A PROPOSITO DI FEDERIGO ENRIQUES

di Maria Turchetto

 

Enrico Bellone* ha fatto assai bene a ricordare su Le Scienze Federigo Enriques, la sua grandezza di matematico e il sistematico boicottaggio che subì da parte di "filosofi" (le virgolette sono d’obbligo) come Croce e Gentile, prima che le leggi razziali fasciste lo allontanassero definitivamente dall’università italiana.

Vorrei solo aggiungere che Enriques fu non soltanto un grande matematico (si occupò soprattutto della teoria delle superfici algebriche, nel solco aperto dalle geometrie non euclidee), ma anche e soprattutto un grande filosofo – questa volta senza virgolette, essendo il titolo pienamente meritato.  Naturalmente, sempre che per "filosofia" si intenda non un pomposo discorso sul Mondo ma, più correttamente, la teoria della conoscenza o gnoseologia (come dice Enriques) o (con un termine che si è affermato successivamente) epistemologia.

Enriques intervenne in un dibattito epistemologico molto alto, quello aperto dalle grandi novità scientifiche del ‘900, passato alla storia come "crisi dei fondamenti" o – col titolo della famosa opera di Husserl – "crisi delle scienze europee". Un dibattito che rimetteva in discussione i concetti di fatto, legge, causa; rivedeva i rapporti tra soggetto e oggetto della conoscenza; apriva la strada – criticando empirismo e realismo "ingenui" – a posizioni convenzionaliste e costruttiviste. Gli interlocutori di Enriques erano Le Roy, Poincaré, Duhem, Bergson (che dunque La Grassa non evoca affatto a vanvera), Rey.

La posizione di Enriques – che cerca una mediazione tra il "soggettivismo nominalista" di Le Roy, il logicismo formalista di Duhem e il "comodismo realista" di Poincaré[1] – è straordinariamente vicina a quella (successiva) di Gaston Bachelard, ed è stata definita "razionalismo sperimentale". Postula una dialettica tra il piano della ragione e il piano della realtà che si svolge nella dimensione della storia. Per Enriques il percorso conoscitivo parte sempre dal piano della ragione, operando selezioni (definendo oggetti) e formulando ipotesi (insiemi di relazioni), e si rivolge al piano della realtà (già carico di teorie). Il piano della realtà, tuttavia, non sempre restituisce alla ragione ciò che essa si aspetta, proprio perché la realtà è un tutto solidale, in quanto tale non esattamente coincidente con le selezioni e le costruzioni imposte dalla ragione: la realtà dà delle "sorprese". La ragione deve allora modificare in parte le proprie istanze e rivolgersi nuovamente alla realtà, che risponderà in modo diverso… La conoscenza della realtà non potrà dunque essere che approssimata e procedere per rettificazioni successive, comprensibili nella dimensione della storia delle scienze.

Nella sua opera epistemologica, Problemi della scienza (1906), Enriques si occupa soprattutto di matematica, logica e fisica, ma – portatore di una visione unitaria della conoscenza scientifica – considera anche alcuni problemi (suoi) contemporanei della chimica e della biologia e spinge il suo discorso fino alle scienze sociali e alla storia (in aperta polemica con il Croce de La storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte, saggio del 1983, sostenitore di un metodo "idiografico" estremo[2]).

Se la filosofia, come diceva Kant, è un "campo di battaglia" in cui si prende posizione, possiamo dire che Enriques "milita" sul fronte dell’epistemologia francese novecentesca, che dette alla "crisi delle scienze europee" una risposta originale, diversa sia da quella di Husserl che da quella del Neopositivismo logico, quest’ultimo di fatto prevalso come "filosofia della scienza" dominante nel secolo scorso. Oggi l’epistemologia francese comincia ad essere conosciuta anche in Italia, anche grazie (spero) al lavoro portato avanti dall’Associazione "louis Althusser" nella collana Epistemologia.

Il povero Croce, che non aveva imparato nemmeno le tabelline (e ne andava fiero), di tutto ciò non capiva una mazza. E nell’Italia di Croce e Gentile un personaggio come Federigo Enriques – oltre tutto orribilmente materialista – come poteva fare vita? Fu trattato veramente male, come opportunamente ricorda Bellone, e mi dispiace davvero. Ma ancor più mi dispiace che Croce e Gentile abbiano prodotto danni ulteriori e davvero indelebili nell’intera cultura italiana. Sacrificarono un personaggio di levatura internazionale a una "filosofia" (tra virgolette) provinciale da barzelletta. Di conseguenza, come scrive Bellone, "ancora oggi sono molti gli intellettuali che, nulla sapendo di matematica e biologia, discettano di essenza alienante della tecnica deduttiva, scrivono cose assurde sull’evoluzionismo e predicano contro una genetica che violerebbe il nocciolo stesso della persona umana". Ma fosse solo per Severino (con cui chiaramente ce l’ha Bellone), Galimberti o qualche altro "filosofo" (tra virgolette) di professione. Il problema vero è che il crocianesimo, permeando grazie al Ministro Gentile le istituzioni scolastiche e universitarie, ha inquinato il comune sentire, ha pervertito il sapere delle persone medio-colte, che ancor oggi vengono educate a pensare che soltanto nelle discipline umanistiche risiede il vero sapere e il profondo sentire, mentre la scienza non produce che vili tecniche, libri di ricette utili per costruire frullatori, computer o aspirine – e poi, visto che ormai non se ne capisce niente, tanto vale farne oggetto di diffidenza e disprezzo. Come potremo mai rimediare a tanto disastro?

 

Maria Turchetto

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[1] In un saggio pubblicato nel 1899, che scatenò una discussione decennale, il matematico Edouard Le Roy scriveva che "ciò che viene chiamato ordinariamente un fatto, non è la realtà come apparirebbe a un’intuizione immediata, ma un adattamento del reale agli interessi della pratica e alle esigenze della vita sociale". In sostanza, Le Roy considerava la conoscenza scientifica alla stregua di un linguaggio convenzionale. Poincaré – in Il valore della scienza (1905) – cercò di attenuare l’elemento di arbitrarietà presente nel convenzionalismo di Le Roy, introducendo una distinzione tra convenzioni comuni e convenzioni scientifiche: lo scienziato non è libero di astrarre completamente dalla realtà, perché è la realtà a imporgli le cose da conoscere e sulla realtà va verificata l’efficacia della conoscenza prodotta. "Il fatto scientifico – scrive Poincaré – è il fatto bruto tradotto in un linguaggio più comodo", dunque non una costruzione arbitraria, ma vincolata dalla contingenza del reale.

[2] Successivamente Croce cambierà idea. Si dice che "solo i cretini non cambiano mai idea", d’accordo: ma forse è il caso di segnalare che Croce fu un pensatore assai più ondivago, eclettico e contraddittorio di quanto generalmente si pensi.

 

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