L'incidente di Tricastin: un nuovo psicodramma francese

 

Vi proponiamo questo interessante articolo sugli incidenti avvenuti nella centrale nucleare francese di Tricastin che tanto hanno fatto discutere negli ultimi giorni. Dal quadro tracciato in questo pezzo emerge il solito dramma catastrofista, senza alcuna ragion d’essere, fomentato dal partito transnazionale dell’apocalisse ambientalista, molto attivo anche in Francia.

L’articolo è a cura del collettivo  "Sauvons le climat” che, come si può leggere sul suo sito,  “ha per ambizione di fornire un’informazione scientificamente fondata e il più possibile oggettiva sul riscaldamento climatico ed i problemi energetici in generale, nonchè di facilitare gli scambi e le discussioni tra i suoi membri”.

Quindi non si tratta di "detrattori" dell’ambiente, pagati dalle  multinazionali del petrolio o dalle lobbies nucleari, ma di gente che usa il buon senso quando affronta problematiche così delicate e che, in ogni caso, non ci sta a farsi metabolizzare dal discorso ideologico dominante (quest’ultimo disponibile a dare spazio solo a chi è pronto a scommettere su un imminente disastro planetario).

Sarà forse giunto il momento di capire bene chi ha interesse a creare un clima da tragedia finale su tematiche così importanti come quelle ambientali?

Chi sta approfittando delle paure collettive?  Chi le nutre?

Gianni Petrosillo

 

Tribune libre (fonte voxnr.com, Trad. Di G.P.)

 

 

Riassumiamo: l’uranio naturale rigettato per errore nel Rodano rappresenta il 10% del volume d’uranio quotidiano trasportato dalla natura (e non dai rifiuti) in questo fiume. E’ questione di sola tossicità chimica dell’uranio. Nessun rischio radiologico.

A prescindere dal rigetto stesso, un individuo dovrebbe assorbire 10 litri d’acqua per raggiungere la soglia di concentrazione molto prudente definita dall’OMS. Soglia superata per molto tempo dai consumatori di Badoit o St Yorre senza danno per loro. Un incidente di livello 1 è per natura un non evento. Ma i controlli, la trasparenza e la sicurezza nel nucleare devono continuare ad essere a questo livello ineguagliato con le altre industrie. Su questo piano, la manipolazione dei fatti e la disinformazione realizzate attorno a questo non evento contribuiscono a mantenere molto alto il livello di sicurezza. “Salviamo il clima” non aveva giudicato utile prendere posizione sull’incidente di Tricastin che considerava di poca importanza dinanzi alle sfide poste dal cambiamento climatico. Ma quest’incidente ha dato luogo ad un vero psicodramma, conforme alla tradizione del nostro popolo che sembra adorare le discussioni che riguardano questioni di principio senza ripercussioni pratiche. Fa parte, senza dubbio, del suo charme… Questo psicodramma ha messo in scena i protagonisti ordinari dei dibattiti sul nucleare. Gli antinucleari, inquisitori moderni, accusano con motivi inutili, che gonfiano a piacere un incidente davanti alla timidezza delle autorità che si comportano come bambini presi con le mani nella marmellata. Le autorità di sicurezza si accontentano di un discorso tecnico che non precisa il significato di nozioni come le raccomandazioni dell’OMS e non fanno riferimento alle situazioni naturali. I mass media, certamente, fanno il loro miele di queste discussioni dove l’incompetenza è pari all’arroganza, dove gli slogan sostituiscono l’analisi. È anche, per loro, una tradizione estiva quella di chiosare sugli incidenti verificatisi negli stabilimenti nucleari, un completamento benvenuto durante il Tour de France per illuminare i lettori in un periodo di tregua politica estiva. Altri interessi, questa volta finanziari, con i quali giocano gli apprendisti stregoni, non cercano di approfittare delle difficoltà di AREVA?

In ogni caso, ci è sembrato utile e necessario mettere l’incidente di Tricastin in prospettiva spiegando ciò che significano, ad esempio, le raccomandazioni dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) sulle concentrazioni d’uranio nell’acqua potabile.

 

L’incidente di Tricastin non riguarda una centrale nucleare

 

Lo straripamento di un serbatoio che contiene una soluzione uranifera ha avuto luogo nel sito della società SOCATRI (SOCiété Auxiliaire du TRIcastin), filiale al 100% di EURODIF, a sua volta filiale di AREVA. Tra altre attività, SOCATRI tratta gli effluenti della fabbrica di separazione isotopica di Tricastin.

 

L’uranio è più un veleno chimico che radiologico

Per l’uranio l’OMS prende in considerazione una tossicità chimica renale ai fini della stima della concentrazione massima ammissibile. La debole quantità oltre alla quale i ratti hanno mostrato un deterioramento della funzione renale corrisponde ad un assorbimento quotidiano di 0,06 mg/kg. Per tenere conto delle incertezze (estrapolazione del caso del ratto al caso dell’uomo ed influenza delle differenze tra individui) l’OMS applica un fattore di riduzione di 100, ossia un assorbimento quotidiano tollerabile (TDI, Tolerable Daily Ingestion) inferiore a 0,0006 mg/kg per un uomo di 60kg, ossia ancora 0,036 mg d’uranio al giorno. Si ottiene così una concentrazione media annuale arrotondata a 0,015 mg/litri d’acqua, supponendo un consumo quotidiano di 2 L. Si tratta di una media annuale. Un superamento della norma è dunque possibile per un periodo limitato purché si ritorni al di sotto della media durante il resto dell’anno. Per la piccola storia, l’acqua di Badoit e di St Yorre flirtaient con una concentrazione di 0,1 mg per litro prima che gli operatori decidano di filtrarla su ossido di manganese per eliminare questa concentrazione diventata scomoda dopo la direttiva OMS… che ha fallito nel fare perdere a queste acque il loro statuto d’ acqua minerale. Nella pratica, secondo l’OMS, molte acque potabili hanno concentrazioni molte decine di volte superiori alla norma senza che i reni dei consumatori sembrino danneggiati. Prendendo in considerazione una TDI di 0,036 mg si vede che la quantità d’uranio che può essere assorbita annualmente da un individuo di 60 kg è più dei 13 mg contenuti in 730 litri d’acqua consumati (1). Si può anche calcolare la concentrazione che condurrebbe al limite d’irradiazione raccomandata dall’ OMS per una contaminazione all’ uranio naturale. Questo limite è di 0,1 mSv, all’anno, cioè il trentesimo dell’irradiazione naturale (4). Questa quantità sarebbe ottenuta dall’ingestione di 730 litri d’acqua all’anno (2 litri al giorno) aventi una concentrazione di 0,13 mg/l, quasi 10 volte superiore a quella che corrisponde alla tossicità renale. È per questo che quest’ultimo è stato preso in considerazione dall’OMS, in quanto mostra chiaramente che l’uranio è soprattutto un veleno chimico, i cui effetti sono abbastanza simili a quelli dell’arsenico

 

L’uranio nell’ambiente

 

L’uranio naturale è onnipresente nel nostro ambiente. Nel suolo, in media lo si trova in una concentrazione da 3 a 4 volte per milione (ppm) (5). Così, ad esempio, un giardino di 1000 m2 contiene circa, su un metro di spessore, 10 kg d’uranio. Queste concentrazioni variano enormemente e possono raggiungere 80 ppm in alcuni scisti e 350 ppm (6) (350 mg/kg, corrispondente a 8750 Bq) nei fosfati. Nell’acqua dolce la concentrazione è spesso dell’ordine del microgrammo/L, ma può raggiungere, in casi eccezionali, la decina di milligrammo per litro. Nell’acqua di mare la concentrazione d’uranio raggiunge i 3,3 microgrammei per litro: un km3 contiene dunque 3,3 tonnellate d’uranio. Si ritiene che l’oceano contenga 4 miliardi di tonnellate d’uranio che si rinnova al ritmo di 20000 tonnellate all’anno grazie al contributo dei corsi d’acqua. Il Rodano ne rigetta ogni anno circa 300 tonnellate in mare. Queste cifre permettono di relativizzare l’importanza del rigetto di 70 kg d’uranio a Tricastin: un decimo del flusso naturale quotidiano nel Rodano. Nelle ceneri di una centrale a carbone di una potenza di 1000 MW, che consuma più di 4 milioni di tonnellate di carbone all’anno si trovano 5 tonnellate d’uranio (e 13 tonnellate di torio). Infine, ripariamo in noi un centinaio di micro-grammi d’uranio, che possono anche superare le molte centinaia secondo la nostra alimentazione.

 

Le conseguenze sanitarie della fuga di Tricastin.

 

In occasione dell’incidente di Tricastin 30 tonnellate di una soluzione che contiene circa 70 chili d’uranio sono state rilasciate. La concentrazione d’uranio nella soluzione era dunque di 2 grammi per litro. Secondo la ASN, dopo lo straripamento le concentrazioni osservate erano 100 volte la norma dell’OMS, cioè circa 1,5 mg/l. Questo corrisponde ad una diluizione rapida con un fattore di circa 100. In altre parole, per raggiungere la quantità annuale (7) un individuo avrebbe dovuto bere una decina di litri di quest’acqua. Ed avrebbe avuto poco tempo per farlo poiché, sempre secondo la ASN, la concentrazione è ritornata normale in alcuni giorni. La IRSN non ha osservato alcun aumento significativo della concentrazione d’uranio nei pesci (circa 10 microgrammi/kg).

Conclusioni

In conclusione, sul piano sanitario ed ambientale la fuga di Tricastin è un inquinamento chimico, molto meno grave dello scarico di un serbatoio di gasolio in un corso d’acqua. È tuttavia la radioattività che è stata messa in evidenza dai mass media (il fatto che la quantità limite d’ingestione quotidiana corrisponda alla tossicità chimica non è stato mai sottolineato). Ovviamente, l’uranio fa paura mentre è un elemento onnipresente nel suolo, nell’acqua e nel nostro corpo. La radioattività fa paura a numerosi compatrioti ai quali non si è sufficientemente spiegato che siamo immersi in una radioattività naturale, che siamo anche fonti radioattive (7000 Becquerel per un individuo di 70 kg), ma che nessuno ha mai messo in evidenza il minimo effetto nocivo di questa radioattività naturale ambientale. Qui come altrove, è questione della quantità e del suo flusso. Ricordiamo, d’altronde, che la quantità guida fissata dall’OMS per la concentrazione di uranio nell’acqua è molto prudente e non si può applicare a situazioni eccezionali. Allora smettiamo di seminare una paura che impedisce di ragionare  con calma sulla questione del nucleare. Come è apparso evidente che gli effetti sulla salute di questo incidente restavano minimi, è la gestione dell’incidente che è stata criticata dagli antinucleari, fino a mettere in causa, senza vergogna (8), la credibilità dell’ASN e dell’IRSN e ad agitare lo spettro di una Chernobyl francese. È vero che l’incidente di Tricastin è consecutivo ad un errore umano o organizzativo. Occorre trarne gli insegnamenti. Ed è ciò che AREVA sembra fare. Invece, in generale, è illusorio pensare che gli errori umani e (o) le debolezze materiali possano essere completamente eliminati. Le politiche di sicurezza hanno, certamente, per oggetto di limitare la probabilità di tali disfunzioni, ma, soprattutto, di fare in modo che tali disfunzioni o anche molte simultanee, non possano condurre ad una catastrofe: è ciò che si chiama la difesa in profondità. La trasparenza dimostrata dagli operatori e dalle autorità è stata esemplare, in ogni caso migliore di quella che si osserva in altri settori economici, industriali o di servizi. Le reazioni estreme e faziose causate da questa pratica di trasparenza non esime dal chiedere precisazioni serie. Una trasparenza che, lungi da illuminare il pubblico, è l’occasione di un festival di argomentazioni menzognere ed in mala fede, un’occasione per spargere timori fantasmatici da parte di organizzazioni la cui sola ragion d’essere è di eliminare il nucleare indipendentemente dai miglioramenti che si possano apportare. Così facendo le organizzazioni antinucleari svalutano la pratica della trasparenza, impediscono che le questioni della sicurezza e dei rifiuti nucleari siano affrontate con calma e ponderazione, e con ciò compromettono la possibilità di trovare soluzioni ottimali a queste questioni.

 

notes

 

(1) Comme d’habitude, les travailleurs sont soumis à des doses beaucoup plus importantes que le public en général. Les métallurgistes de l’uranium ont payé un lourd tribu à la naissance de l’industrie nucléaire et c’est leur malheureuse expérience qui a permis de définir, dès 1950, la dose létale d’uranium naturel(2) : 2 mg/kg soit environ 140 mg pour un travailleur. Dans ce cas le décès est dû à une intoxication rénale aiguë. Pour la même incorporation et en supposant une période biologique(3) de l’uranium d’un an on calcule que la dose de radiations reçue serait de l’ordre de 40 mSv, soit une augmentation maximum de la probabilité de cancer de 2 pour mille. (voir Barillet : La Sécurité dans les laboratoires et les fabriques de produits chimiques minéraux, fasc.5 1950 Tiré à part de l’Industrie Chimique).

 

(2) Par ingestion concentrée dans le temps. La dose létale est plus élevée si l’ingestion a lieu sur une période longue.

 

(3) Durée moyenne de présence de l’uranium dans le corps avant son excrétion, essentiellement par voie urinaire

 

(4) Les plus récentes études montrent qu’une telle augmentation de la dose reçue naturellement n’a aucun effet négatif.

 

(5) IRSN : net-science.irsn.org – fichier pdf

 

(6) 350 mg/kg, correspondant à 8750 Bq. L’activité d’un gramme d’uranium naturel vaut 25000 Becquerels (Bq)dont 48,9% pour l’U238, 48,9% pour l’U234 et 2,2% pour l’U235

 

(7) Nous l’avons dit, pour des expositions limitées dans le temps le concept de dose limite moyenne ne s’applique pas. Citons le rapport de l’OMS Guidelines for Drinking-water Quality: “As TDIs are regarded as representing a tolerable intake for a lifetime, they are not so precise that they cannot be exceeded for short periods of time. Short-term exposure to levels exceeding the TDI is not a cause for concern, provided the individual’s intake averaged over longer periods of time does not appreciably exceed the level set.”

 

(8) Quelle est la leur ? Leurs grands « experts », pourtant présents sur place ont-ils sonné l’alarme avant les autorités compétentes ? Ne serait-il d’ailleurs pas temps qu’une autorité scientifique reconnue, éventuellement internationale comme l’Académie Européenne des Sciences, évalue les compétences réelles de ces experts auto-proclamés ?

 

Le collectif "Sauvons le climat " fondé en mai 2004, association loi 1901 depuis Décembre 2005, a pour ambition d’informer nos concitoyens, de manière indépendante de tout groupe de pression ou parti politique, sur les problèmes relatifs au réchauffement climatique et sur les solutions proposées pour le ralentir. Il est doté d’un comité scientifique, présidé par Michel Petit, ancien responsable du groupe français d’experts au GIEC. Son manifeste a été signé par plusieurs milliers de personnes.