QUALCHE RIFLESSIONE SULLA SITUAZIONE POLITICA di G.P.

 

Inizia sin da subito la nostra campagna per l’astensionismo, proprio come facemmo due anni fa, quando apparve evidente che il centro-sinistra avrebbe vinto le elezioni (anche se all’epoca prevedemmo uno scarto ben maggiore di quello che poi si concretò) grazie all’appoggio dei poteri forti del piccolo establishment, riunito nel patto di sindacato della RCS, il quale emise, per bocca del suo direttore Mieli, un vero e proprio editto a favore di Prodi. Questa volta, invece, il nuovo partito di Berlusconi, il PD+L (dove L sta, non per libertà, come pretende il Cavaliere, ma per lavoratoriiiiii prrrr!!! proprio come nel film “i Vitelloni”!), restando così le cose, dovrebbe riuscire a superare di un buon 10% lo schieramento avversario, capitanato da Oba-Uolter l’afro-americano, il quale insiste con il “We Can” dimentico della preludente assonanza con Week-End (piccolo dettaglio che potrebbe indurre gli italiani di sinistra, delusi da Prodi, a recarsi al mare il 13 e il 14 Aprile). Del resto, con un futuro governo Berlusconi, appoggiato dalla piccola e media imprenditoria, è chiaro che la “garrota” dovrà necessariamente cingersi al collo del ceto salariato medio-basso, dopo la stretta prodiana sul lavoro autonomo e sulle PMI.

Nell’articolo di Emiliano Brancaccio, apparso sul quotidiano Liberazione del 10.02.08, intitolato “Quali sono le basi del dialogo tra Fi e Pd” vengono messi in evidenza questi punti e, soprattutto, le convergenze di interessi economici sulle quali si reggono le alleanze tra blocchi sociali e potentati finanziario-industriali, agenti alle spalle del centro-destra e del centro-sinistra.

Dice Brancaccio: “Nel corso di questi anni i gruppi capitalistici nazionali si sono divisi, al loro interno, sul piano delle simpatie e delle alleanze di palazzo. Semplificando al massimo, possiamo affermare che il governo Berlusconi è stato appoggiato in prevalenza dalla piccola imprenditoria, mentre la componente maggioritaria del governo Prodi è stata blandita e ha maggiormente interagito con i gruppi capitalistici più grandi e meglio integrati a livello europeo (più gli appartnik sindacali, attraverso i quali sono stati inglobati settori del lavoro assistito, salariati privilegiati e pensionati, in tale blocco di potere, G.P.)”. Si tratta delle stesse cose che noi sosteniamo ormai da tempo, anche se ricaviamo queste “equazioni” da valutazioni più politiche (con le quali siamo ugualmente addivenuti alle medesime conclusioni di Brancaccio circa l’assetto strutturale del nostro Sistema-Paese, schiacciato sui diktat della GF e dei suoi partner-padroni stranieri): “Al governo Prodi, e in particolare a una parte del Partito democratico che lo sosteneva, si sono invece molto avvicinati i grandi gruppi finanziari e industriali, non solo i pochi nazionali rimasti ma anche quelli europei e internazionali (con le merchant banks americane in primo luogo, G.P.). In situazioni normali il grande capitale, specialmente finanziario, non soffre di eccessivi problemi di liquidità. Esso quindi non reputa prioritaria una particolare repressione dei salari, né pretende un deficit pubblico che lo foraggi (questo è quello che accade, generalmente, nei paesi  geo/politicamente forti dove la finanza va in “guerra” con i suoi mezzi anche se, alla bisogna, viene sostenuta dal potere politico, G.P.). Anzi, come è noto in questi anni le oligarchie finanziarie hanno chiesto a gran voce un abbattimento del disavanzo statale, con un duplice scopo. In primo luogo la riduzione del disavanzo prosciuga le risorse liquide statali, e quindi rappresenta la condizione necessaria per una ondata ulteriore di privatizzazioni e di relativi affari. Inoltre, la medesima riduzione del deficit comprime la spesa interna, mette in crisi le imprese più piccole e marginali, e ne favorisce quindi la scomparsa oppure l’acquisizione da parte dei gruppi più forti (di qui la momentanea convergenza con i sindacati confederali che hanno perseguito lo stesso obiettivo, soprattutto contro il lavoro autonomo e le PMI, al fine di salvaguardare gli interessi della propria “committenza” di riferimento, G.P.). Trova così delle spiegazioni profonde, potremmo dire "di classe", la lotta accanita contro l’indebitamento pubblico che la componente maggioritaria del governo ha imposto in questi mesi all’ala sinistra della coalizione. Una lotta che ben poco aveva a che fare con l’abusata litania dei "conti in ordine" (abbiamo più volte ricordato, qui e altrove, che una crisi dei conti pubblici non viene da sé ma può soltanto scaturire da una crisi dei conti esteri) e che è pure costata carissima sul piano dei consensi”.

Diciamo che Brancaccio ci fornisce i “risvolti” (in termini di provvedimenti economici) conseguenti ad una serie di alleanze tra potentati finanziario-industriali e rappresentanze dei vari “ceti” sociali. Questa analisi è complementare a ciò che viene da noi sostenuto ponendo però un maggiore accento sull’ “azione politica” di tali gruppi dominanti, legati agli Usa, i quali stanno determinando una maggiore sudditanza del nostro sistema-paese nei confronti del potente alleato d’oltreoceano. Ovvero, determinate scelte politiche della classe dirigente italiana (artefice di una corruzione generalizzata e con il cervello completamente in pappa) si tengono su provvedimenti economici di un certo tipo che sono utili a salvare dal fallimento imprese della precedente rivoluzione industriale (come la Fiat) al prezzo di un accrescimento dello stato di dipendenza dell’Italia dai ben noti padroni stranieri. Dipendenza innanzitutto politica e, conseguentemente, anche economica. In sostanza, i nostri potentati industrial-decotti si trovano sostenuti, nella loro azione predatoria sul sistema-paese, dai gruppi dominanti americani i quali hanno tutto l’interesse ad approfondire la debolezza del Belpaese in questa particolare congiuntura (che poi corrisponde ad una fase molto incerta dal punto di vista geopolitico).

Oggi che il centro-sinistra è stato smascherato nei suoi intenti (attirando su di sè il malcontento generalizzato della popolazione) occorre rimescolare le carte e trovare altre vie praticabili per continuare nel sacco delle risorse nazionali. Secondo Brancaccio, la nuova situazione potrebbe risolversi con un accordo post-elettorale tra Berlusconi e Veltroni che camuffi, sotto specie di riforme bi-partizan degli assetti costituzionali e statali, “un patto "centrista eppure estremo", finalizzato ad una sintesi tra gli interessi finora contrastanti dei piccoli e dei grandi capitali”. Ipotesi plausibile (anche se potrebbe non essere necessario arrivare a tanto), ma che interrompe i piani originari della GF&ID sulla tosatura dei ceti medi e delle PMI, non portata a compimento dal centro-sinistra per la prematura caduta di Prodi. In pratica, ammorbidendo questa opzione si deve tornare obbligatoriamente a colpire i salariati. Questo rafforza l’esigenza di un accordo, più che tra PD e PDL, soprattutto tra GF&ID e Piccole e Medie imprese (a cominciare dall’assegnazione, come atto di buona volontà, della presidenza di Confindustria ad uomo di compromesso non direttamente legato a Montezemolo e soci).

In questo caso Berlusconi potrebbe benissimo operare con i suoi numeri senza commistioni con Veltroni, anche se la porta del dialogo sarà tenuta volutamente socchiusa, in virtù del fatto che il piccolo establishment continua a sostenere il PD, mentre non si fida completamente del Cavaliere. L’unica certezza è che questa nuova sintesi, come sostenuto da Brancaccio:“[…] si ripercuoterebbe negativamente sulle code politico-sociali delle due ex-coalizioni. Essa infatti ricadrebbe sulle spalle del Sud, dei beneficiari della spesa pubblica e più in generale della classe lavoratrice, la cui ulteriore spremitura si renderebbe indispensabile alla complicata alleanza inter-capitalistica”. Per questo, probabilmente, L’UDC (uno dei partiti della spesa pubblica) sta resistendo ai richiami del PDL, con Veltroni che, per le stesse ragioni, ha subito sbattuto la porta in faccia alla Cosa Rossa. Il giudizio dato da Brancaccio, a questo punto, è pienamente sottoscrivibile : “Insomma, l’intesa tra capitali sembra preludere ad un destino da "colonia", di etero-direzione capitalistica e di profondo arretramento economico e culturale del paese. Essa quindi appare fragile fin nelle premesse, e darebbe con buona probabilità esiti "emergenziali", per nulla stabilizzanti.”

Tuttavia, siamo in disaccordo con l’economista napoletano quando prospetta soluzioni che appaiono peggiori del male appena illustrato. Difatti, Brancaccio spera di risolvere la crisi della sinistra attraverso un “potenziamento delle proprietà e delle funzioni dello Stato, teso ad aggredire il vincolo del deficit estero senza passare per un attacco ai salari, alla spesa pubblica e ai diritti, e che rappresenti un’alternativa al processo di ulteriore indebolimento ed etero-direzione del capitale nazionale”. In verità, mai come in questo momento l’opzione da perseguire è strettamente politica, occorre cioè coagulare un blocco sociale alternativo (tra lavoro autonomo e settori salariati che sono al di fuori delle tutele sindacali, con l’obiettivo di costruire una Terza Forza Politica scevra dai condizionamenti e dai reciproci odi del passato) atto a mandare in frantumi gli specchi riflettenti costituiti da questa destra e da questa sinistra. Sullo Stato poi, le nostre convinzioni sono ben risapute da chi legge il blog e il sito. Continuare a perorare l’opzione statalista vuol dire mettersi (disarmati) direttamente nelle mani dell’organo che, massimamente, centralizza la coercizione sistemica.