I RAPPORTI ITALIA-RUSSIA di F. D’Attanasio
Il supplemento economico-finanziario Affari & Finanza di
Ma l’ambasciatore americano in Italia, Ronald Spogli, a detta di Greco, in privato non perderebbe occasione per muovere dure critiche alle politiche di approvvigionamento italiane; sotto l’occhio del ciclone ci sarebbe proprio quel mega progetto chiamato South Stream, una imponente condotta del valore di 14 miliardi di dollari, che passando sotto il Mar Nero e scavalcando tutti i paesi allineati degli USA, porterà gas russo direttamente in Europa, e l’Eni parteciperà sia in fase di progettazione che di realizzazione.
E’ non è certo un caso se i russi, pochi giorni fa, abbiano offerto la presidenza del South Stream proprio a Romano Prodi (il quale ha comunque rifiutato), nonostante che lo stesso si sia opposto, durante la sua ultima presidenza, proprio alla volontà di Gazprom di diventare un fornitore finale di gas sul mercato italiano. Tre anni fa, sotto il governo Berlusconi, fu l’allora a.d. di Eni, Mincato, a siglare una bozza di intesa con il colosso energetico russo per “restituirle”, “nell’ambito della rinegoziazione dei decennali accordi di fornitura, 2 miliardi di metri cubi di gas che i russi potranno vendere direttamente in Italia.” Ma nell’affare entra a far parte anche un certo Bruno Mentasti, amico intimo di Berlusconi, cosicché Mincato fa un passo indietro e cerca di ostacolare il progetto. Il governo Berlusconi allora decide di sostituirlo con Scaroni che inizialmente dà il via libera all’accordo. Ma saranno l’Antitrust e il colleggio sindacale dell’Eni a far saltare l’accordo; fatto sta che però Gazprom non molla e ritorna all’attacco tentando nuovi negoziati. Nel frattempo cambia il governo, e nonostante Prodi ed i suoi più stretti collaboratori non abbiano nessuna intenzione di favorire gli interessi berlusconiani, i russi riescono, dopo altri sei mesi, a raggiungere un accordo sulle forniture: i miliardi di metri cubi che Gazprom può vendere direttamente in Italia intanto sono saliti a tre, ma sarà costretta a venderla da sola. Prodi però ha modo di farsi perdonare lo sgarbo. Il tutto è legato alla questione del colosso energetico russo Yukos, il cui capo viene fatto arrestare nel 2003 (apprendo da altre fonti che il motivo dell’arresto di quest’ultimo risiederebbe nel fatto che stesse intavolando delle trattative segrete con l’americana ExxonMobil per venderle la maggioranza della società); il potere politico russo si adopera per favorire gli operatori italiani, cosicché il consorzio EniNeftegaz (60% Eni, 40% Enel) con la benedizione di Prodi e del ministro degli esteri D’Alema, partecipa all’asta e rileva attività Yukos per 5,8 miliardi di dollari. Ma i russi, interessati come sono alla partnership con gli italiani, intervengono addirittura, seppur formalmente estranei alla questione, nel ridurre le pretese del governo del Kashagan in merito allo sfruttamento di un ingente giacimento petrolifero ad opera di un consorzio guidato inizialmente dall’Eni: la società italiana perderà comunque la guida del consorzio, ma sarebbe potuta andare peggio se fosse mancata appunto l’intermediazione della Russia.
L’altro articolo a firma di Leonardo Coen invece mette a fuoco altre rilevanti cooperazioni fra i due paesi, ma questa volta di carattere prevalentemente industriale. “
L’autore quindi passa in rassegna alcune di queste sinergie industriali;
In definitiva l’impressione è che tutto ciò sia più il risultato dell’intraprendenza della classe dirigente politica e dei più importanti gruppi economici russi che dei corrispettivi italiani, certo nel campo dell’energia Eni è un colosso che nel suo settore teme pochi rivali (soprattutto la sua controllata Saipem, specializzata nella messa in opera delle condutture, è leader mondiale indiscussa) ed è quindi in grado di far sentire il suo peso in maniera determinante anche quando si tratta con i russi; ma in relazione agli altri settori (industriali e non meramente energetici) altresì viene quasi da pensare che l’Italia stia, diciamo per avviarsi, a diventare una sorta di pedina al servizio delle mire imperialistiche russe. Gli Stati Uniti non stanno certo a guardare, le pressioni già sono in atto e sappiamo quanto l’intero nostro ceto politico sia permeabile alle “richieste” provenienti dall’altra parte dell’Atlantico; difficile fare previsioni sugli sviluppi futuri, ma è comunque certo che la presa degli States sul nostro paese è ancora ben salda (soprattutto tramite gli apparati finanziari e appunto politici completamente proni) e per il momento, considerando un arco temporale di qualche anno, la situazione da questo punto di vista sembra non debba subire particolari scossoni.
7 Maggio