore (dipendente e “autonomo”). Nello stesso tempo l’apparato amministrativo pubblico viene dissestato sempre più, nominando con modalità di perverso clientelismo vertici dirigenti, ampiamente retribuiti e assolutamente incapaci (il paradigma è rappresentato dalle FFSS o Trenitalia che dir si voglia, i cui servizi sono in degrado esponenziale), e assumendo una pletora di impiegati che fanno poco o nulla; non certo per loro incapacità congenita bensì per l’abnorme politicizzazione della dirigenza inetta. Anche in tal caso esiste un paradigma: le migliaia di netturbini inutilizzati a Napoli, che chiedono reiteratamente di poter lavorare, mentre sono messe in piedi altre società, a metà comunali e a metà private, con nuovi lavoratori assunti, fondi ricevuti dalla UE, ecc. ecc. (non ci consta che su questa denuncia, esposta apertamente in TV sia a Report che a Striscia la notizia dalle organizzazioni sindacali dei netturbini in questione, lasciati a casa ma pagati a stipendio pieno, si siano aperte inchieste da parte di una magistratura assai pronta quando si tratta di raccomandazione di vallette, di impedire indagini di qualche magistrato su certi personaggi di sinistra, ecc.).

Quale sia il riferimento politico privilegiato dei vertici delle suddette classi dirigenti economiche, lo si è capito bene dal manifesto per la governabilità siglato dai vertici di varie Conf  (industria, commercio, artigianato, Legacoop, ecc.), consultate da Marini quasi si trattasse di organismi rappresentati in Parlamento; anche da questo si vede l’ormai profonda crisi della “democrazia” elettoralistica di cui le classi dominanti si sciacquano la bocca. Ci si spieghi la differenza rispetto alla cosiddetta antidemocratica Russia di Putin. C’è certo una differenza: a favore però di quel paese, diretto da una élite che lo sta conducendo alla rinascita, al risanamento, mettendo a cuccia (magari talvolta in prigione o peggio) gli oligarchi eltsiniani, le cui devastazioni e “rapine” ai danni del popolo sono apparse evidenti salvo che ai loro equivalenti italiani, i quali invece insistono nella loro sciagurata opera di “razzia” (per riassestare bilanci truccati, ormai all’osso), manovrando le loro servili ramificazioni in politica. Se in queste manovre serve il Parlamento (“democraticamente” eletto), bene; altrimenti si cercano disperatamente altre soluzioni. Adesso, si è però arrivati alla frutta e anche questi vertici confederali, nella persona del loro rappresentante più “in vista”, paiono ammainare la bandiera del “governo di transizione per le riforme” (non ci si fidi, tuttavia, più di tanto giacché certi ambienti cambiano parere come d’abito).

Ormai non può esservi dubbio che il centrosinistra rappresenti la “migliore accolita” di incompetenti e servi per i suddetti vertici confederali (in combutta con quegli apparati burocratici di Stato che sono i cosiddetti “sindacati dei lavoratori”). Il disastro combinato dal governo Prodi – in gran parte ancora nascosto dalla Rai e dai principali giornali in mano ai parassiti finanziario-industriali – non è in fondo “merito” proprio, bensì provocato per favorire la già detta rapina o razzia. L’Italia è stata, dalla crisi di “mani pulite” (prevalentemente un’operazione di potere) fino ad oggi (ma certe losche manovre non sono ancora alla fine), l’ultimo lembo del “socialismo reale”, mentre il vecchio “socialismo”, almeno nei suoi principali paesi (Russia e Cina; ma anche in alcuni minori come il Vietnam, per non parlare di quelli dell’Europa orientale), ha ormai imboccato una ben diversa via di sviluppo (accelerato).

Quando parlo di “socialismo reale”, so bene che esistono differenze tra l’Urss (e i paesi “socialisti” europei) e l’Italia odierna. La differenza consiste però essenzialmente nella verniciatura della proprietà: “pubblica” laggiù, “privata” da noi. Per il resto, in entrambi i casi vi è stato (e in Italia vi è ancora) un blocco di potere costituito da grandi concentrazioni economiche (supportate verticisticamente e autoritariamente dalla politica), del tutto inefficienti e parassitarie, e da sindacati dei lavoratori, anch’essi verticistici e autoritari, che mantenevano (e in Italia ancora mantengono) i loro rappresentati a livelli salariali minimi (perché tutto il “di più” era, ed è, scremato per la “maggior gloria” dei gruppetti dirigenti delle suddette concentrazioni), ottenendo in cambio condizioni di lavoro basate sul ritardo tecnologico, sulla scarsa organizzazione e l’inefficiente direzione del lavoro, sulla bassa produttività dello stesso, ecc.; tutti fenomeni che hanno provocato il crollo del “socialismo reale” e ormai avvicinano anche il nostro crollo. Logicamente, poiché in quei paesi tutto era “pubblico”, l’inefficienza lavorativa e l’infima produttività erano generali; qui da noi riguardano soprattutto il settore “pubblico” (amministrazioni statali, degli enti locali, ecc.), mentre i lavoratori delle imprese industriali e finanziarie “private” non hanno nemmeno questo “vantaggio”.

 

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Il problema principale, al momento, è il malcontento pressoché generale, che si trasforma però in semplice mugugno senza quegli effetti dirompenti ormai necessari per uscire dal “bagnomaria”. La base delle conf (industriali, commerciali, ecc.) è abbastanza evidentemente in contrasto con i suoi vertici – ormai adusi all’inefficienza e parassitismo della politica, di cui si servono a man bassa – ma continua a farsi rappresentare da queste bande “chicaghesi”. I sindacati “ufficiali” sono costituiti in gran parte da pensionati (Cgil e Cisl un po’ oltre il 50% degli iscritti; la Uil ben più di un terzo), eppure tutti continuano a fingere che essi rappresentino il lavoro salariato (nelle sue fasce più basse ormai al livello “di sussistenza”, in relazione al tenore di vita medio in auge nei paesi del capitalismo avanzato). Manca una “ribellione” secca e generalizzata, anche soltanto indirizzata a sbaraccare questi organismi confederali inefficienti, burocratici, che ormai rappresentano un gravissimo impedimento allo sviluppo del paese.

D’altronde, i pochi settori di punta della nostra industria non possono svolgere fino in fondo una funzione positiva per il sistema-paese nel suo complesso, poiché tale funzione non è certo di tipo meramente economico; occorrono strategie adeguate – e ormai sul piano internazionale per imprese siffatte – che non possono essere attuate, se i loro vertici manageriali (e appunto strategici) si fanno invischiare nei giochi politici del grande capitale finanziario-industriale di tipo parassitario e succube di forti interessi stranieri (in ultima analisi, quelli statunitensi).

Inutile parlare di riforma elettorale, di nuova costituente, ecc. Sia chiaro; per me non “esiste già la Costituzione” come dice Bertinotti, e come ripetono incalliti formalisti e rimbambiti vecchiardi (alcuni in età nient’affatto veneranda!), che continuano a rompere le scatole con il fascismo e l’antifascismo e altre antinomie di epoche tramontate da un pezzo (veramente di un altro secolo). Tuttavia, prima di pensare alla forma, si guardi alla sostanza di una struttura economica piena di buchi più del gruviera; e si pensi a tutti i topi che la divorano e bucherellano sempre più. E’ necessaria la decisa volontà di eliminare l’ultimo lembo del “socialismo reale”, con un attacco inteso a sgominare le cosche confederali attuali. Occorre un nuovo blocco sociale, costituito dal lavoro dipendente (quello dei più giovani, in gran parte non sindacalizzati, che vanno sensibilizzati ai problemi di un nuovo sviluppo basato su cambiamenti strutturali profondi del sistema industriale-finanziario), dal lavoro “autonomo” (ai livelli medio-bassi di reddito) e da nuovi apparati dirigenti (strategici) delle industrie di punta, dei settori detti d’eccellenza, che devono ricevere il massimo di aiuto dall’apparato “pubblico”, tolto invece a quelli della finanza-industria parassitaria e subordinata a interessi altrui.

Tali aiuti non potranno però essere soltanto, né essenzialmente, economici; anche perché quel po’ di “grasso”, che eventualmente rimanga, dovrà servire principalmente all’ormai improrogabile aumento di gran parte dei salari, ridotti al minimo, e all’abbassamento della pressione fiscale soprattutto per i lavoratori autonomi degli strati medio-bassi. Il problema è eminentemente politico, sia in sede nazionale (dove si tratta di “ridurre alla ragione” le bande “chicaghesi”, e di togliere loro tutto ciò di cui si stanno appropriando con l’aiuto dei loro scherani politici) che internazionale, dove bisogna saper giostrare a tutto campo approfittando dell’ancora incerto avvio di una fase policentrica, e anzi favorendolo. Occorrerebbe però la nascita di una completamente diversa forza politica che proponesse la formazione del nuovo blocco sociale (per la quale è indispensabile un lasso di tempo non breve; ma se mai si comincia….). Tale blocco dovrebbe sorgere sulle (non dalle) macerie dell’attuale sinistra; che andrebbero sgombrate con puntigliosa accuratezza perché solo così si potrebbe far diventare moderno il nostro paese (altro che le fesserie sulla “postmodernità”, propalate da una massa di intellettuali chiacchieroni e futili).

Sarebbe quindi in definitiva un bene (anche se non affatto risolutivo in se stesso) se si andasse a nuove elezioni, con la speranza che sfocino in una débacle “storica” per questi reazionari e parassiti che si fingono “progressisti”. Sarebbe un gran passo in avanti se venisse prosciugata quella palude politica, che rappresenta ancora, al momento, il migliore terreno di insediamento per la finanza-industria divoratrice delle nostre risorse nonché serva dello straniero (quella dei vertici confederali). Sarebbe indispensabile, innanzitutto, abbattere la diga che blocca il flusso di un possibile nuovo sviluppo; tenendo certo conto della crisi in arrivo che comunque ne ritarderebbe l’avvio. Per tale motivo, perciò, ancora più urgente diventa affrettare i tempi della “ristrutturazione” politica.

Dopo il passaggio elettorale, si può contare sull’inefficienza delle “paralitiche” forze etichettate come destra. Non faranno nulla di buono; anch’esse sono alla ricerca del consenso della finanza-industria parassitaria e, quanto a servilismo nei confronti degli Usa (e del loro sicario Israele), non scherzano certamente. Comunque, andiamo per gradi: intanto “fuori dai piedi” questa marcia e corrotta sinistra (pur essa una mera etichetta ormai), erede dei peggiori misfatti di cui è punteggiata l’ormai troppo lunga storia di tale corrente politica. Nel frattempo, bisognerebbe iniziare a progettare, e non solo progettare – con difficoltà evidenti e con i (lunghi) tempi necessari – una nuova forza politica che la smetta di “masturbarsi” con le contraddizioni e gli antagonismi del passato, e guardi ad una rinascita indipendente del paese, certo inserito ormai nel contesto europeo, ma non semplicemente quello della UE, un organismo solo in grado di assecondare gli scopi della peggiore e più decrepita delle formazioni capitalistiche esistenti oggi nel globo. Per il momento, teniamo buoni questi propositi.