L'Unione europea e la gestione del caos

Dalla crisi del Caucaso alla depressione economica… Jean-Michel Vernochet fonte voxnr – trad. di G.P.

 

 

La finzione dell’Europa unita, suscettibile o capace di parlare di una stessa via si è spezzata in occasione delle divergenze profonde apparse tra il Presidente Sarkozy e il Cancelliere Merkel quanto alla strada e ai mezzi per risolvere o contenere la crisi finanziaria ed economica. Simili discordanze erano già apparse l’estate scorsa tra le due "Europe", l’occidentale e l’orientale, quando si è trattato di regolare la crisi georgiana e trovare una posizione comune ai ventisette, in particolare riguardo alla Russia. Ma, se si ammette che la costruzione europea “è già morta„ una prima volta l’8 agosto 2008 in Ossezia meridionale, nonostante le dichiarazioni trionfalistiche e la cecità degli esperti e dei mass media, essa ha appena conosciuto una seconda morte con il rifiuto sferzante di Berlino di associarsi al progetto francese di gestione economica dell’Europa. Mentre il Presidente Sarkozy, che si presenta come il solo gestore possibile del caos economico che si annuncia, tenta di imporsi alla testa dell’Unione, tramite una presidenza dell’ Eurogruppo a scapito della presidenza ceca ostile alla politica perseguita da Parigi, in particolare nel Caucaso. Le crisi verificatesi nell’estate scorsa, crisi diplomatica, geopolitica e militare in Georgia, crollo dell’edificio finanziario in settembre, hannolargamente confermato la diagnosi sull’Europa, essendo questa innanzitutto e soprattutto una finzione. Una finzione che rivela le linee multiple di rottura che percorrono l’Europa proattiva di Bruxelles, questa costruzione “arbitraria„, che la attraversa e la circonda. Crepe interne con l’aumento in potenza degli indipendentismi e del comunitarismo; falle esterne con numero di conflitti attivi o potenziali nella sua immediata periferia; divergenze profonde nell’orientamento e nell’estensione dell’Unione, Est o Sud, a seconda che si consideri il mondo da Berlino o da Parigi. Forze centrifughe o una compressione che costituiscono altrettante minacce per l’equilibrio del subcontinente. Tensioni ben presenti, ma poco visibili all’opinione pubblica poiché non è bene evocarne l’esistenza. I mesi passati ricchi di crisi politiche, diplomatiche e militari hanno appena rivelato queste forze negative in tutta la loro ampiezza e tutta la loro gravità.

A partire da qui, l’urgenza immediata di affrontarle dovrebbe imporsi a tutti, ma è ancora molto lungi dal verificarsi come dimostra, ahimè, la crisi finanziaria in corso annunciatrice di una recessione inevitabile. Il crollo di un sistema marcito era tuttavia eminentemente prevedibile. Ciononostante nulla è stato intrapreso tempestivamente per prevenire la caduta. Da questo punto di vista, certamente si perderà l’abitudine detestabile di fuggire la realtà ed imporre al discorso – il progetto europeo essendo qui un esempio archetipico –  tanto politico che universitario, un conformismo desolante il cui impiego abusivo determina ad ogni colpo ed a più o meno lungo termine conseguenze devastanti. La prima tra esse è la gestione delle crisi a caldo, in altre parole quando la situazione inizia a sfuggire a quelli che con la loro incuria l’hanno lasciata filare. Insistiamo sulla questione “della crisi dell’economia finanziarizzata ad oltranza. Ognuno poteva vedere dal 2006 montare la tempesta sull’orizzonte. Pochi tuttavia ne hanno realmente tenuto conto nell’elaborazione della loro politica a medio e lungo termine: né gli attori privati interessati in sommo grado, banche ed istituzioni finanziarie a maggior ragione, né gli Stati. Nella misura in cui anche pochi mesi fa il Presidente Sarkozy ed i suoi consulenti apparentemente non avendo preso la misura del rischio d’implosione di un sistema in perdita di vitalità accelerata – una constatazione di previsione primaria associata ad un coefficiente di probabilità eccessivamente elevato – si dichiaravano molto favorevoli all’introduzione in Francia di questi famosi crediti ipotecari – subprimes – che sono l’origine stessa, precisa, del crollo della costruzione finanziaria mondiale. Una crisi che permette così di toccare con dito il disprezzo dimostrato dalle nostre classi dirigenti in relazione alla realtà ed ai fatti. Atteggiamento che avrebbe potuto essere soltanto un male minore se non fosse stata questione, alla fine dei conti, soltanto di una semplice correzione dei mercati con vincitori e perdenti, come si compiaceva di sottolineare Alan Greenspan, l’ex presidente della Fed dall’ agosto 1987 al gennaio 2006. In altre parole, se quest’episodio non fosse stato soltanto una crisi di liquidità che influiva sulla sfera degli istituti finanziari… Ma, l’attuale crisi di solvibilità – una crisi di fiducia detta sistemica – inevitabilmente comporterà con la sua scia una crisi economica, la recessione. O una depressione di cui non si può prevedere né l’ampiezza, né le conseguenze fra le quali, “la guerra„ come la evocava recentemente il senatore socialista Jean-Luc Mélenchon (1).

Chiusi in una bolla matriciale di pensiero unico, governatori e membri della iperclasse mondiale, nonostante la loro professione di fede di realismo politico ed a volte del loro cinismo, sono troppo spesso silenziosi sui dati significativi e le tendenze che orientano o pesano molto sul futuro del mondo ed il destino degli uomini. Non tenteremo qui di rispondere del perché della cosa! I problemi più lancinanti sono così regolarmente evacuati a profitto quasi esclusivo di preoccupazioni a breve e a medio termine, di un controllo degli affari strettamente a vista… perché tra l’altro, la loro risoluzione sembra poter essere sempre rifiutata sine die nella misura in cui la bolla non ha ancora raggiunto la sua dimensione critica. Così la crescita di una bolla immobiliare in Cina o in alcuni micro-stati del golfo arabo-persico si allarga attualmente a vista e a risaputa di tutti; altro esempio in Francia, in tutt’altro settore ma dove la dinamica è la stessa, pensiamo a questa bomba a scoppio ritardato che costituisce la questione non affrontata delle banlieue… Tuttavia, ogni sguardo accorto può vedere i vari tipi di bolla ampliarsi a vista d’occhio nonostante il fatto che, in particolare nel settore finanziario, la capacità previsione è al giorno d’oggi dotata di strumenti di calcolo particolarmente efficaci. Altra alternativa, le vere decisioni sono rinviate alle calende greche perché si conta sulla trasmissione dei dossiers scottanti ad un’istanza esterna, o a quelli che sono destinati a succedere nei vostri posti e funzioni ai sensi delle norme dell’alternativa democratica… Après nous le déluge, secondo i santi principi del transfert o della diffusione delle responsabilità. Così Parigi si rimette a Bruxelles per prendere le decisioni difficili, cioè non consensuali e per le quali il coraggio o la volontà politica fanno sempiternamente difetto. Ma, tutti i contenziosi così allontanati finiscono per richiamarsi al buon ricordo dei governanti un bel giorno bruscamente di ritorno sulla scena, creando ogni volta situazioni inestricabili. È una costante della fisica politica: il Caucaso al rimorchio del Kosovo è un esempio, i crediti ipotecari a rischio, un altro. Situazioni di crisi che trovano allora uscite soltanto attraverso drammi, conflitti, strappi sociali più o meno gravi, più o meno violenti, con più o meno pesanti di conseguenze. Lo scenario è multiplo e l’attualità ne abbonda. Fra i conflitti detti congelati, la crisi georgiana dell’8 agosto 2008 è stata una sorpresa soltanto per i decisori non informati o quelli che si rifiutavano di esserlo. Crisi annunciata in particolare dalla dichiarazione d’indipendenza del Kosovo, provincia serba, in spregio al principio di intangibilità delle frontiere, che costituiva de facto per la Federazione della Russia quasi un casus belli diplomatico. Risposta del pastore alla pastorella, dunque nei confronti della politica di scarsa lungimiranza, o eccessivamente machiavelliana, condotta dal campo occidentalista, cioè Washington che controlla Bruxelles. Prendiamo in considerazione la crisi del Caucaso – certamente ora sotto controllo, ma per quanto tempo? – che al contrario di ciò che è stato detto alle opinioni pubbliche europee, la sua stabilizzazione attuale è lungi dall’essere quel successo mediaticamente strombazzato e di cui si sono vantati gli alti rappresentanti dell’Unione, il sig. Jose Manuel Barroso e Javier Solana ed in particolare l’attuale presidente dell’Unione, il sig. Nicolas Sarkozy. Se si lascia da parte il seguito possibile di una crisi che influirà a lungo su una regione di grande importanza, strategicamente ed energeticamente, si deve constatare che essa ha accentuato o approfondito una rottura già esistente tra l’Europa orientale e l’Europa occidentale. La politica della presidenza francese, è vero, ha condotto ad un certo ritiro delle forze russe; in realtà un successo grigio generosamente sfruttato dai professionisti della comunicazione politica. Perché la realtà è altrove. Quest’uscita dalla crisi non può infatti essere attribuita ad una Unione Europea che parla unanimemente, saldata da un’intenzione ed un progetto comuni. Lontano dall’unanimismo di facciata, al contrario ha focalizzato l’Europa orientale (2) contro una politica di distensione verso Mosca, politica fallacemente consensuale e condotta quasi unilateralmente da Parigi su questo dossier in disaccordo sensibile con il dipartimento di Stato. Ne risulta per l’osservatore oggettivo che l’UE non soltanto non è uscita rafforzata di questa prova, ma che le sue divisioni, contenute e soggiacenti, appaiono ormai alla luce del sole. A tal punto che la presidenza di turno assicurata alla Repubblica Ceca dal 1° gennaio 2009 lascia predire da un lato un riorientamento sostanziale della politica europea verso Russia e Bielorussia nel senso della diffidenza, e d’altra parte in relazione agli stati pro-occidentali che sono l’Ucraina e la Georgia, un’accelerazione della procedura d’ammissione nella NATO, questo vestibolo d’entrata nell’Unione. Prospettive che, in modo molto inedito, conducono oggi Parigi a cercare i mezzi per mettere in cortocircuito la presidenza ceca (3) e mantenere il controllo con il pretesto della gestione finanziaria e la crisi economica sullo svolgimento degli affari esteri dell’Unione… La crisi del sistema finanziario mondiale tende d’altra parte ad aumentare questa contraddizione interna già all’opera nell’ambito del nocciolo duro dell’UE. Antagonismo latente che si è appena concretizzato nel rifiuto pubblico della Cancelliera Angela Merkel di sottoscrivere il progetto del sig. Nicolas Sarkozy che mira alla creazione di un governo economico nella zona euro. Un paradosso interessante allorché ora, l’Unione che si è o si sarebbe costruita intorno e con l’economia, con la quale aveva creduto di trovare il cemento del suo “progetto„ nella moneta unica, l’€uro, potrebbe rapidamente diventare un pomo della discordia tra partner che desidereranno gestire la crisi in modo sovrano, cioè al loro modo. Come fanno i laburisti inglesi nazionalizzando parzialmente le loro banche e prima di loro gli Irlandesi (4). Infine, ci occorre ritornare ancora qui, sulla discordanza che esiste tra un’Europa orientata ad Est – Ost politik tedesca come invariante dell’epoca moderna delle scelte strategiche di Berlino – e quella che vede la sua estensione naturale nel mondo mediterraneo (Parigi, Roma e Madrid) ed oltre verso l’Eurafrica. L’evocazione di un strabismo divergente dell’Unione acquisisce dunque in questi tempi di crisi tutta la sua pertinenza. Un conflitto di scelta tra il grande Est europeo e la riva orientale del Mediterraneo che in tempi ordinari costituiva già materia di arbitraggi e prese di decisioni difficili. Lo si è visto nella fase d’elaborazione di un progetto euromediterraneo – diventato finalmente il 13 luglio 2008 progetto d’Unione per il Mediterraneo – che si è accompagnato ad un netto raffreddamento delle relazioni franco-tedesche. Il compromesso accettato da Parigi e l’abbandono delle sue ambizioni, cioè gli obiettivi del processo di Barcellona (5), si iscrive oggi fra un insieme di fattori di tensioni che a termine potrebbero rivelarsi intollerabili. La costruzione europea, mai realmente consolidata ed i cui scopi non sono stati mai definiti – un’Europa senza frontiere e senza limiti – potrebbe ovviamente soffrirne. Si pone dunque la questione di sapere se l
‘Europa finalmente sopravvivrà ancora a lungo all’accumulo delle sue contraddizioni. Poiché l’Europa di Bruxelles non è in verità attualmente che un conglomerato di nazioni che deperiscono ed un’entità attestante una vocazione non realistica all’estensione ad libitum, ma di cui chiaramente le frontiere reali sono quelle delle guerre interne ed esterne, attive o potenziali dove l’Unione si trova implicata… Una linea di fuoco che percorre ovviamente l’Europa e la sua periferia, i Balcani con la Bosnia e l’Afganistan via Algeria (nuovamente dall’estate scorsa teatro di attentati singolarmente mortali), passando per il Libano, il Kurdistan, l’Iraq, il Darfour e se necessario, l’Iran…

La Francia ha appena scoperto dopo la morte di una decina dei suoi soldati vicino a Kaboul, che era in guerra in Afganistan e con essa l’Europa? Come quest’ultima tramite i membri impegnati nell’ambito della coalizione anglo-américana che combatte in Mesopotamia, è in guerra contro le resistenze armate di una nazione araba ancora ieri sovrana ed unita… Chi bisogna allora accusare di questa sveglia ben tardiva dell’opinione pubblica francese? I mass media che veicolano scelte politiche che conducono a fare intervenire all’estero le forze europee, all’insaputa, o quasi, della società civile? O all’inerzia di cittadini più preoccupati della loro vita quotidiana e tutto sommato parzialmente anestetizzati o intossicati da una stampa audiovisiva che debilita e che coltiva forme erudite di disinformazione? Nello stesso modo in cui l’UE si è trovata da un giorno all’altro proiettata nell’abisso della crisi, forse gli europei scopriranno con un incidente di frontiera che le loro truppe, presenti su fronti di guerra diversi e differenziati, si sono appena immersi in un conflitto di dimensione planetaria, ciò senza che niente e nessuno abbia visto venire la catastrofe? Non è ciò che è successo nel Caucaso così come oggi con il crollo del castello di carte finanziario?

 

24 octobre 2008

notes

 

(1) Sénateur socialiste de l’Essonne depuis 1986, interrogé par l’agitateur médiatique Karl Zéro (Marc Tellenne), sur BFM TV le 9 octobre 2008.

 

(2) Une Europe orientale cliente des É-U : pensons entre autres aux installations controversées de missiles d’interception américains en Pologne et de radars d’acquisition en Tchéquie ; la crise géorgienne a d’ailleurs permis de faire aboutir ces projets en levant les réticences qui leur faisaient encore obstacle ; en l’occurrence dans l’affaire géorgienne les différences d’intérêts et d’objectifs entre Paris et Washington étaient patentes.

 

(3) Le président français Nicolas Sarkozy, à l’issue de son mandat, le 31 décembre 2008, à la tête de l’Union, entendrait devenir président de l’Eurogroupe [institué en 1997 par le Conseil européen, il réunit chaque mois les ministres des Finances de la zone euro] et de demeurer par ce truchement au cœur de la politique européenne, notamment extérieure.

 

(4) Le 2 octobre 2008 le Parlement irlandais adoptait une loi offrant une garantie gouvernementale illimitée, soit une garantie de deux ans sur les dépôts au profit de six grandes banques pour un montant minimum de 400 milliards d’euros, le double du PIB annuel irlandais, déclenchant un tollé de la part des Européens l’accusant de faire cavalier seul.

 

(5) Le partenariat Euromed autrement nommé « Processus de Barcelone » est institué à Barcelone en 1995 à l’initiative de l’UE de concert avec le Maroc, l’Algérie, la Tunisie, l’Égypte, l’Autorité palestinienne, Israël, la Jordanie, le Liban, la Syrie et la Turquie. Depuis novembre 2007, l’Albanie et la Mauritanie en sont membres.

 

Politologue, écrivain et journaliste, Jean-Michel Vernochet a dirigé l’ouvrage collectif « Manifeste pour une Europe des peuples » aux Editions du Rouvre. Disponible chez librad.com france :: ici