IL FATTORE K E LA "RESISTIBILISSIMA" ASCESA DI D'ALEMA

a cura di G.P.

 

Forse a qualcuno saranno sfuggite le solite esternazioni di Cossiga apparse sul Corriere della Sera del 23 febbraio. Debordanti certamente, ma anche assolutamente veritiere. Massimo D’Alema giunse alla guida del secondo governo dell’era ulivista (dopo la spallata a Prodi da parte di Rifondazione) quasi con un compito preciso, scientemente sostenuto dai voti dell’UDR di Cossiga e con la preventiva approvazione degli alleati americani. Lo stesso Cossiga confessa di aver pensato subito al baffetto terribile nato a Roma ma regnante a Gallipoli, per dare una mano agli americani ed agli inglesi che si accingevano a bombardare la Serbia, in ossequio alle esigenze geostrategiche di Washington. Ricordo che in quel periodo abitavo ancora a Monopoli (la mia città natale), dove in fretta e furia fu posizionata una batteria di missili sulla costa a difesa di un grande deposito di carburanti, credo il più grande di tutta la Puglia se non dell’intero meridione. Il prezzo di quell’appoggio logistico (o almeno così fu presentato all’opinione pubblica nazionale dai mentitori di centro-sinistra) e poi dei raid aerei italiani sulla Serbia – oggi quella faccia di tolla di Prodi continua ripetere al governo Serbo che il governo italiano è amico, si vede che il professore bolognese non ha un alto concetto di amicizia se con la destra stringe la mano in segno di fratellanza mentre con la sinistra pugnala i serbi con la stessa foia di un serial killer –  D’Alema lo pagò volentieri per soddisfare la sua vanità personale, per riuscire ad essere annoverato tra i grandi statisti di questo pauvre pays. Le ambizioni di D’Alema sono sempre state pari solo alla sua inconsistenza politica e morale, ed ancora oggi, con la coerenza del servo fedele, dà continuità a quell’infausta professione di codinismo riconoscendo il Kosovo indipendente. Buona lettura

 

L’ INTERVISTA ALL’ EX PRESIDENTE COSSIGA

 

«Portai D’ Alema a Palazzo Chigi per fare la guerra»

 

Gli americani e gli inglesi avevano bisogno dell’ Italia come portaerei nel Mediterraneo per lanciare la guerra del Kosovo

 

ROMA – Presidente Francesco Cossiga, senta: tornando alle cronache del 1998, verrebbe da dire che se il Kosovo è riuscito a proclamare la sua indipendenza, un po’ del merito è anche suo… «Lei vuol fare della dietrologia, se ho ben capito…». Con il rispetto che si deve a un ex capo dello Stato, naturalmente. «Va bene, così mi piace. Allora: intanto, sgombriamo ogni dubbio. Per mandare Massimo D’ Alema a Palazzo Chigi, da dove poi ordinò gli attacchi aerei e terrestri contro i serbi, in Kosovo, non ci furono complotti, tra il medesimo D’ Alema, Franco Marini e il sottoscritto». No? «No. Posso raccontarle, tanto ormai è passato del tempo, che, caduto Prodi, per mano rifondarola, l’ ambasciatore britannico e il consigliere militare statunitense vennero da me, che all’ epoca guidavo un modesto partito di transizione…». L’ Udr. «Appunto. Ebbene, i due vennero da me e mi spiegarono lo scenario. Io li ascoltai e…». Sintesi del colloquio, signor Presidente? «La regione dei Balcani sta per esplodere, abbiamo bisogno dell’ Italia, la più efficiente portaerei del Mediterraneo». E lei? «Sapevo che erano venuti da me, anche perché io, con i voti del mio partitino, potevo sostituire Rifondazione. E decidere. Così, a quel punto, decisi pure che Massimo D’ Alema sarebbe stato il premier giusto. Perciò salii al Quirinale e, in un colloquio di due ore e mezza, lo spiegai al mio successore, Oscar Luigi Scalfaro. Adesso, lasciamo stare che quando uscii…». Cosa? «Ricorderà… certi giornali titolarono: "L’ ex capo dello Stato conferisce a D’ Alema l’ incarico…". Che, poi, tra l’ altro…». Che cosa? «Massimo neppure era convinto. Pensi che la mattina dopo, alle 7, suonano alla porta di casa. Chi era?». Escluderei D’ Alema… «Infatti. Era Marco Minniti. Che mi spiega le perplessità di Massimo. Ma io lo mando indietro dicendo che non devono esserci perplessità. Che Massimo, in un momento tanto delicato, avrebbe saputo premere di certo i tasti giusti…». Infatti, poi, i piloti dei nostri caccia premettero quelli per sganciare le bombe… «I piloti della Marina, che si alzavano in volo dalla Garibaldi a bordo degli Harrier, si comportarono magnificamente. Come, d’ altronde, anche i nostri commando». I commando, scusi, dove? «In Kosovo…». Reparti speciali italiani si infiltrarono in Kosovo? «Esatto. E in divisa da combattimento, ovviamente. Altrimenti, in caso di cattura, avrebbero rischiato d’ essere fucilati». Intanto, Armando Cossutta, che pure con il Pdci stava nella coalizione di governo, andava però a trattare con Milosevic… «Guardi, io temo che, ancora oggi, la Sinistra Arcobaleno e pure la Lega di Bossi subiscono la suggestione di una Serbia forte». Serbia forte, come la vorrebbero i nazionalisti in rivolta… «Ma D’ Alema è stato abile anche da ministro degli Esteri. Ha riconosciuto l’ indipendenza del Kosovo parlando, soprattutto, di ciò che d’ importante rappresenta la Serbia. E lì hanno capito. Non casualmente, a quanto mi risulta, la nostra ambasciata a Belgrado era l’ unica presidiata dall’ esercito locale… mentre le sedi diplomatiche di Usa e Croazia sono rimaste in balia dei rivoltosi». A Belgrado non sono pochi coloro che temono un colpo di Stato. «L’ importante è che la Russia smetta di premere sull’ acceleratore… parlano di uso della forza… ma non è che necessariamente debbano muovere i carri armati… basta che Mosca infiltri qualche truppa speciale, ben addestrata, tra i rivoltosi di Belgrado, e il disastro è compiuto». Lei è preoccupato, Presidente… «Vede, il Kosovo non poteva che essere dichiarato autonomo, perché certo non era immaginabile che tornasse sotto l’ autorità serba. Ora, naturalmente, deve avere la forza di camminare da solo e la Ue bene farebbe, per aiutarlo, a mettere sotto la propria protezione le enclavi serbe… Detto questo…». Lei è sempre puntualmente informato dai nostri servizi di intelligence: i nostri militari schierati, rischiano? «Sa, lì, a differenza che in Afghanistan, almeno da una parte della popolazione sono considerati davvero "Forza di pace"… ma io, come dire? consiglierei ai nostri ragazzi di tenere il dito pronto sul grilletto…».

(23 febbraio 2008) – Corriere della Sera