UNA SOCIETA' MALATA di G. La Grassa
1. Intendiamoci bene: non credo che la luna di miele del centrodestra potrà durare troppo a lungo. Sia chiaro che quelle che esprimerò qui di seguito sono tutte convinzioni ipotetiche, fondate su segnali dai quali costruisco certi percorsi razionali; non solo, però, gli eventi concreti non sono sempre tali, soprattutto io non possiedo la sfera di cristallo, non ho rapporti privilegiati con ambienti politici importanti e servizi segreti, quindi penso di star già facendo troppo rispetto ai banali ripetitori di luoghi comuni semplicemente uditi in Tv, nei media, nei discorsi della “ggente”.
Esistono nel centrodestra più atteggiamenti anche contraddittorî, sensibilità diverse di fronte ai problemi che comunque interessano la cosiddetta opinione pubblica (generalmente assai superficiale nei suoi stati d’animo), ma che non hanno autentica valenza strategica, soprattutto in merito ad un minimo di autonomia del paese rispetto alla UE e, ancor più, agli Usa. Berlusconi, detto “affettuosamente”, mi sembra un po’ “pirla”, non mi sembra avere i “cosiddetti”; assomiglia troppo ad un flaccido democristiano di un tempo, di quelli che navigavano magari con furbizia ma a vista. I tempi sono oggi ancor più duri, e sembra si vadano indurendo, non credo ci siano margini per mediazioni lunghe e complesse.
Uno dei primi nodi che dovrebbe arrivare al pettine sembra quello dell’Alitalia. Finora, siamo giunti, con difficoltà, a capire che la vendita ad Air France era un’autentica svendita – con perdita di posti di lavoro assai superiore ai 2000 dichiarati e con il drastico ridimensionamento di Malpensa – voluta dal capo del governo precedente e dai suoi ministri economici. Tenendo conto del sempre discusso legame tra Prodi e Bazoli (Intesa), ci si è ingannati in merito alla vicenda poiché la banca in questione sembrava essersi schierata dietro ad AirOne per l’acquisizione della nostra compagnia di bandiera. Purtroppo, è impossibile tenere conto di tutti i giochi e controgiochi – di copertura, inganno e sviamento dell’attenzione – che sussistono in ogni campo della politica come dell’economia. L’operazione era comunque già iniziata con una finta gara d’appalto, che costrinse al ritiro tutti salvo i francesi; nulla di più facile che anche Intesa, con il suo “convinto” appoggio ad AirOne, facesse parte del gioco per gettare fumo negli occhi. Quindi, facciamo adesso molta attenzione a non trarre altre sballate conclusioni dal fatto che la stessa grande banca è stata nominata advisor (“consigliera” e manovratrice) dal nuovo Governo sempre per Alitalia (su una cosa scommetterei: che Bazoli e Passera non sono diventati improvvisamente amici di Berlusconi, tanto più che stanno insistendo sul disastro che investe la compagnia aerea, e magari porteranno quindi acqua alla sua svendita o al fallimento in quanto preludio alla stessa). D’altronde, nessuno sembra nemmeno vedere questa famosa “cordata italiana”, composta qualche tempo fa sulla carta da tanti volonterosi modesti sottoscrittori che, tutti insieme, non davano garanzie di un qualsiasi piano industriale di rilancio, oltre a mettere insieme un capitale di (ri)avvio nemmeno troppo consistente.
Ho citato Alitalia, ma non mi sembra che per ora si vada molto oltre le parole (certo più energiche del solito, ma al momento semplicemente tali) su sicurezza, spazzatura napoletana, riforma efficientistica della pubblica amministrazione, lentezza dei processi e “mala giustizia”, soprattutto fabbisogno energetico soddisfatto con la ripresa del nucleare e la costruzione di almeno altri 4-5 rigassificatori, mentre si sostiene di voler ridiscutere gli accordi di Kyoto sulla emissione di CO2. Ben si sa che non sono un patito di dati; se ne possono citare comunque due, diffusi dalla Confartigianato in merito al solo settore delle PMI (piccole e medie imprese), dati che potrebbero forse essere significativi. Il deficit nel settore trasporto (riferendosi solo alla somma di quelli di Alitalia, Trenitalia e Anas) viaggia a 7,6 milioni di euro al giorno, con una velocità di 300.000 all’ora; solo la velocità della luce è superiore poiché viaggia a 300.000 al secondo (ma non si tratta di euro). La “mala giustizia” invece costerebbe alle PMI 2,3 miliardi l’anno.
Detto tutto questo, siamo ancora lontani dai problemi centrali relativi alle strategie del sistema-Italia. E’ necessario decidere come attuarle: con quali settori portanti e di punta, con quale tipo di autonomia rispetto alle politiche di altri paesi (in particolare di quello oggi predominante, e probabilmente ancora a lungo), con quale articolazione tra capitale industriale e finanziario e con quale autonomia della finanza rispetto al complesso politico-finanziario statunitense (un’autonomia oggi carente, di tipo vagamente “weimariano”). Infine, perfino i neoliberisti sanno che occorre una serie di regole per il funzionamento dell’economia detta di mercato; se poi si abbandonasse l’economicismo, tipico sia dei liberali che dei “marxisti della Cattedra”, passando per tutte le sfumature intermedie delle varie scuole economiche (le scienze “sociali” più arretrate che ci siano), ci si renderebbe conto che le regole, se non ci si ferma al banale formalismo giuridico, riguardano in modo particolare il conflitto tra gruppi dominanti (all’interno di un paese e nei suoi rapporti internazionali); ed è qui che si deve sfuggire ad una serie di false contrapposizioni tra settore “pubblico” e “privato”, l’elemento di travisamento ideologico più pericoloso che sia in circolazione da un secolo o giù di lì.
2. Fatte le debite premesse, è avvilente constatare che, per l’ennesima volta, dopo un breve periodo di (quasi) saggio ripensamento, il centrosinistra – pungolato come al solito dalla sinistra “radicale”, la più dissennata che esista – ha ripreso alla grande a puntare tutte le sue carte sulla demonizzazione di un uomo, il solito “uomo nero”, il fascista mascherato. D’altra parte, il difetto “era nel manico”; il fatto di aver stilato il solo accordo elettorale di schieramento con un partito ottusamente e torbidamente forcaiolo come quello di Di Pietro, era estremamente indicativo; e sono soddisfatto di aver sostenuto, fin da subito, che una certa moderazione del Pd, rispetto alla sua precedente rumorosa e sciocca polemica, era puramente tattica, riguardava il tentativo di differenziarsi un po’ da quello schieramento che aveva dato vita al Governo più disastroso della storia d’Italia, onde tentare di portare a casa un risultato onorevole. Visto che così non è stato (e le elezioni successive a Roma e in Sicilia hanno dimostrato l’inanità del trucchetto tentato), si stanno seguendo alla grande quei disastrosi personaggi che, oltre al succitato magistrato simbolo della più forsennata operazione compiuta dalla magistratura in Italia (mani pulite), rispondono al nome di Scalfari, Travaglio, Furio Colombo, i politologi del Corriere, i girotondini, e compagnia cantando. Naturalmente, la sinistra radicale, cacciata con infamia dal Parlamento, è in fibrillazione perché l’odor delle polveri le fa credere di poter tornare sulla cresta dell’onda; sembra dunque vero che “gli Dei accecano chi vogliono perdere”.
Siamo proprio “alla frutta”. Non esiste ormai un solo cervello in questo schieramento; anche il famoso D’Alema si dimostra quello che è sempre stato: un nanerottolo politico, livoroso e presuntuoso, con una cultura d’accatto che è quella che ben ricordo quando, a Pisa negli anni del ’68 e seguenti e ancora ventenne, era con Mussi l’unico rimasto nella Fgci (una mossa certo furba, ma solo da politicante abituato alle manovrette di potere “piccolo piccolo”; nel 1973 era già segretario della Federazione piciista di quella città). Il problema non è che questa sinistra (in tutte le sue “correnti”) sia politicamente, e governativamente, tanto peggiore della destra; più o meno siamo lì. Tuttavia, è spaventoso il suo degrado culturale e politico; quando non si ha un programma che sia uno, e ci si limita a indicare una singola persona nemica quale cemento della propria, malferma, unità d’azione, è ovvio che si è superato ogni limite di decenza e inintelligenza: siamo alla “malattia” mentale che si prolunga – grazie ai “sinistri” ceti “piccolo-borghesi” dediti a lavori inutili, ceti caratterizzati da una melmosa semi-cultura semi-intellettualistica, mille volte peggiori di quelli con forse ancor minore cultura, ma che almeno contribuiscono a produrre e distribuire i beni necessari alla vita della popolazione – in una malattia della società.
Non si vede all’orizzonte nessuno in grado di guarirla, anche impugnando uno strumento adeguato a eseguire una profonda incisione con resezione del tessuto malato. Rischiamo così di morire, cioè di prolungare oltre ogni limite del sopportabile questa situazione di putrefazione e metastasi, per cui sarà poi dolorosissimo il processo di rinascita (se sarà ancora possibile). Nessuno voleva credermi anche solo un paio d’anni fa, quando affermavo che la sinistra – in tutti i suoi schieramenti, ma con modalità sempre più marce e putrefatte man mano che ci si sposta verso quelli apparentemente più “estremi” – era di gran lunga il pericolo peggiore e dunque da abbattere, da estirpare fino all’ultima radice, non certo da rifondare in un qualsiasi modo. Chi oggi non se n’è ancora accorto, non è più a questo punto recuperabile.
Non lo dicevo, sia chiaro, ritenendo lieve e insignificante l’ottuso e rozzo reazionarismo ancora anticomunista di molti destri; sono anzi dell’opinione che ad esso non vadano fatti sconti, che si debba rispondere a brutto muso e ribadire con fermezza che il vecchio comunismo non ha mai provocato i guasti, mai commesso gli orrendi crimini dei liberali, che lo sono stati solo a parole, ma hanno massacrato, sfruttato, commerciato in uomini, aggredito e occupato i territori altrui, devastandoli e facendo terra bruciata con bombardamenti selvaggi e assassini (anche nucleari; sono stati gli unici ad usare tale arma, sono quindi ipocriti oltre che banditi), ecc. Essi hanno insomma commesso i più orrendi “crimini contro l’Umanità”; per cui altro che Tribunale di Norimberga ci vorrebbe per loro!
Adesso però non sto parlando in generale; io mi riferisco, assai più modestamente, alla situazione in Italia e nell’attuale fase storica. E’ qui dove si sono prodotti i gravi guasti che hanno condotto alla metastasi cui ho accennato. Il Pci è passato alla storia come il miglior partito comunista d’occidente. Errore gravissimo; si è confusa una doppiezza tatticistica e l’adesione al democraticismo ipocrita, che nasconde la “migliore forma” (e la più sfruttatrice) delle varie “dittature borghesi” (come disse Lenin), con la via maestra, e popolare, per accedere pacificamente al “socialismo”. Il partito di massa è invece divenuto il principale canale dell’invasione del partito da parte di una marea di piccolo-borghesi opportunisti e clientelari; quei “piccolo-borghesi”, che il grande Pasolini aveva capito essere – proprio vedendo i loro esiti sessantotteschi, quindi quelli apparentemente più radicali – i più disgustosi individui che ci siano, vera “mutazione genetica” che del “genere” umano (se ne esiste uno) non hanno alcun carattere distintivo (e guai se egli fosse vissuto abbastanza per cogliere il ’77 e poi, sempre peggio, i decenni successivi).
In fondo, assai meno laidi sono stati i piccoli partiti comunisti europei (e dei paesi capitalistici avanzati). Non potevano compiere alcuna rivoluzione per non aver preso atto di quanto il sottoscritto va sostenendo da anni in merito all’inesistenza della Classe, predicata per oltre un secolo, ad onta dei suoi reiterati fallimenti, quale soggetto della rivoluzione con transizione (“il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente”) verso il socialismo e poi comunismo. Tuttavia tali partitini – pur sclerotizzandosi e riducendosi a chiesuole portatrici di una “religione” che nemmeno può promettere un’altra vita migliore, meno sofferente, di quella che saremo costretti per sempre a sopportare “quaggiù” – hanno a lungo mantenuto un carattere più popolare, più “sano”. Il Pci è invece gradatamente divenuto la fiera degli orrori del ceto medio di cui detto sopra: semi-incolto, semi-intellettuale, banalone, buonista da strapazzo, un indegno miscuglio di cattolicesimo minore e sbriciolato (privo di quella grandissima tensione morale che ebbero, appunto, i Pasolini, i Bresson con dietro Bernanos, ecc.), di radicalismo “di mero costume” altrettanto degenerato e vomitevole, di WWF per tutti i “diversi” da trattare apertamente come tali per poterli meglio inquadrare onde servirsene per creare un quadro sociale di “grande malattia” quasi terminale, di volgarità assoluta e spregevole, ecc. Berlusconi non è stato affatto la causa del decadere del gusto e del costume, è stato l’imprenditore che ne ha approfittato per guadagnarci sopra; ma il clima di incultura e di degenerazione morale, politica e di costume è “merito” della sinistra.
3. Tuttavia, il profondo degrado subito dalla società italiana, che assomiglia agli altri paesi della “civiltà occidentale” ma ne è anche abbastanza differente, è proprio dovuto a questa particolarità del Pci, che non è solo gradualmente divenuto piciista (a causa di quelle incomprensioni teoriche e di prassi da me più volte sottolineate, spesso assieme a Preve), ma si è trasformato in “sinistra”. Lo è però divenuto senza mai riuscire nemmeno ad accedere allo statuto realmente socialdemocratico, lo è divenuto trascinandosi dietro il vecchio ceto piccolo-borghese del partito di massa, con tutte le sue malformazioni in grado di fare emergere un quadro dirigente di laidi politicanti abituati solo alle manovre di Palazzo, privi di idee programmatiche (di cui il vecchio quadro piciista era almeno in possesso); e senza la concretezza pratica dell’imprenditore, che ha qualche inventività pur se non sempre esaltante (e il vecchio quadro piciista, amendoliano, di imprenditori ne ha prodotti; gli “ingraiani” sono stati il vero veicolo delle degenerazioni di cui sto parlando). Un gruppo di omuncoli politici dirigenti di una degenerazione difficilmente constatabile in altri paesi. Hanno trovato da vivere a sbafo di tutti noi con un bieco politicantismo; altrimenti chissà cosa sarebbero divenuti (ne ho una idea, ma preferisco non correre rischi di querela).
Qui si arriva ad un vero nodo essenziale, che questo blog (o meglio il sito) dovranno pur affrontare un giorno. Bisogna ricostruire veramente pezzi di storia nostra in questo dopoguerra; con una particolare attenzione a ciò che avvenne dopo il “crollo del muro” e quella sporca operazione denominata mani pulite, tutta di potere e di smantellamento di un vecchio blocco sociale per metterne in piedi uno molto più parassitario e succube degli Stati Uniti (al di là delle diverse accentuazioni di pura forma: più sincera e netta la subordinazione della destra, più ipocrita ma assai più pericolosa quella della sinistra, in tutte le sue varianti e mascherature; anche pacifiste, non violente, filoarabe e antiisraeliane, ecc.).
Oggi è passata nella coscienza delle persone, minimamente ragionanti, l’idea che il ceto politico odierno è nettamente peggiore di quello (democristo-socialista) di prima della svolta anni ’90. E’ tutta da rianalizzare questa nostra storia. Qui mi limito a poche battute (che tanto verranno fraintese dai mentecatti di sinistra; ma li disprezzo ormai talmente che me ne “sbatto”). Al di là del blocco sociale, costruito dalla DC negli anni precedenti il boom e di natura, quindi, ancora prevalentemente agraria e contadina (ivi compresi i contadini poveri in specie nelle regioni bianche), è esistito un collante molto importante per la formazione di un reale blocco di potere: l’industria detta di Stato, quella già creata con l’IRI dal fascismo e che la DC, per opera di alcuni geni imprenditoriali come Mattei, estese con la creazione dell’Eni e poi con la nazionalizzazione che condusse all’Enel (questa mossa richiederebbe accurata indagine, visto che coincise con l’avvento del Governo di centrosinistra e il definitivo “recupero” quindi dei socialisti, per sempre staccati dai comunisti, che da questo momento all’incirca accentueranno la loro trasformazione in piciisti, in quanto fase di transizione alla degenerazione di “sinistra”, iniziata con Berlinguer e acceleratasi dopo mani pulite; si rifletta a tutto questo).
Al di là dell’obbligatorietà dell’operazione, legata alla crisi del ’29 e ai fallimenti industrial-bancari dei primi anni trenta, l’operazione IRI fu, almeno oggettivamente, lungimirante e positiva; ma non perché ci fosse la “mano pubblica”, come pensano i “radicali” di sinistra ancora adesso. Politica ed economia si diedero la mano, ma quest’ultima mantenne una sua autonomia (Beneduce alla Banca d’Italia o Mattioli alla Commerciale non furono semplici esecutori del fascismo; un Mattei, ma anche altri dell’Iri, non seguirono pedissequamente le direttive dei Governi democristiani). L’importante è capire che comunque l’intreccio tra le due sfere rende solo più stretta la connessione tra due elementi chiave di ogni attività economica (nelle sue partizioni di finanziaria e produttiva): a) esiste una sorta di “fanteria” che avanza stabilendo postazioni e teste di ponte, fuor di metafora stabilisce aree di relazioni varie, magari mediante corruzione, creazione di clientele, favorendo (anche con assunzione di personale vario) correnti politiche e dunque di potere che possono essere utili in molti contesti, aggancia settori esteri dello stesso tipo che siano indispensabili alle strategie esterne, ecc.; b) poi arrivano le “batterie pesanti” e le “truppe corazzate”, cioè la vera e propria attività economica, più o meno efficace e ben condotta, quindi con effetti vari di maggiore o minor rafforzamento di questo o quel gruppo dominante attuante giuste o meno giuste strategie.
Non semplicemente in epoca capitalistica, ma in ogni epoca – soprattutto se una comunità non è chiusa nel suo particolare, se non è di mera sussistenza e autoconsumo – non vi è alcuno sviluppo, sociale non meno che economico, senza crescita di potenza, e non vi è crescita di potenza senza l’arrivo della “fanteria” e dei primi “commandos”. Il moralismo è o una iattura che provoca lo sprofondamento di una società che non sia di completa chiusura in se stessa e di semplice sussistenza; oppure un diverso mezzo, fondato sull’ipocrisia e la finzione, mediante il quale dati blocchi di gruppi dominanti ne fanno fuori altri (esattamente come accadde con mani pulite, operazione particolarmente vergognosa per il semplice motivo che ha consentito l’accesso al potere dei peggiori gruppi dominanti italiani, parassiti della più bell’acqua, come la ben nota GFeID).
Diciamo che, durante il fascismo, e con modalità diverse durante il governo diccì (poi allargato ai socialisti), il settore statale dell’economia – in quanto commistione di quest’ultima e della politica, con intreccio e relativa autonomia reciproca – ha funzionato sia con la “fanteria” che con le “batterie pesanti” e i “reparti corazzati”. Tuttavia, si può ammettere che in troppi casi soprattutto nel dopoguerra con la Dc – non tanto però con Eni, Enel, Ansaldo e altre imprese, mentre la situazione fu diversa e peggiore nel settore bancario – c’è stata una certa prevalenza del regime di corruttele e clientele, di assunzioni dovute a pressioni indebite, di finanziamenti a pioggia per varie attività anche criminali, ecc. Tuttavia, senza uno studio adeguato, indipendente dai giornali ed editoria finanziati da coloro che hanno buttato giù quel regime per erigerne un altro ancora peggiore, non sarà facile sceverare il grano dal loglio. Il ceto intellettual(oid)e degli ultimi decenni si è lasciato corrompere in una misura mai constatata prima nella nostra storia; quindi, dobbiamo andare cauti. Soprattutto, “uccidiamo” innanzitutto i “moralisti” (immorali quanti altri mai!).
4. Sembra che nessuno abbia notato una contraddizione. L’ondata “moralizzatrice” (immorale) dei primi anni novanta, condotta da una magistratura come punta di diamante di un nuovo blocco di potere che ricevette ampi aiuti d’oltreoceano, condusse al vertice della politica (cioè un subvertice al servizio della formatasi GFeID o piccolo establishment raggruppato in buona parte nella Rcs) la maggioranza dei piciisti, quelli ormai degenerati in sinistra (non socialdemocratica in senso proprio) di bassissimo livello etico e di scarsissime capacità politico-governative; rinnegati pronti ai voleri di chi li aveva portati al posto di Dc-Psi, salvandoli dal disastro generale del piciismo dopo il “crollo del muro”. Un personale talmente scadente che il sottoscritto, assieme a Preve, non ebbe difficoltà ad individuarlo come il protagonista di una netta degenerazione del nostro tessuto politico (ed economico), di cui entrambi scrivemmo alla fine del 1994 ne Il teatro dell’assurdo.
Incredibilmente (solo all’apparenza), furono proprio questi personaggi con poche qualità ad accettare la “grande” stagione delle privatizzazioni portate avanti da un sopravvalutato e osannato (et pour cause) “uomo di economia” quale Ciampi – arrivato poi, non so se per premio (non ho elementi in proposito), fino alla Presidenza della Repubblica – che svolse, per il nuovo blocco di potere, una funzione forse ancora più importante di quella posteriore dei Padoa-Schioppa e Visco (e ovviamente Prodi). Pensate: gli statalisti del Pci, quelli della superiorità del “pubblico” rispetto al “privato”, divennero garanti delle massicce privatizzazioni di quegli anni (e successivi). E i sinistri “radicali” – con continue convulsioni rifondative, via via sempre minori e più flebili, con continue resistenze alla rinuncia di puri nomi e simboli del passato, ormai da loro stessi infangati con le loro mene vergognose e opportuniste, sempre con in bocca la stessa stucchevole superiorità del “pubblico” (cito appena la finta fedeltà alla Classe perché provo troppo schifo pensando a questa loro ipocrisia abietta) – fecero sempre la pantomima pur di sostenere lo schieramento di centrosinistra, nel mentre si svendevano sempre più a questo nuovo blocco di potere. Insomma: una sinistra serva, squallida come mai è stata, nella sua lunga storia di degradazione, questa corrente della “democrazia borghese”. Non c’è tradimento all’epoca della Grande Guerra, non c’è pieno appoggio alla purulenta Repubblica di Weimar, che possa eguagliare la meschinità, la rozzezza e volgarità, la sozzura (ben esemplificata dalla spazzatura napoletana di cui è responsabile prima), di questa nostra sinistra, in tutti i suoi comparti (sto parlando sempre dell’Italia, in questa fase storica, non lo si dimentichi!).
Con le privatizzazioni, con lo smantellamento dell’industria e banche pubbliche – del tutto indispensabile al fine di disgregare il vecchio blocco di potere diccì-piessei – il concetto di “pubblico” ha subito un totale cambiamento. Prima, almeno in parte, significava intreccio tra politica ed economia per corruzione e clientelismo, ma anche come “fanteria” per le successive avanzate in direzione della produzione e dello sviluppo. Dopo mani pulite e l’arrivo del nuovo personale politico servo della GFeID, il “pubblico” ha significato solo corruzione e clientelismo per ceti improduttivi e inutili, saccheggiatori della ricchezza italiana, sostenitori del nuovo blocco di potere, che si è dimostrato tuttavia incapace di creare un autentico blocco sociale come, finalmente!, si comincia a notare perfino con lo scollamento dei ceti operai – per non parlare del lavoro autonomo – rispetto alla sinistra, a questi divoratori e dilapidatori di ricchezza nazionale.
Abbiamo avuto ancor più “nani e ballerine” che con Craxi; una raccolta di lavoratori (si fa per dire!) che vivono di finanziamento pubblico a pioggia; artistucoli da quattro soldi (ma pieni di sé), organizzatori di mostre e spettacoli di “varia (dis)umanità”, operatori turistici (dei tour dell’imbecillità e spesso dell’imbroglio), scrittorucoli e giornalistucoli, vecchi (e meno vecchi) bavosi che sputano sentenze di economia e politologia, antifascisti doc (con tanto di patentino di questa “nuova nobiltà”), insegnanti da cacciare dalle scuole, pubblicitari e designer delle più colossali fesserie, comici da strapazzo che fanno ridere solo i semicolti deficienti di sinistra. Intendiamoci: non è che assieme ai personaggi descritti negativamente, non ne esistano anche di valore e di tutto rispetto. Proprio per questo, si resta però allibiti perché nemmeno essi sembrano rendersi conto di quanto sono odiosi con le loro arie di superiorità; soprattutto non capiscono che si appropriano, della ricchezza nazionale, di quote nettamente superiori al loro apporto alla sua produzione. A difesa di questi personaggi – ripeto: molti di uno squallore cavernoso, una certa quota invece di persone di valore – sta una cintura protettiva costituita da apparati sindacali che vivono anch’essi di finanziamento pubblico, non certo dei versamenti dei loro associati, costituiti per il 50% di pensionati (da perdonare in toto) e da schiere sempre meno folte di rigurgiti di un passato che, come sempre accade, ha ancora i suoi nostalgici fan in coloro che non hanno capito nulla dello sprofondamento del vecchio, e realmente glorioso, comunismo e della sua attuale trasformazione in accolita di supini difensori della GFeID.
Questo “pubblico” – che non ha più nulla a che vedere con un minimo di funzione positiva per il nostro sviluppo, anzi mette alle sue ali dei pesi di piombo sempre crescenti – ha cercato di nobilitarsi grazie ad economisti comportatisi poco dignitosamente per puro interesse, che hanno tirato in ballo un keynesismo a mio avviso da barzelletta. Essi hanno sostenuto che la spesa pubblica – tesa solo ad alimentare partite improduttive (nel senso comune del termine) – è fondamentale per rilanciare lo sviluppo via incremento della domanda. Si vergognino questi “signori”; si servono di quello che dovrebbe pur essere un sapere per ingannare e “sgavazzare” a quattro palmenti, alle spalle della popolazione che comincia ad avere una serie di difficoltà. La spesa pubblica non deve più alimentare i “magnoni”; la loro domanda non ci interessa, staremmo molto meglio se iniziassero a morire di fame. La spesa pubblica deve servire alla produzione e ad una finanza a quest’ultima subordinata; e non a una produzione qualsiasi, ma a quella dei settori di punta, con la ricerca tecnico-scientifica che ne costituisce la base; e deve alimentare pure la “fanteria”, di cui già detto, in quanto truppa che serve ad ampliare il terreno di relazioni, anche internazionali, che ci servono; ecc. ecc.
Purtroppo, questa sinistra incapace, questi ceti che pesano sulla nostra ricchezza, questi sindacati puramente burocratici e grevi, questi similkeynesiani fautori della domanda da parte di divoratori e dilapidatori, sono molto utili alla nostra destra, che non brilla certo per idee e prospera per l’insofferenza crescente di quote non indifferenti di popolazione in preda a qualche difficoltà (ancora troppo poche). Essa si può permettere infatti di raccontare panzane sulla bontà della incosciente e irresponsabile “mano invisibile” del mercato, da lasciare perfettamente libero di devastare quanto non lo è ancora, in modo da permettere ad altri maneggioni (di una specie diversa ma non troppo) di arricchirsi senza eccessivamente affaticarsi; la destra sembra soprattutto interessata a sfruttare la superficiale popolarità di misure che sanino certi scempi commessi dal buonismo, lassismo e permissivismo degli stolti dell’altra parte. Non sarà però la sicurezza, il federalismo, la deregolamentazione, flessibilità e precarietà del lavoro, e via dicendo a risolvere qualcosa. O a impedire la crisi o almeno la stagnazione. Occorrono ben altre mosse realmente strategiche; economiche e politiche, e di politica anche internazionale, dimostrandosi meno succubi di fronte agli attuali predominanti.
5. Come blog e come ultimo pezzo prima di una breve vacanzina, basta e avanza. Comunque, bisogna che gli amici – e non solo quelli che qui scrivono, ma anche altri se hanno sensibilità per quanto sta avvenendo – si dimostrino pronti a intraprendere qualche studio più approfondito e avanzato sulla nostra storia (pur se fra noi magari non ce ne sono molti di versati in tale disciplina). E’ inutile fuggire, come fanno in tanti, verso il buonismo e la pelosa solidarietà nei confronti dei “diseredati”. Va bene i palestinesi, va bene la non (ormai si deve dire così) resistenza irachena, va bene l’agitazione per le aggressioni (al momento non ancora militari) all’Iran; ecc. ecc. Ma è ridicolo che non si faccia un bilancio della nostra storia.
Dove viviamo noi? In Medio Oriente? Nelle Repubbliche centroasiatiche o in Tibet o in Birmania? Stazioniamo tutto l’anno a Caracas o a Lima o Bogotà? Insomma, ci rifiutiamo di essere seri e di fare il nostro lavoro innanzitutto nel paese in cui viviamo e operiamo? Anche questo è proprio un atteggiamento “di sinistra”: sciocco e futile, tipico di chi ha voglia solo di fare casino, protestare, partecipare a marcette, dare volantini (certo “di fuoco”, con cui ci si “fa la birra”), mettersi in mostra come non violenti e pacifisti (quanta paura facciamo agli Usa con i “no al Dal Molin”!). Siamo letteralmente ridicoli. Tutto questo è appunto di sinistra. Lasciate stare il comunismo, che è stata una cosa molto seria del passato. E invece di blaterare su Gramsci, prendete esempio dalla sua capacità di fare i conti con l’intera storia e la cultura del nostro paese.