SEMPRE QUALCHE SPRAZZO DI VERITA' di G. La Grassa
Leggo oggi un articolo di Alvi. Francamente non troppo interessante, almeno per i miei gusti e predisposizioni; soprattutto credo di non essere d’accordo quasi su nulla. Salvo che su due frasi, in cui ancora una volta trovo finalmente espresse quelle verità circa passate crisi, sulle quali – mi si permetta di farlo notare quando capita – insisto da anni e non da pochi giorni o mesi. Cito anche, come premessa, alcune righe che non apprezzo; metto in corsivo quelle che esprimono le mie stesse idee, tante volte ripetute da anni, ma purtroppo non nei media che contano.
“La crisi presente s’origina insomma da un difetto di responsabilità delle élites finanziarie e di una Washington che le ha lasciate fare. E ora è costretta a coprirle, stavolta coi soldi statali ed espedienti da socialismo reale dei ricchi, di dubbia efficacia [fin qui non sono gran che d’accordo, trovo il discorso superficiale; e poi parlare di mero “difetto di responsabilità” fa sorridere; nota mia]. Non funzionò il New Deal, tanto che nel 1939 l’America ancora non era stabilmente tornata al Pil del ’29 e solo la guerra risolse la sua crisi. Figurarsi quindi se non è lecito dubitare di questo salvataggio delle banche, gestito al Tesoro dai banchieri che ci si sono arricchiti”.
Ormai, di questi tempi, è tutto un fiorire di dichiarazioni – infine sensate – sul fatto che le politiche “keynesiane” (ante litteram), seguite da Roosevelt eletto presidente nel 1932, hanno mitigato certi effetti della crisi – la cui onda principale si sarebbe esaurita comunque perché nessuna crisi dura in eterno o provoca, come pensano i fintomarxisti, il “crollo” del capitalismo – ma assolutamente non l’hanno risolta fino alla seconda guerra mondiale. C’è però ancora un passo che non vedo compiere da nessuno, salvo – scusate la presunzione – dal sottoscritto. Si tratta di proporre almeno l’ipotesi che le crisi gravi, anche quando si presentano con un loro aspetto fortemente caratterizzato in senso economico (prima quello finanziario e poi quello reale), dipendono in realtà dal venir meno di condizioni di (solo relativa) regolamentazione quando i sistemi capitalistici “globali” attraversano fasi tendenzialmente monocentriche. E il bipolarismo Usa-Urss, durato quasi mezzo secolo, non fu un effettivo policentrismo o multipolarismo con conflitto tra formazioni particolari di tipologia capitalistica (per quanto fra loro differenziate come lo sono oggi il capitalismo “occidentale”, dei funzionari del capitale, e quello “orientale” tipo Russia, Cina, ecc.).
Oggi si va verso questa nuova fase storica multipolare – ne siamo ancora abbastanza lontani, non si traggano conclusioni affrettate – e le crisi diventeranno sempre più “impegnative” e pesanti; ne verranno insomma di peggiori che, infine, non si limiteranno alla sola economia (finanza e produzione), pur se, come detto più volte, non si deve immaginare che l’acuto conflitto policentrico (intercapitalistico) tra dominanti debba necessariamente svolgersi nelle stesse forme (guerre mondiali) del novecento. Su questo punto – le forme concrete di manifestazione del conflitto in oggetto – non faccio previsioni ipotetiche; le avanzo solo sulla “sostanza” del problema, perché un’epoca è finita, malgrado tanti zombi non se ne accorgano, e un’altra è agli inizi. In quest’ultima, si accentuerà – non con progressione lineare, ma attraverso molte svolte e giravolte – il conflitto tra capitalismi (comunque tra formazioni sociali caratterizzate, almeno “in superficie”, da mercato e imprese), da cui emergeranno grossi sconvolgimenti storici come già accadde nella prima metà del novecento.
Questa la situazione mondiale che andrebbe analizzata – con i suoi riflessi specifici all’interno del nostro paese – e dovrebbe servire da base di partenza per nuove teorie e soprattutto per nuove prassi; i dibattiti odierni, stupidi litigi “tra galli in un pollaio”, mostrano la vecchiezza ideologica delle forze in campo, che purtroppo occupano tutti gli spazi mediatici con la loro inconsistenza teorica e politica.