CASINI VARI di G. P.

 

Casini ha, infine, sciolto le riserve e lo ha fatto con grande veemenza verbale. Ad un tratto Berlusconi è diventato uno che compra le persone (diciamo che, al massimo, la novità è tale solo per lui), un essere senza morale che avvelena le coscienze dei giovani con falsi modelli di rampantismo sociale del tipo arricchitevi senza afflizioni e datela pure, ma come contropartita per sfondare nel “velinaggio catodico”.

Casini sembra davvero un “sinistro” dei tempi migliori, una calcomania del girotondino Nanni Moretti, quello che in Berlusconi vedeva l’emblema di tutti i malanni della vecchia Italia, vittima del meretricio televisivo di mediaset e della deriva demagogica del sistema politico.

In Verità, al capo dell’UDC non erano date altre possibilità oltre quella di andare da solo nelle prossime elezioni, difatti la mossa anticipata di Fini – il quale, accordandosi per primo con Berlusconi, ha messo una seria ipoteca sul suo futuro alla guida del PDL (perché anche i migliori demoni, prima o poi, esauriscono lo zolfo con l’avanzare dell’età) – gli ha sbarrato la strada facendo sfumare le sue aspirazioni leaderistiche. Ormai, per Casini poteva profilarsi solo un ruolo da terzo incomodo tra i due compari e l’accordo incondizionato con il PDL non avrebbe fatto altro che confermare la sua resa a Fini, indubitabilmente il vero vincitore (seppure con in mano un assegno postdatato da poter incassare tra qualche anno) delle “grandi pulizie” nella ex Casa delle Libertà. L’ultima carta che Casini si giocava era quella di entrare nella coalizione mantenendo il suo simbolo, dissimulando un minimo di autonomia e potendo sfruttare la “vela grafica” dell’UDC per prendere il vento in poppa nella prossima tornata elettorale di aprile (che si annuncia favorevole alla destra). Ma è chiaro che Fini non avrebbe mai consentito tanta libertà d’azione dopo aver messo in discussione il suo partito, annunciando già di volerlo sciogliere per poter meglio incarnare, tra qualche anno, il ruolo di guida indiscussa dell’intero PDL.

Sull’altro fronte, intanto, l’assiologia veltroniana tiene fede alla base filosofica “maanchista” che ispira le scelte dell’ex sindaco de Roma. Il "colpo" di candidare l’operaio della Tyssen, scampato all’esplosione che ha ucciso altri suoi sette  compagni, al fianco di uno dei rappresentati dell’imprenditoria aristocratica del nord, tale Matteo Colaninno, riassume perfettamente l’ondeggiare di Veltroni un po’ di qua ma anche di là. Diciamo che Veltroni conosce bene i suoi polli, quel popolo di sinistra pronto a dimenticare qualsiasi nefandezza di fronte a gesti così magnanimi a favore della classe lavoratrice. Mi dispiace, ma quell’operaio della Tyssen sta prendendo una grossa cantonata e, se gli sta realmente a cuore la memoria dei suoi compagni, dovrebbe declinare quell’infido invito.

Adesso che Mosè-Veltroni ha dettato le tavole delle leggi, dodici punti programmatici per la salvezza del paese, il suo popolo può mettersi in marcia per riconquistare i molti scettici, perché, come Walter stesso ha detto, tra il PD e il PDL ci sono appena 6 punti di distacco che diventano 3 “in quanto ciò che togli all’avversario lo guadagni tu”. Ecco chi è Veltroni, un campione indiscusso dei “logaritmi gialli”.

Sembra quasi che questi due anni di governo Prodi non ci siano stati, che tutti gli sfaceli combinati da una coalizione a maggioranza di centro-sinistra siano accaduti sulla luna e per colpa di un gabinetto extra-terrestre. E’ questo l’effetto novità creato ad arte dal Pd, operando attraverso il disconoscimento di tutto ciò che le teste d’uovo dell’Ulivo avevano scritto nel programmone elettorale di Prodi, 280 pagine di marketing elettoralistico riproposto oggi in salsa americanista ed in versione abbreviata.

Dal sì al rifinanziamento delle missioni militari alla valorizzazione delle infrastrutture, dagli stimoli all’impresa alla riduzione delle tasse, dall’introduzione del salario minimo di 1000 euro ai precari agli investimenti sul lavoro delle donne.

Ce n’è davvero per tutti i gusti perché Veltroni è capace di accontentare tutti quanti: le imprese ma anche i lavoratori, la Confindustria ma anche i Sindacati, i precari ma anche i disoccupati, i magistrati ma anche i perseguitati dalla giustizia, gli uomini ma anche le donne, gli eterosessuali ma anche i gay, la Chiesa ma anche i laici.

Tutto ciò con il suo inconfondibile stile, quello dell’ “americano de Roma” raccontato magistralmente in un film di Alberto Sordi.

Ma quelle “zozzerie” all’americana Uolter le vuole rifilare al popolo italiano, condendole con un entusiasmo riformatore che convince solo chi non ha più palato e ha mandato in pensione il cervello. Gli italiani dovrebbero essere ancora inclini all’ amatriciana, almeno si spera.