I TRUCCHI DEL MESTIERE di G.P.

 

Il mio professore di statistica all’università ripeteva sempre, prima di rintronarci con le formule astruse (almeno per me) della disciplina da lui insegnata, che ciò che la statistica ci dice è importante ma ciò che non ci dice è assolutamente fondamentale. E difatti,  basta aprire i giornali di oggi per dargli ragione. Sulla maggior parte dei quotidiani nazionali campeggiano titoli cubitali da scoperta dell’America o da avvistamento UFO, circa l’inflazione galapponte.

Quest’ultima sarebbe al doppio rispetto al dato ufficiale. Quel 2,9%, tanto sbandierato da politici e illustri professoroni (impegnati quotidianamente a convincerci che restare nell’UE è un affare), è solo una media sotto la quale si nasconde una foresta di beni eterogenei che non dovrebbero essere conteggiati insieme.

In realtà, l’inflazione sui beni di prima necessità sarebbe al 4,9%, dico sarebbe perché, probabilmente, anche questo dato è stato preventivamente calmierato da mani compiacenti, come meglio si comprenderà nel prosieguo dell’articolo.

L’Istat, pungolato dall’Eurostat, ha introdotto un nuovo indice che conferma ciò che noi poveri mortali sappiamo da sempre a causa del nostro personalissimo indice chiamato "portafogli vuoto".

Molto più professionalmente l’Istat ha invece chiamato il suo indice “indice relativo ai prodotti ad alta frequenza d’acquisto”. In questo indice sono stati fatti rientrare beni come pane, pasta, latte, bevande alcoliche ed analcoliche, frutta, carne, pesce, affitti, ecc. ecc.

Insomma è bastato scorporare questi prodotti da quelli a frequenza d’acquisto media (abbigliamento, sevizi medici, trasporti, libri) o bassa (elettrodomestici, auto, servizi ospedalieri, tecnologia) per svelare l’inganno, un ubriacamento statistico che noi italiani abbiamo sempre percepito come falso e che, con grande ritardo, viene ora registrato anche dall’Istituto nazionale di statistica.

Scendendo più nel dettaglio si apprende che l’andamento inflattivo dei beni di prima necessità raggiunge picchi elevatissimi per i carburanti, vedi il diesel (+15,7%), o la benzina (+12,7%), o per prodotti alimentari indispensabili come il pane (+12,3%), la pasta (+10%), il latte (+8,7%). Vale a dire, siamo realmente alla frutta (+4,8%) e se non fossero stati inseriti in questo paniere anche i prodotti per la pulizia della casa (+1,8%) la media inflattiva sarebbe stata sensibilmente più alta.

La situazione è davvero grave, un’inflazione a questi livelli dimostra quanto il paese si sia sensibilmente impoverito in quanto con la stessa quantità di denaro possiamo acquistare molta meno roba di qualche anno fa. Questo perché mentre i prezzi salivano gli stipendi restavano al palo e gli adeguamenti dei redditi al costo della vita sono tutt’ora negati da una produttività che non cresce abbastanza. Eppure c’è qualcuno che continua ad arricchirsi mentre la maggioranza della gente arranca e non riesce a terminare la terza settimana (non parliamo poi della quarta) con gli stipendi che percepisce. Il fenomeno della polarizzazione della ricchezza (le famiglie ricche divengono ancora più abbienti mentre il numero dei poveri aumenta in progressione geometrica) conferma e approfondisce il gap tra strati sociali nonchè il costante impoverimento del ceto medio e di quello salariato. Anche secondo il Censis, negli ultimi anni è aumentato il grado di concentrazione della ricchezza e si sono acuite le distanze tra i piu’ agiati e i più poveri. Il 10% delle famiglie più ricche possiede quasi la meta’ dell’intero ammontare della ricchezza prodotta.

Se a ciò aggiungiamo la lentissima crescita del Pil (gli economisti chiamano, con una creatività verbale che non gli fa difetto, incremento un misero +0,7% di Prodotto Interno Lordo) che non si smuove più da cifre vicine allo "zero virgola", si comprende chiaramente in quale stato si trova ridotta la nostra economia. Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di una tendenza generale, che tutti i paesi dell’eurozona sono nelle stesse nostre condizioni, che la congiuntura è poco favorevole a causa della crisi subprime e dell’incremento del prezzo del petrolio (come ha detto, per esempio, quello spudorato succhiatore di fondi pubblici di Montezemolo). Si e no. Innanzitutto, tra i paesi europei cresciamo visibilmente meno degli altri con prospettive di ripresa davvero infime (nei primi tre mesi del 2008 uno striminzito +0,1% di PIL), in secondo luogo, la politica economica italiana continua a deprimere i settori innovativi distraendo maggiori risorse verso imprese decotte che agiscono in mercati saturi, laddove migliorare le performance è quasi impossibile.

Di fronte a tutto questo, il direttore centrale statistiche sui prezzi dell’Istat sostiene che loro non hanno mai manipolato i dati. Eppure non ci voleva un pool di geni per  disaggregare i beni primari da tutti gli altri, nè, tanto meno, occorreva attendere i consigli dell’Eurostat per far funzionare il buon senso.

Peccato che con uno sforzo maggiore di serietà e trasparenza si potevano inserire nel paniere dei beni ad alta frequenza d’acquisto anche le tariffe elettriche. Allora davvero i dati sarebbero stati sconfortanti. Ma come si suol dire, cerchiamo di non rovinare troppo la festa ai rinnovatori del Pd e del Pdl che si stanno azzuffando in ogni luogo per conquistare il governo di questo povero paese.